Pochi racconti catturano la nostra attenzione come quelli incentrati sulla vendetta. Molte delle storie più antiche e affascinanti, come l’Iliade di Omero, o più recenti, come quelle descritte nei quotidiani o nelle serie tv, traboccano di vendetta. Questa pratica ha un importante impatto sulla società.
A tal proposito, uno studio del 2012 del dipartimento di polizia di New York ha rilevato che il 42% degli omicidi della città derivava dalla vendetta (New York City Police Dep. 2012). Questo modello non è stato unicamente individuato negli Stati Uniti: la vendetta è un fenomeno globale. Questo processo è implicato come fattore causale in molti omicidi di tutto il mondo (Daly & Wilson 1988, Kopsaj 2016). Le analisi storiche interculturali hanno infatti scoperto prove di faide vendicative o atti di vendetta individuali nel 90% delle società contemporanee e tradizionali mondiali (Ericksen e Horton 1992).
Ma perché le persone si vendicano? Tra le innumerevoli conseguenze dell’atto vendicativo, esso può comportare punizione, licenziamento, prigionia, fino ad arrivare alla perdita di un membro della propria famiglia o della propria vita. Ciò che sorprende è che a seguito della brevissima esplosione di soddisfazione ed emozioni positive che seguono un atto vendicativo, bastano pochi minuti finché i vendicatori inizino a segnalare rimpianti, ruminazioni e negatività (Carlsmith et al. 2008). Date queste ripercussioni negative, la domanda sul perché qualcuno dovrebbe mai vendicarsi è importante sia come mezzo per ridurre crimine e violenza, sia come enigma del comportamento umano da risolvere. Nella loro revisione, Jackson, Choi, e Gelfand hanno analizzato le caratteristiche della vendetta, focalizzandosi sui contesti in cui avviene tale atto (Jackson, Choi, & Gelfand, 2019). In seguito, saranno riportate tutte le peculiarità che caratterizzano questi processi.
La vendetta è concettualizzata come ritorsione motivata da un danno percepito al proprio benessere (vedi Elshout et al. 2015, Schumann & Ross 2010). Gli studi hanno inoltre rivelato che la vendetta è un processo multilivello radicato in elementi sia psicologici che culturali. Difatti, secondo alcune teorie, alcuni aspetti della prima storia umana hanno contribuito all’evoluzione genetica della vendetta. In particolare, i nostri predecessori preistorici vissuti nell’era del Pleistocene, periodo in cui si è verificata l’era glaciale, avrebbero affrontato una serie di problemi di adattamento, incappando in crimini come omicidio, furto e rapimento del partner, azioni che avrebbero minacciato la loro sopravvivenza e riproduzione. Il modo migliore per questi primi umani di sfuggire a tali minacce era combattere il fuoco con il fuoco, rispondendovi. In tal senso, la vendetta si è evoluta principalmente come meccanismo di deterrenza, come forma di avvertimento dei potenziali antagonisti, a seguito della quale ci avrebbero pensato due volte prima di nuocere nuovamente a una vittima; ciò avrebbe assicurato ai vendicatori di non essere nuovamente ingannati o attaccati (Sell et al. 2009).
Alcuni aspetti della vendetta sembrano quindi essersi evoluti geneticamente, mentre altri aspetti si sono evoluti culturalmente. Quando si parla della funzione della vendetta, i modelli culturali in genere sostengono che essa non sia adattativa per le singole persone, ma che aiuti i gruppi a mantenere l’omeostasi normativa (Elster 1990, Fehr et al. 2002). In particolare, alcune prospettive evolutive culturali concettualizzano la vendetta come più funzionale in contesti senza forti leggi istituzionali, in cui le vittime di un lieve danno percepito devono vendicarsi personalmente per ripristinare la giustizia (Duntley & Shackelford 2008). Per questo motivo, sembra che la vendetta si evolva culturalmente con maggiore probabilità in ambienti con un basso controllo istituzionale (ad es. forze di polizia deboli).
Come può essere attuata la vendetta? Essa può manifestarsi in molti modi diversi. Tra i principali, troviamo la vendetta nascosta e la vendetta palese. Questa distinzione fa riferimento al fatto che la vendetta sia espressa pubblicamente o segretamente. Esempi di vendetta segreta includono diffusione di pettegolezzi su un delinquente (Bordia et al.2014), valutazioni negative sull’incriminato (Gregoire et al.2010), e indifferenza verso l’individuo (Wang et al. 2018). Queste strategie sono legate da un desiderio comune di attaccare privatamente la reputazione di qualcuno dopo uno torto percepito e, in particolare, di minare il valore, l’onore e l’autorità di quella persona. Oltre a questi due principali tipi di vendetta, è stato possibile identificare anche la cosiddetta vendetta “vicaria”, in cui una trasgressione originale non coinvolge né il vendicatore né il vendicato (Lickel et al. 2006).
Esistono, inoltre, molte forme di vendetta culturalmente emica, ma la più emblematica è la vendetta di sangue. Le culture che la praticano, come i Boscimani dell’Africa Meridionale gli eschimesi Netsilik del Canada (Lee, 1979) e persino i ceceni contemporanei in Russia (Souleimanov e Aliyev 2015), presentano norme molto più tolleranti nei confronti della vendetta rispetto alle culture occidentali (Boehm, 1984). Le caratteristiche chiave della vendetta di sangue includono la sua natura collaborativa e la sua prescrizione comune da parte degli organi legislativi locali.
Ma veniamo ora all’aspetto nucleare di questo tema: da cosa trae origine il bisogno di vendetta? Quali i fattori individuali che ne favoriscono la messa in atto? Alcuni studi hanno tentato di identificare i motivi originari dai quali essa è pianificata, ed hanno scoperto che le persone possono vendicarsi per ragioni di varia natura, tra cui:
- perché si sentono arrabbiate per una violazione delle norme percepita,
- perché vedono la vendetta come un mezzo per ripristinare la propria reputazione,
- perché credono che la vendetta le farà sentire meglio,
- perché, talvolta, le norme culturali autorizzano la vendetta (Jackson, Choi, & Gelfand, 2019).
Per ciò che concerne le caratteristiche personologiche del vendicatore, dagli studi che hanno misurato contemporaneamente rabbia, paura, tristezza e frustrazione nell’atto vendicativo, la rabbia è emersa come il miglior predittore emotivo di vendetta (Roseman et al. 1994). Coerentemente con questo collegamento, gli studi hanno identificato una forte correlazione tra rabbia e vendetta a livello di tratto (Sindermann et al. 2018). È opportuno sottolineare che le persone con tipi di personalità caratterizzati da livelli alti di rabbia, come nevroticismo e narcisismo, hanno maggiori probabilità di vendicarsi dopo una provocazione (Maltby et al. 2008).
La vendetta, nelle sue molteplici declinazioni, rappresenta un atto piuttosto affascinante, utilizzato da sempre nella storia dell’umanità, ma alla luce della letteratura riportata sull’argomento è bene chiedersi se sia davvero necessaria.