Deridere qualcuno perché “troppo grasso” o “troppo magro”, “troppo muscoloso” o “troppo esile”, “troppo alla moda” o “troppo fuori moda”: è questa una delle tante forme attraverso cui il Body Shaming, letteralmente derisione del corpo, può manifestarsi.
Già durante il IV secolo A.C., all’interno dei versi di poeti antichi, la bellezza fisica veniva dipinta come “amabile, giusta, apprezzabile”, al contrario della bruttezza, definita come “inamabile, ingiusta, disprezzabile” (Teeters; 2018); nel 900 invece, l’idea per la quale un individuo possa essere giudicato sulla base della sua corporeità, è stata divulgata, implicitamente, attraverso gli schermi di Tv e sale cinematografiche.
Si pensi agli stereotipi di personaggio della storia del cinema: di solito, è il tipo “cicciotto” a suscitare la risata del pubblico, ad essere oggetto di scherno, e non il leader “affascinante”.
E che dire delle riviste popolari negli anni ’80 (vedi Cioè)? Potevano forse non osannare la bellezza esteriore, sinonimo di popolarità?
Nell’era del digitale, la tendenza a sentenziare, criticare, umiliare l’altro per il suo aspetto fisico (peso, altezza, taglia, forma corporea, abbigliamento, capelli, trucco) sembra essere la regola, considerando che l’avvento dei nuovi media ha contribuito alla diffusione di immagini di corpi perfetti come sculture, con i quali quotidianamente ci si confronta.
Il prototipo di bellezza che i social propongono, spinge i più giovani ad imitare gli influencers del momento, e non soltanto nell’abbigliamento o nel trucco, ma anche nei modi di fare, di parlare, diventando talvolta la caricatura di un’altra persona; sembra di assistere ad un processo di “copia-incolla”: si tende a copiare l’immagine più giusta, più popolare, più bella, con più like, ed ad incollarla nella propria mente (Romeo, 2020). Sono i re e le regine dei social a suggerire, quotidianamente, che cosa mangiare, che cosa indossare, come e quanto allenarsi per essere perfetti. Come se la perfezione fosse conformismo, e non originalità.
A questo punto, è necessario chiedersi cosa possa accadere quando il proprio fisico, o quello altrui, non rispecchia i canoni di bellezza glorificati nel mondo del social.
Davanti alla foto di un corpo imperfetto, il popolo del web non può rimanere in silenzio, in quanto quel corpo è causa di vergogna (Saxena, Mathur, Jain; 2020): ed è per questo motivo che deve essere condannato. Quale arma migliore per abbattere l’autostima e la sicurezza di un’altra persona, se non quella di farla vergognare di se stessa e del suo modo di essere?
“Sembri anoressica! Ma ti sei vista? Non sarebbe meglio fare un po’ di dieta? Sei tutta pelle e ossa!”: sono queste le frasi che, quotidianamente, si leggono sotto le foto di visi e corpi imperfetti postati su Instagram e Facebook.
La disperata e pedissequa ricerca di una perfezione corporea irraggiungibile perché inesistente, può portare i soggetti più fragili a vergognarsi della propria fisicità, a perdere fiducia in se stessi e ad essere insoddisfatti del proprio corpo (Gam, Singh, Manar, Kar, Gupta; 2020).
Nelle vittime di Body Shaming, infatti, sono frequenti bassa autostima, rabbia, autolesionismo, sintomatologia depressiva, Disturbo da Dismorfismo Corporeo e Disturbi dell’Alimentazione (Gaffney; 2017); inoltre, la convinzione cronica di non riuscire a diventare ciò che la società ritrae come ideale, può suscitare profondi sentimenti di vergogna e favorire il presentarsi di Disturbi dell’umore (Brewis, Bruening; 2018).
La dilagante predicazione sul modo in cui si dovrebbe apparire, ci si dovrebbe vestire e/o truccare, ha contribuito ad alimentare le insicurezze dei più giovani, che temono il non-consenso, la non-popolarità.
Ed è proprio la paura della non-approvazione che spinge a ritoccare una foto prima di pubblicarla, ad aggiungere filtri, a rimuovere le rughe del viso e a gonfiarsi le labbra.
Perché, nell’era del digitale, è meglio essere photoshoppati che se stessi.