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Languishing e Covid-19

Con il termine Languishing si definisce uno stato di assenza di benessere, caratterizzato da indifferenza e rassegnazione, tipico degli effetti della pandemia da COVID-19

Di Ilaria Di Paola

Pubblicato il 11 Mag. 2021

Sono trascorsi ormai molti mesi dall’inizio della pandemia di COVID-19, che ha avuto un impatto drammatico sulla società contemporanea e ha cambiato in modo significativo le abitudini di tutti noi. Nonostante si sia assistito ad un incremento della competenza relativa alla gestione della convivenza forzata con il COVID-19 e benché i paesi di tutto il mondo stiano gradualmente provando a riconquistare, mediante le riaperture, la tanto agognata normalità perduta, sembra permanere nella popolazione una sensazione inspiegabile, caratterizzata da un’assenza di benessere, che prende il nome di “languishing” (languore).

Cosa vuol dire Languishing

Languishing è un termine inglese adottato dal sociologo e psicologo Corey Keyes e che in lingua italiana può essere liberamente tradotto come “languire”.

Si configura come uno stato di vuoto e stagnazione, che può caratterizzare alcuni individui. Si colloca a metà tra il benessere e la patologia; non indica, infatti, un disturbo psicologico, ma è tipico di chi mostra bassi livelli di benessere (Keyes, 2002).

Keyes ha avuto la possibilità di constatare in uno studio empirico da lui condotto e che ha coinvolto 3032 adulti, sia uomini sia donne, di età compresa tra i 25 e i 74 anni, come ben il 12,1 % del campione della ricerca presentasse il languishing: si tratta di individui che non manifestavano nessun disagio psichico specifico, ma che, nonostante l’assenza di disturbi, non stavano comunque “fiorendo” e prosperando.

Languishing nell’epoca del COVID-19

Come siamo giunti al languishing?

Prima di “languire”, abbiamo vissuto collettivamente l’angoscia per l’inizio della pandemia, la quale ci ha posti a confronto con varie forme di perdita: perdita di una persona cara, del lavoro, degli amici, dei momenti di svago… Le nostre “vecchie” vite sono state temporaneamente messe a riposo e, mese dopo mese, ci siamo arenati fino a raggiungere una condizione di stallo caratterizzato da indifferenza e rassegnazione, che rappresentano terreno fertile per l’insorgenza del languishing (Pope, 2021).

Lo psicologo statunitense Adam Grant ha identificato il languishing come l’emozione che dominerà in modo prevalente il 2021 (Grant, 2021).

Le sensazioni che stiamo già provando oggi e che probabilmente ci accompagneranno nei mesi seguenti non sono tristezza e assenza di energie, bensì mancanza di gioia e di scopi. Ciò a cui stiamo andando incontro, infatti, non sono né il burnout né la depressione, ma, piuttosto, il languishing. È come, scrive Grant, confondersi tra i giorni, come osservare le nostre vite attraverso un vetro appannato. Non siamo depressi, ma, al tempo stesso, non stiamo funzionando al massimo delle nostre potenzialità. Ciò avviene perché stiamo sperimentando ormai da molti mesi l’assenza di una serie di aspetti positivi: programmazione di obiettivi, raggiungimento di soddisfazioni, socializzazione e interesse per la vita (Keyes, 2002).

Il languishing determina difficoltà di concentrazione e spegne la motivazione e, di conseguenza, influenza negativamente il rendimento scolastico e/o lavorativo e le relazioni sociali.

Nessuno è immune dal “languire”, tuttavia i soggetti che risultano più competenti nella gestione dello stress sono meno inclini ad esso, in quanto si mostrano più resilienti e si lasciano sopraffare meno dagli eventi. Coloro che sono geneticamente predisposti a condizioni psichiatriche o hanno una storia di ansia o depressione hanno, invece, maggiori probabilità di soffrire di languishing rispetto ad altri, così come i soggetti estroversi, che si sentiranno più frustrati a causa della riduzione, determinata dalle restrizioni subentrate all’inizio della pandemia, delle occasioni di socializzazione (Gillespie, 2021).

