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Il tempo che non vola. Le temps vécu nell’Anoressia Nervosa

Rinchiuse in fitte reti di rigide regole da loro create, le pazienti con anoressia sembrano non conoscere il presente, bloccate in un punto senza estensione

Di Emanuele Ruggeri

Pubblicato il 27 Lug. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:55

Nell’Anoressia Nervosa le pazienti appaiono come “cristallizzate”, situazione splendidamente descritta da Federico Leoni nell’introduzione a Le temps vécu di Minkowski.

 

Chiara è una ragazza bellissima, ma il suo volto appare per la maggior parte del tempo come pietrificato. Quando è distesa sulla poltrona resta immobile per ore, quasi fosse cristallizzata. Ogni suo movimento è tanto elegante quanto bizzarro nella lentezza della sua esecuzione.

Quando iniziamo a parlarle del Tempo e le chiediamo di fornirci il suo punto di vista al riguardo sembra come risvegliarsi. Risponde e partecipa al discorso con una facilità disarmante per chi ha tentato durante le sedute psicoterapiche precedenti di creare un contatto con lei. Eppure si sta analizzando un concetto così astratto e sfuggente che la semplicità con la quale viene descritto dalla paziente ci lascia perplessi. Ci chiediamo se non abbia riflettuto a lungo al riguardo per poter rispondere con questa semplicità, nonostante nessuno prima di noi abbia affrontato questa tematica con lei”.

Così ha inizio il mio viaggio personale nel vissuto temporale delle pazienti affette da Anoressia Nervosa. Poco tempo addietro mi ero perso in alcune splendide letture di Carlo Rovelli che mi avevano aperto gli occhi su quanto il Tempo mi avesse preso per i fondelli per una vita senza che me ne accorgessi. Mi figuravo sempre di più un tempo capace di deformarsi, contorcendosi, un tempo che si espande e retrae, mantenendo sempre la sua elegante continuità. Mi fece sorridere come questa visione del tempo vissuto si avvicinasse a passi felpati a quella della fisica, dove oggi il tempo è qualcosa di tangibile e quindi deformabile, malleabile.

Nell’Anoressia Nervosa le pazienti appaiono come “cristallizzate”, situazione splendidamente descritta da Federico Leoni nell’introduzione a Le temps vécu di Minkowski rispetto al caso de La malata che fa le scarpe (paziente descritta anche da un giovane Carl Gustav Jung) estremamente esplicativa rispetto all’instancabile ripetizione e l’eterno presente che ritroviamo nelle pazienti più gravi.

“Non più un gesto che, compiutosi, tramonta; che, tramontato, consuma il proprio senso, lo compie; e che nel compierlo, nel farne vuoto, lo destina ad un nuovo inizio. Non più l’instabile, incerta tensione dello slancio, ma il deserto mortale di un presente eterno dove nulla può concludersi e nulla può iniziare. Una immobile insistenza, esausta stereotipia”.

Dopo aver parlato a lungo con molte pazienti affette da questa patologia un’idea ha iniziato a prendere forma. Queste mi sembrano vivere perennemente in quello che Minkowski descrive come “attimo o adesso” e non nel “presente”. Il brillante psichiatra spiega come il tentativo di rappresentare l’adesso sia impossibile in quanto esso fugge davanti a noi dispiegandosi per far posto al presente. È qui che possiamo trovare durata ed estensione poiché non sappiano dove abbia inizio né dove termini. Si tratta di qualcosa di fluente: Il presente è dunque meno aspro de l’adesso, è più calmo, omogeneo e rassicurante, nel presente possiamo lasciarci vivere.

Rinchiuse all’interno di fitte reti di rigide regole da loro stesse create, questa categoria di pazienti sembra non conoscere il presente, bloccate in un punto senza estensione.

… questa condizione di stasi viene descritta dalla paziente con poche parole. Un tempo infinito ed orribile. La monotonia sembra essere una delle caratteristiche che meglio descrive il suo stato attuale. Priva di un obiettivo concreto sembra andare alla deriva mettendo in dubbio l’importanza della sua stessa esistenza. Non si intravede slancio vitale in lei e parlando del suo futuro risponde è molto, molto lontano. E’ così lontano da me che non riesco a vederlo”.

Il senso di narrazione e la capacità di essere gli stessi nel fluire del tempo, elegantemente descritti da Eugenio Borgna nel saggio Come se finisse il mondo, sembrano essere fortemente minati dalla malattia.

“Quando le chiediamo se ci sia un senso di continuità nella sua esistenza lei riporta una marcata frammentazione e riesce a caratterizzarla emotivamente. Quando ero normale il mondo era così luminoso, colorato. La vita che avevo prima del mio disturbo alimentare mi sembra la vita di un’altra persona. Chiara non possiede un’immagine di sé al di fuori della malattia, della figura di paziente.

La frattura appare essere molto più profonda di quanto mi sarei aspettato.

“La mia realtà non è in bianco e nero. Non si tratta neanche di una scala di grigi. E’ monocromatica. Se vi guardo la vostra immagine si confonde con lo sfondo. Il cibo non ha sapore. Nulla intorno a me appare definito. Non mi interessa vedere”.

Minkowski insegna che il passato e l’avvenire non esistono che in rapporto al presente e non hanno altro senso, così come il presente non ha potuto nascere che dal passato al quale deve ricongiungersi, come deve d’altra parte dare origine all’avvenire.

Le sue parole in qualche modo riescono a confortarmi. Credo che l’Anoressia Nervosa, per quanto indiscutibilmente invalidante, non possa vincere un Titano che domina il nostro essere dal primo grande boato cosmico. Il Tempo e la gentilezza potrebbero essere armi preziose per chi tratta questo disturbo purtroppo sempre più diffuso ma dalla scarsa risonanza sociale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Minkowsky, E. (2004). Il tempo vissuto. Biblioteca Einaudi.
  • Rovelli, C. (2017). L’ordine del Tempo. Piccola Biblioteca Adelphi.
  • Borgna, E. (1995). Come se finisse il mondo. Feltrinelli.
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