La ricostruzione testimoniale nel caso delle testimonianze di incidenti stradali, avvenimenti che peraltro in sé sono caratterizzati dal fatto di essere imprevedibili ed estremamente complessi, è molto complessa e generalmente è impossibile fare attenzione a ogni elemento dell’incidente e ricordarne ogni dettaglio.
Silvia Bosio – OPEN SCHOOL, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Milano
La psicologia della testimonianza è un ambito di studi estremamente ampio. Essa volge il proprio interesse all’approfondimento di aspetti percettivi, attentivi e mnestici sottostanti la codifica degli eventi (es. l’identificazione di un volto) e all’analisi di caratteristiche personali (es. suggestionabilità) e del ruolo che esse giocano al momento della rievocazione e della testimonianza.
Altri fenomeni esaminati sono l’attendibilità e la veridicità della testimonianza, la valutazione della capacità di testimoniare; la costruzione di falsi ricordi, la menzogna intenzionale e le caratteristiche del mentitore (malinger); l’effetto degli interrogatori e delle interviste investigative sul teste e sulla sua testimonianza.
Tra le componenti cognitive che sono coinvolte nel processo della testimonianza è soprattutto la memoria a giocare il ruolo più importante: ricordare è un processo ricostruttivo e non riproduttivo (Mazzoni, 2003; Antonietti, Breda, & Fiorina, 2006). Un testimone, chiamato a ricordare, si dispone intenzionalmente a recuperare delle informazioni attraverso percorsi indiretti e inferenziali, collegando tra loro frammenti mnestici accessibili al fine di costruire una narrazione dotata di senso. In altri termini, spesso ci troviamo nella condizione di attivarci, mediante procedimenti che controlliamo direttamente, a recuperare informazioni che in maniera più automatica, meno consapevole, abbiamo immagazzinato in memoria.
Ciò si complica se pensiamo che un ricordo non è mai la fotografia esatta dell’evento che siamo chiamati a testimoniare:
Il modo in cui un evento è rappresentato nella memoria di un soggetto, infatti, non corrisponde ad una replica esatta dell’evento, ma riflette la modalità in cui questo evento è stato elaborato dal soggetto sulla base di un insieme di fattori psicologici e ambientali (Gulotta, 1987; Grey, 1997). La memoria che il testimone ha dell’evento cui ha assistito è piena di lacune, distorsioni, invenzioni. Infatti in generale l’essere umano non percepisce passivamente le informazioni, ma agisce su di esse, codificandole ed elaborandole sia consapevolmente (in modo tale da immagazzinarle in maniera logica, coerente e produttiva) sia inconsciamente (in tale processo concorrono infatti interferenze esterne, forti stati emotivi e/o stress) (Cavedon& Calzolari, 2005).
Pertanto, il ricordo non è mai completo e perfettamente aderente alla realtà: in memoria vengono immagazzinate informazioni distorte in funzione di vari fattori, tra i quali conoscenze preesistenti, presenza di informazioni disponibili al momento dell’evento, di informazioni seguenti allo stesso:
ci sono dati interessanti a questo proposito che dimostrano come le conoscenze più recenti possano influire e modificare la ricostruzione che facciamo di un episodio. Un fenomeno chiaro e da lungo tempo conosciuto è rappresentato dall’hindsight bias, o pregiudizio nel ricordo (Mazzoni, 2003),
il cosiddetto giudizio retrospettivo. Inoltre, fattori di personalità, credenze ed esperienze personali passate o recenti, modalità di fruizione dell’evento da testimoniare e altre variabili influenzano le memorie del testimone:
I processi costruttivi sono specificamente presenti nel momento in cui si tenta di recuperare elementi in memoria, ma non si trova niente. In questo caso, se la convinzione è che qualche cosa sia accaduto, ma che non possa essere ricordato al momento, si fa uso inizialmente degli elementi e delle informazioni disponibili […] e in base a queste si costruisce uno spazio mentale. Questo scenario mentale contiene quindi inizialmente schemi di avvenimenti, conoscenze e informazioni. In un secondo tempo esso attiva alcuni frammenti di ricordo che sono attinenti al tema che si vuole ricordare. In tal modo si elabora un vissuto che non è un ricordo vero, è uno pseudo-ricordo che naturalmente ricordo non è, ma che dopo tempo viene vissuto come tale. Si tratta della costruzione di un ricordo falso (Mazzoni, 2003).