Languishing: possibili interventi

Il languishing rappresenta un vuoto penetrante nell’anima, difficile da riempire, il che significa che questo stato di stagnazione è in realtà una forma di sofferenza, anche se non lo riconosciamo molto. Ciò che rende subdolo il languishing è che, per chi lo sta vivendo, è difficile identificarlo: spesso non si riesce a individuare questa forma di sofferenza latente e, quindi, si rimane indifferenti, non chiedendo aiuto.

Cosa si può fare quindi?

  • Alcuni consigli (Grant, 2021) per affrontare il senso di vuoto del languishing sono:
  • dare un nome alle sensazioni percepite: aiuta a prendere coscienza del problema e a rendere più chiara una condizione inizialmente ambigua e confusa;
  • ricordarsi che non si è soli: il languishing è uno stato d’animo comune e sono molte le persone in tutto il mondo che stanno provando in questo momento le emozioni ad esso riferite;
  • focalizzarsi su piccoli obiettivi giornalieri: sono un modo per “rinnovare” l’entusiasmo partendo da piccoli passi.

Ma il principale antidoto contro il languishing è il flow, il flusso, ossia quello stato di piacevole abbandono che fa perdere temporaneamente la cognizione del tempo e dello spazio e che si prova quando si viene “assorbiti” da qualcosa. Lasciarsi andare e immergersi nella realizzazione di progetti personali che ci gratificano “accende” la motivazione e contrasta il senso di vuoto, con conseguente innalzamento dei livelli di benessere percepito. Portare a termine un lavoro o dedicarsi ad un hobby sono dei semplici esempi di attività che, coinvolgendo il soggetto, riescono ad allontanarlo dalla negatività (Betti, 2021).

Prospettive per il futuro

Non siamo attualmente in grado di prevedere se il languishing si evolverà con certezza in disturbi depressivi negli anni futuri, anche se una ricerca condotta da Keyes ha mostrato che le persone che hanno maggiori probabilità di sperimentare grandi ansie e depressioni nei prossimi 10 anni sono in realtà quelle che languiscono in questo momento (Keyes, 2010). Quel che è certo è che si tratta di un fenomeno dilagante che non deve essere sottovalutato. Ecco perché è importante non trascurare gli effetti sulla psiche di quella che, ormai è evidente, non è più solo una emergenza sanitaria ma anche psicologica.

Conclude, infatti, Grant: “non depresso non significa non essere in difficoltà. Non essere in burnout non significa essere entusiasti ed eccitati. Riconoscere che molti di noi vivono uno stato di languore è il primo passo per dare voce a questo quieto malessere e illuminare un percorso per uscire dal disagio.

Occorre, pertanto, che i professionisti della salute mentale come psicologi, psichiatri e psicoterapeuti siano pronti ad intervenire sul territorio a supporto di quelle persone che ne hanno più bisogno. La speranza è che “quando torneremo a una certa normalità, le persone potranno rinnovare il loro apprezzamento per la vita, in quanto ha doni sorprendenti che ci permettono di prosperare se siamo disposti a prenderli” (Pope, 2021).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Betti, I. (2021). Non depressi, ma privi di gioia. L'emozione del 2021 è il “languishing”. Huffpost Italia.
  • Gillespie, C. (2021). People Are 'Languishing' as the COVID-19 Pandemic Continues. Here's What That Means. Health.
  • Grant, A. (2021). There’s a Name for the Blah You’re Feeling: It’s Called Languishing. The New York Times.
  • Keyes, C. L. M. (2010). Change in Level of Positive Mental Health as a Predictor of Future Risk of Mental Illness. American Journal of Public Health, 100, 12, 2366-2371.
  • Keyes, C. L. M. (2002). The mental health continuum: From languishing to flourishing in life. Journal of Health and Behavior Research, 43, 207-222.
  • Pope, S. (2021). Not depressed, but not flourishing: How 'languishing' became the dominant feeling of 2021, The National Post.
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