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Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare (2017) di Michael Lewis – Recensione del libro

Un'amicizia da nobel è un libro molto godibile, con lo stile di un romanzo, sull’avventura intellettuale  di Kahneman e Tversky

Di Alberto Vito

Pubblicato il 21 Giu. 2021

Un’amicizia da Nobel (edito da Cortina nella collana diretta da Giulio Giorello) è il felice racconto della genesi e dello sviluppo delle ricerche di Kahneman e Tversky, i due ideatori della “economia comportamentale”.

 

 L’autore è Michael Lewis, saggista e giornalista statunitense, che ha scritto un libro molto godibile, con lo stile di un romanzo, sull’avventura intellettuale dei due psicologi israeliani, vissuti poi negli Stati Uniti e in Canada, ove entrambi hanno insegnato nelle Università. Si tratta della storia di un sodalizio avvincente, quella tra due menti geniali, narrato come se si trattasse di figure letterarie. Raccontare le loro storie personali appare utile in quanto le loro ricerche scientifiche sono indissolubili dalle significative esperienze che avevano segnato le loro vite, descritte nei primi capitoli. Entrambi, infatti, oltre ad aver conseguito la laurea in psicologia all’Università Ebraica di Gerusalemme, avevano pregresse importanti carriere nell’esercito israeliano e forti differenze caratteriali: Tversky era un combattente dinamico, un carattere estroverso, ottimista, che amava essere sempre al centro dell’attenzione; Kahneman era al contrario introverso, portato al dubbio, dominato dalle proprie insicurezze.

La descrizione delle loro personalità, molto diverse eppure affascinanti, è la cornice entro cui viene ricostruita la storia dei loro contributi scientifici. Probabilmente, le loro differenze ebbero un ruolo positivo dal punto di vista degli studi, in quanto ciascuno si arricchì del pensiero dell’altro, ma alla lunga pesarono sul loro rapporto personale. Infatti, la loro amicizia si interruppe e dal punto di vista biografico la parte dedicata alla rottura del loro legame è tra le più interessanti. Ci furono incomprensioni, rivalità accademiche, differenze di vedute e forse anche invidie e intolleranze. Solo poco prima della morte prematura di Tversky, avvenuta nel 1996, vi fu una riconciliazione epistolare in cui, sia pure a distanza, ebbero modo di riaffermare la loro amicizia. In ogni caso, il loro contributo ha modificato il modo in cui gli uomini percepiscono la propria mente, tant’è che Kahneman ricevette il premio Nobel nel 2002 per gli studi in cui applica la psicologia al campo delle decisioni economiche.

Il punto di partenza delle loro ricerche fu il perfezionamento del concetto di euristica (un termine che è definito in pratica come “scorciatoia del pensiero per prendere decisioni rapide e spesso efficaci”). I tre bias cognitivi principali, che descrissero in un breve lavoro pubblicato da Science nel 1974, sono legate alla rappresentatività, disponibilità e ancoraggio. Seguire questi tre criteri ci porta a valutazioni veloci e spesso corrette. Tuttavia, in un certo numeri di casi, compiamo errori ripetuti e, proprio per questo, difficili da scoprire, in quanto vanno in direzione opposta alla nostra logica consueta.

 La loro rivoluzione consiste proprio nella scoperta del motivo per cui si compiono errori sistematici quando inconsapevolmente crediamo di stare agendo per il meglio.

Da Freud in poi, la psicologia ci aveva messo in guardia in merito al fatto che i processi mentali non definiscono la realtà in modo obiettivo, in quanto influenzati sempre dai fattori affettivi.

Ma Tversky e Kahneman vanno oltre. Ci dicono che è la razionalità in se stessa a non funzionare sempre bene. Ci porta a commettere degli errori che, in quanto condivisi, risultano anche molto difficili da decifrare. Gli errori sistematici del pensiero ricordano le illusioni ottiche, solo che in questo caso si tratta di illusioni cognitive.

Le conseguenze operative di queste ricerche sono inimmaginabili. Le prime ricerche hanno preso in considerazioni scelte tutto sommato semplici, ma l’economia comportamentale è un insieme di strumenti di lavoro ancora da scoprire, più che un modello teorico chiuso. Per adesso, il campo in cui è stato applicato tale approccio concerne le scelte negli investimenti economici, in cui si possono prevenire gli effetti negativi delle valutazioni degli esperti. Oggi i progressi informatici ci consentono di programmare i computer in un modo tale da scoprire i limiti del funzionamento del pensiero umano. Ma si possono immaginare programmi governativi per ottenere società in cui, ad esempio, tutti guidano in modo da ridurre gli incidenti mortali e così via. L’amministrazione statunitense di Obama utilizzò ricercatori che andavano in questa direzione. Fu coniato il  termine di “spinta gentile” (pungolo, nudge) ad indicare piccoli suggerimenti da parte dell’amministrazione pubblica per ottenere modifiche comportamentali rilevanti. Ad esempio, per ridurre l’obesità infantile, furono ottenuti buoni risultati semplicemente mettendo in primo piano nelle mense scolastiche frutta e verdura anziché cibi a base di carboidrati. È dunque possibile ottenere vantaggi per il benessere delle persone ma si pongono anche problemi etici, come ben fa notare Paolo Legrenzi nella sua postfazione all’edizione italiana. Chi stabilisce cosa è buono per la collettività? Ridurre l’obesità è senz’altro condiviso da tutti. Ma se gli stessi principi fossero utilizzati per scopi tutt’altro che nobili? Si potrebbe incitare, ad esempio, alla violenza, presentandola come un’alternativa legittima?

Il libro, infine, si conclude con un capitolo dedicato alle critiche ricevute da Kahneman e Tversky. In particolare, fra i detrattori, spicca lo psicologo tedesco Gerd Gigerenzer (nella stessa collana di Cortina sono pubblicate le sue opere principali) e la loro disputa si allargò ad aspetti personali.

Quello che è certo è che con la nascita dell’economia comportamentale si è affermata definitivamente l’idea che la ricerca economica deve essere necessariamente multidisciplinare. I suoi strumenti sono al servizio del miglioramento dell’intervento pubblico in tanti campi, per aiutare le persone a scegliere meglio e a commettere meno errori. l programma di ricerca sui bias cognitivi e sulle euristiche avevano anche l’obiettivo di fornire ai decisori politici e a chi supporta processi decisionali ad ogni livello, uno strumento ulteriore per il benessere della collettività.

È decisiva la lezione secondo cui gli esseri umani prendono decisioni anche a secondo di come l’ambiente circostante presenta le diverse alternative. È importante che la consapevolezza in merito al funzionamento dell’euristica, dei bias cognitivi e di come sia possibile fronteggiarli siano patrimoni culturali pubblici, di cui tutti dovremmo essere messi in condizione di disporre. La democrazia è innanzitutto condivisione delle conoscenze.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lewis, M. (2017) Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare. Cortina Editore
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