Ognuno di noi, quindi, adatta i propri ricordi in base a schemi personali che possono sia distorcere sia accrescere la memorizzazione; ciò dipende da quanto la nuova informazione si adatti a questi schemi preesistenti. (Caso &Vrij, 2009)
Questo spiega come anche il testimone oculare, generalmente non intenzionato o non interessato a mentire, possa dare un resoconto testimoniale diverso dal reale svolgimento dei fatti (Cavedon& Calzolari, 2005). Ad esempio, gli stereotipi possono influenzare il ricordo sin dal momento in cui lo stiamo formando. In un famoso esperimento di Allport e Postman del 1947 veniva chiesto ai soggetti di riportare il contenuto di alcuni fotogrammi che ritraevano un uomo bianco con un coltello alla mano puntato contro un uomo di colore ben vestito. Nella resocontazione finale, più della metà dei soggetti sbagliò attribuzione, cioè asserendo che era l’uomo di colore quello mal vestito che impugnava l’arma.
Quanto finora considerato in merito alla ricostruzione testimoniale assume un aspetto specifico nel caso delle testimonianze di incidenti stradali, avvenimenti che peraltro in sé sono inoltre caratterizzati dal fatto di essere imprevedibili ed estremamente complessi: generalmente è impossibile fare attenzione ad ogni elemento dell’incidente e ricordarne ogni dettaglio. Anche solo la velocità dell’accadimento è un ostacolo alla percezione: l’occhio umano non è fatto per recepire informazioni che si svolgono in un lasso di tempo così breve. È stato stimato che non abbiamo consapevolezza di un input prima di 100-300 millisecondi (De Cataldo Neuburger, 1988).
Le ricerche rilevano che una persona riferisce solamente un terzo dell’evento cui assiste e che, in parte, tale resocontazione risulta errata, soprattutto qualora venga integrata ad un interrogatorio (Rivano &Vangi, 2011). La testimonianza diviene inutilizzabile qualora presenti una fedeltà del 50%. Spesso numerosi errori testimoniali dipendono dal fatto che l’interrogatorio tende ad assumere i connotati di un colloquio suggestivo: anche involontariamente, l’investigatore non gestisce la relazione con il teste secondo modalità che consentano di favorire un ricordo quanto più accurato. Solitamente, infatti, il colloquio assume un’impostazione asimmetrica, poiché colui che interroga svolge un ruolo socialmente più “potente” dell’interrogato, il quale spontaneamente tende a modellarsi sulla base del comportamento verbale e non verbale dell’interrogante.
Una situazione di questo tipo inevitabilmente facilita lo sviluppo della compliance (Caso &Vrij, 2009) o della classica desiderabilità sociale, per cui il testimone risponde all’interrogante secondo quanto ritiene che quest’ultimo voglia sentirsi dire, solo per elevare la propria immagine agli occhi di colui che in quel momento percepisce come superiore a se stesso. Accanto a tale comportamento, intervengono regole conversazionali di base quali la tendenza a rispondere affermativamente o la propensione a modificare la propria risposta originaria qualora l’intervistatore ripeta altre volte la stessa domanda. Inconsapevolmente, capita che quest’ultimo trasmetta segnali non verbali che possono essere interpretati dal teste come feedback negativo oppure un rinforzo circa quanto sta esponendo. L’interrogante ha un proprio modo di vedere la situazione, sulla base del quale agisce ponendo domande coerenti con ipotesi soggettive che potrebbero non essere condivise dal testimone; il fatto che quest’ultimo risponda compliante alle domande rappresenta per l’investigatore una implicita conferma delle proprie ipotesi. Il ruolo “superiore” assunto dall’interlocutore porta il teste a modificare il proprio ricordo sulla base della expertise che attribuisce all’interlocutore stesso.
In riferimento agli incidenti stradali, principalmente, il numero di errori in una testimonianza è più elevato in ciò che il teste riferisce relativamente alle fasi pre-urto e peri-urto (gli elementi che peraltro interessano maggiormente agli operatori di giustizia), in quanto la durata degli avvenimenti che occorrono in tali lassi temporali è estremamente bassa: si parla di pochi decimi di secondo, una frazione di tempo talmente esigua che l’occhio umano non riesce né a vedere né, di conseguenza, a codificare completamente il fatto (Rivano &Vangi. 2011).
