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Il Passero Pellegrino

Come possiamo valutare se la nostro comunicazione e il nostro modo di comunicare è funzionale e consapevole o presenta e genera ostacoli?

Di Stefano Palmieri

Pubblicato il 06 Lug. 2021

Aggiornato il 09 Lug. 2021 11:10

Attraverso i risultati di un esperimento l’autore affronta il tema della comunicazione e degli aspetti di consapevolezza e inconsapevolezza che la riguardano.

 

Nelle Confessioni Sant’Agostino interrogandosi sul tempo dice: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so.” (Agostino d’Ippona, 398)

Allo stesso modo accade in merito alla comunicazione: crediamo di sapere benissimo cos’è fino al momento in cui ci interroghiamo sulla sua natura.

A mio avviso, questo accade poiché comunicare è un processo che ci accompagna dalla nascita e ci circonda da sempre esattamente come il camminare.

Comunicare e camminare sono due attività estremamente complesse eppure le svolgiamo senza bisogno di pensarci e spesso senza alcuna consapevolezza.

Attività dunque che divengono automatiche e sulle quali quindi non occorre interrogarsi.

Questo almeno fino a quando non insorge un problema.

Per esempio, se camminando avvertiamo un dolore al ginocchio ci interrogheremo sulla causa di quel dolore. Ci chiederemo se dipenda da una distorsione, dalle scarpe non adatte, dalla nostra andatura o dalla postura non corretta.

Inizierà così una indagine sul nostro modo di camminare, fino a quel momento dato per scontato, appunto automatico.

Tornando alla comunicazione: come possiamo valutare se il nostro modo di comunicare è funzionale e consapevole o presenta e genera ostacoli?

Se una distorsione al ginocchio ci invita ad una riflessione sul nostro modo di camminare, cosa dovrebbe spingerci ad indagare il nostro modo di comunicare?

Uno dei modi possibili per rispondere a questa domanda, a mio avviso, è focalizzare l’attenzione sulla fase di ricezione del messaggio.

Il messaggio, una volta ricevuto dal destinatario, deve essere decodificato ovvero interpretato per comprenderne le finalità ed assegnargli un significato.

Senza una decodifica non è possibile alcuna comprensione poiché il messaggio risulta illeggibile.

Detto questo, la nostra indagine inizia con una domanda: “Disponiamo degli strumenti, delle conoscenze e delle esperienze necessarie a decodificare/comprendere in modo completo il messaggio che riceviamo?”

Per rispondere a questa domanda mi servirò dei risultati di un esperimento che propongo da anni come momento introduttivo ai miei laboratori di comunicazione e che diviene punto di partenza per indagare l’atteggiamento che assumiamo come destinatari di un messaggio.

Nello specifico i dati che presento sono stati raccolti durante 40 incontri in un periodo di 5 anni (2006-2011) interessando 823 persone.

Esperimento

I partecipanti hanno visionato un video in cui due “esperti” si sono confrontati sostenendo ognuno una tesi opposta a quella dell’altro, relativamente al seguente argomento: “Applicazione del modello keynesiano nella spesa pubblica”.

L’argomento oggetto di discussione non è mai stato illustrato ma solo citato in modo generico in modo da non fornire ai partecipanti alcun elemento o dato relativo al tema del dibattere. Tutta la controversia si è basata unicamente su critiche a favore o contro il modello presentato.

Al termine del filmato è stato chiesto ai partecipanti di rispondere (in modo anonimo) ad una unica domanda: “Considerata la natura del modello keynesiano e viste le posizioni sostenute e presentate, quale delle tesi esposte ritieni corretta?”

Tale domanda prevedeva cinque opzioni di risposta:

  • La tesi dell’esperto n.1;
  • La tesi dell’esperto n.2;
  • Nessuna delle due tesi;
  • Entrambe le tesi;
  • Non saprei.

Questi i risultati:

  • La tesi dell’esperto n.1; 39%
  • La tesi dell’esperto n.2; 37%
  • Nessuna delle due tesi; 11%
  • Entrambe le tesi; 4%
  • Non saprei; 9%

Il 91% dei partecipanti ha effettuato una scelta di merito rispetto all’argomento, esprimendo una valutazione sui contenuti.

Dopo che tutti i partecipanti hanno espresso la propria risposta, è stato chiesto ad ognuno di loro di illustrare cosa prevede il modello keynesiano e per quale motivo l’idea scelta sia stata ritenuta convincente.

Il risultato è assolutamente prevedibile:

il 96% dei partecipanti non ha saputo illustrare, neppure sommariamente, cosa fosse il modello keynesiano;
oltre l’80% a distanza di un’ora dall’esperimento non ricordava la natura del confronto appena visionato e nemmeno le posizioni delle parti.

Si conferma che il contenuto oggettivo del dibattere ha un’influenza trascurabile sulla disponibilità della persona ad accogliere un messaggio e considerarlo credibile.

La preferenza è stata espressa quindi in assenza di significative motivazioni logiche, dunque persuasa da componenti che non interessano la razionalità.

Da quando Aristotele nel 330 a.c. definisce la retorica come «la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto» (La Retorica, 330 a.c. , Aristotele), molto si è scoperto rispetto all’influenza che le componenti emotive, psicologiche, sociali, relazionali, biologiche, istintive, ecc… determinano sulle nostre scelte, agendo su canali al di fuori della consapevolezza logica.

Dai primi studi sperimentali condotti da Carl J. Hovland, che nel corso della seconda guerra mondiale presso l’università di Yale indaga gli effetti dei media sulla mente delle persone (Hovland, Janis & Kelley, 1953), alle attuali ricerche condotte grazie agli strumenti di indagine delle neuroscienze, si continua a registrare quanto trascurabile sia l’intervento della componente logica nel sofisticato processo del comunicare.

Siamo dunque consapevoli della nostra comunicazione?

Siamo dunque consapevoli delle nostre scelte?

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Le Confessioni, (398), Agostino d'Ippona
  • La Retorica (330 a.c.), Aristotele
  • Communication and Persuasion: Psychological Studies of Opinion Change (1953) Carl I. Hovland, Irving L. Janis and Harold H. Kelley.
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