Vi sono inoltre differenze individuali nel modo di percepire, legate a esperienze e caratteristiche soggettive (De Cataldo Neuburger, 1988). Durante la ricostruzione si può notare che il teste tende a colmare le lacune che possiede circa la dinamica dell’incidente, cercando di costruire con ragionamenti causali cosa ha portato all’urto stesso (Antonietti, Breda, & Fiorina, 2006). A ciò si aggiunge la propensione degli investigatori a porre domande per provare a comprendere le lacune dei testimoni, conducendoli a ricercare e proporre spiegazioni che recano ulteriori danni al loro ricordo: in altri termini, la testimonianza richiesta può vertere su aspetti dell’incidente cui l’individuo non ha prestato attenzione, con conseguente inaccurata rilevazione degli stessi.
Anche qualora la testimonianza riguardi specifici elementi su cui si è realmente indirizzata l’attenzione del testimone, occorre considerare i limiti delle capacità percettive, come precedentemente descritto. Inoltre, gli studi in merito mostrano come il solo atto di immaginare qualcosa induca a credere che ciò sia accaduto realmente: ripensare agli eventi, raccontarli ad altri, ripeterli a se stesso, sentirli in televisione comportano la creazione di scene differenti e la credenza conseguente che essi abbiano assunto una piega effettivamente diversa da quanto si ricorda; si giunge pertanto a non poter più scindere ciò che si immagina e ciò che si è immagazzinato inizialmente in memoria.
Alla selezione necessaria ed involontaria che gli organi di senso attuano nel momento in cui la realtà viene codificata (Antonietti, Breda, & Fiorina, 2006) si aggiunge il meccanismo di attribuzione di significato a quanto viene elaborato, per cui il testimone produce una ricostruzione di quanto ha visto che, inevitabilmente, si distacca dalla reale dinamica dei fatti: l’errore consiste dunque in una scorretta significazione in merito a quanto la persona ha colto oppure in un’attribuzione di senso parzialmente adeguata, cui tuttavia fa da contraltare l’aver scambiato gli attori e gli elementi in gioco; oppure, ancora, aver prodotto una commistione tra conoscenze o esperienze di avvenimenti precedenti con il fatto attuale, al fine di rispettare le proprie esigenze di assegnazione di un significato (Antonietti, Breda, & Fiorina, 2006). Ad esempio, a seguito di un incidente tra un’auto proveniente da destra e un motociclista senza casco proveniente da sinistra, i testimoni potrebbero ricordare che la moto è giunta da destra, che il motociclista indossava il casco, che la moto si è scontrata con un piccolo camion anziché con un’auto e così via. La complessità dell’evento-incidente in sé e la cattiva interpretazione della situazione da ricordare possono creare false testimonianze non intenzionali.
L’interpretazione degli eventi codificati è maggiormente presente nel momento in cui si elaborano azioni compiute da esseri umani, ossia non meccaniche: in tal caso intervengono gestione, attribuzione ed assunzione di pensieri, emozioni, intenzioni guidati da ulteriori aspetti cognitivi, affettivi, sociali e culturali quali gli schemi mentali e, soprattutto, gli script. Gli aspetti considerati dissonanti dai suddetti copioni tendono a venire “normalizzati”, riportati dunque ad esperienze familiari (Antonietti, Breda, & Fiorina, 2006). Ad esempio, indossare il casco alla guida di una moto è una legge talmente radicata nella nostra cultura che abbiamo nella nostra mente lo script del motociclista che automaticamente indossa il casco: di conseguenza, potrebbe accadere che, nell’esempio precedente relativo all’incidente tra moto e auto, il testimone ricordi che il motociclista indossava il casco non per un ricordo concreto, bensì perché ciò rientra nello script per cui un motociclista indossa automaticamente un casco.
Anche la scelta dei termini dell’intervistatore può modificare la memoria del testimone. In un noto esperimento di Loftus e Palmer (1974), i partecipanti dovevano osservare un filmato di un incidente automobilistico. Nello specifico, l’elemento peculiare dello studio era incentrato sulla velocità con cui procedeva l’auto che ha generato lo scontro. Il campione era stato suddiviso in cinque gruppi ed a ciascuno di questi è stata posta la medesima domanda con una minima varietà: al primo gruppo si è domandata la velocità dell’automobile quando si è “scontrata” con l’altro veicolo; al secondo gruppo è stata richiesta la velocità della stessa nel momento in cui ha “colliso” con l’altro veicolo; con il terzo gruppo si è utilizzata l’espressione “ha urtato”; con il quarto “ha colpito”; con il quinto “è entrata in contatto”. Ogni verbo possiede una peculiare significazione ed i risultati dell’esperimento mostrano come le persone modifichino la propria risposta circa la velocità del mezzo a seconda della forma utilizzata: tra “entrare in contatto” e “scontrare” è emersa una differenza di 10 chilometri orari.
Molte ricerche si sono focalizzate sullo studio del post-event information effect, ossia dell’influenza che hanno informazioni successive all’incidente sul ricordo. Loftus, Miller e Burns (1978) e Bekerian e Bowers (1983) attuarono alcuni esperimenti dai quali emerse la conclusione che la memoria del testimone appare esposta all’influenza dell’informazione presentata successivamente all’avvenimento osservato. È stata addotta come spiegazione l’ipotesi che le domande vengono integrate nella rappresentazione mnestica dell’incidente, causando dunque una ricostruzione o una modifica delle informazioni originariamente immagazzinate in memoria (Loftus, Miller, & Burns, 1978): ad esempio, nell’esperimento di Loftus, pur avendo osservato in un filmato un cartello stradale di stop, i soggetti confermarono successivamente di aver visto un segnale di precedenza, in quanto ciò era suggerito dalle domande poste dallo sperimentatore. A distanza di tempo, ai soggetti venne richiesto di ricordare nuovamente il segnale stradale che avevano visto nel video e più della metà di costoro affermò che fosse un cartello di precedenza.
Molti autori (e.g. Hornby, 1974; Loftus, 1975; Loftus, Miller, & Burns, 1978) affermano che i presupposti inclusi nelle domande tendenziose generalmente influiscono sulla comprensione e sulla memoria, in quanto le persone tendono a considerarli come fatti realmente avvenuti, siano essi veri o fittizi. In un esperimento di Loftus (1975) era chiesto al gruppo sperimentale se avessero visto i bambini salire sullo scuolabus, sebbene non vi fosse alcuno scuolabus nel filmato di cui avevano appena preso visione. Una settimana dopo, sottoponendo nuovamente i soggetti ad ulteriori domande relative al suddetto filmato, il gruppo sperimentale ricordava il fatto erroneamente presupposto in misura maggiore rispetto al gruppo di controllo.
Ricerche recenti sono volte allo studio anche degli altri elementi percettivi coinvolti nella testimonianza di incidenti stradali: infatti, un testimone oculare non costruisce i propri ricordi solamente sulla base di informazioni visive. I segnali percettivi passano attraverso i differenti canali sensoriali e vengono elaborati ed integrati, costruendo una cornice dotata di senso. Alcuni autori mostrano particolare interesse per le informazioni prettamente uditive; ad esempio, uno studio di McAllister, Bregman e Lipscomb (2002) propone di analizzare il post-event information effect in funzione della natura uditiva oppure visiva delle informazioni. Nello specifico, gli autori intendono verificare quale delle due condizioni è maggiormente esposta a tale bias. Dai risultati della loro ricerca emerge che la condizione uditiva è meno accurata e maggiormente vulnerabile al post-event information effect e tali conclusioni sono state replicate in un esperimento successivo.
Approfondire gli studi in merito agli elementi non solo visivi della testimonianza permette di raccogliere informazioni più ampie sul fenomeno della testimonianza anche in funzione degli eventi da ricordare. Per esempio, la velocità dei veicoli non viene solamente osservata, in quanto si verifica un cambiamento nel volume e nella tonalità del suono nel momento in cui essi si avvicinano o si allontanano dal luogo in cui si trova il testimone: parametri uditivi possono dunque rivelarsi utili variabili stimatrici della velocità a cui andavano i mezzi eventualmente coinvolti in un incidente e possono consentire di raccogliere maggiori informazioni sulla testimonianza deposta.
È evidente quanto la ricerca in ambito di psicologia della testimonianza sia molto ricca e fornisca un ampio contributo, soprattutto poiché essa si configura quale fertile terreno di incontro multidisciplinare volto all’analisi di un fenomeno estremamente complesso, delicato ma anche profondamente affascinante.