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Comuni-CARE, il corpo e la cura oltre le parole (2021) di Valentina Di Ludovico – Recensione del libro

Il libro accompagna il lettore verso il mondo della comunicazione sottolineando che la natura tecnica della parola non basta per essere buoni comunicatori

Di Guest

Pubblicato il 26 Mag. 2021

Il libro “Comuni-care. Il corpo e la cura oltre le parole. Guida pratica: come progettare un training di gruppo sulla comunicazione assertiva” (2021), scritto da Valentina Di Ludovico, Edizioni Alpes, è una guida agile e accessibile a tutti, che connette ed integra il tecnicismo dell’agire professionale a dei mini racconti, offrendo così importanti spazi di riflessione al lettore.

a cura del Dott. Domenico De Berardis – Psichiatra Psicoterapeuta, ASL 4 Teramo

 

Valentina Di Ludovico, Tecnico della riabilitazione psichiatrica, accompagna il lettore verso il mondo della comunicazione sottolineando che la natura tecnica e strutturata della parola non basta per essere “buoni comunicatori”. Bisogna tornare alle origini, alle sensazioni primordiali, al “porre orecchio” al mondo interno per non rischiare di essere sommersi da una società accelerata, che impone prestazioni e modelli perfetti, avulsi dal prendersi cura dell’essere umano. Una guida agile e accessibile a tutti, una guida che connette ed integra il tecnicismo dell’agire professionale a dei mini racconti che si pongono come spazi di riflessione per il lettore.

Si fa un gran parlare del termine assertività, ma spesso questo termine viene abusato oppure usato in contesti che non sono necessariamente corretti. L’assertività è una caratteristica che a che fare non solo, ovviamente, con la pura e semplice “comunicazione” (cosa peraltro ovvia per chi lavora con la salute mentale), ma anche con una caratteristica intima e propria di sé stessi che ci permette di auto affermarci, di interagire col mondo e con gli altri, in modo sempre rispettoso e coerente. Va da sé che l’assertività non è una caratteristica che può essere completamente appresa nel corso della vita. È vero che può essere affinata, può essere implementata, può essere addirittura imitata, ma essa è una caratteristica profondamente umana con la quale, a mio giudizio, si nasce e che si modella a partire dalle esperienze precoci di vita, dalle relazioni genitoriali e amicali, dal clima ambientale più o meno positivo e da tutte le esperienze che si fanno nel corso dell’esistenza.

La comunicazione assertiva presume un’assertività personale, su questo credo non ci siano dubbi. Inoltre presuppone sempre anche il rispetto dell’altrui opinione, per quanto questa possa essere, entro certi limiti, disfunzionale e fonte di malessere. Non possiamo essere comunicatori assertivi se non rispettiamo l’altrui opinione, anche se consideriamo quest’ultima un’espressione psicopatologica oppure un’idea che noi personalmente non condividiamo o rifiutiamo. Per essere efficaci comunicatori assertivi bisogna innanzitutto avere autoconsapevolezza, livellare la propria autostima, aspettarsi sempre una sorpresa dall’interazione con l’altra persona, cercare di non travalicare i propri limiti, di non essere kamikaze e di conservare sempre una caratteristica che nel mondo moderno spesso è negletta o ignorata, cioè l’empatia. La comunicazione assertiva, inoltre, serve anche per modulare il modo di veicolare le informazioni a seconda del contesto in cui noi ci troviamo: è possibile, in alcuni casi, che di fronte a determinate situazioni possiamo anche usare una comunicazione non troppo assertiva, modulandola a seconda del contesto.

L’errore che si fa spesso nella comunicazione è quello di sembrare “ex cattedra”, con atteggiamenti giudicanti e sprezzanti, quasi a voler ribadire che il mio modo di voler veder le cose è il modo corretto, mentre il modo altrui è assolutamente sbagliato e da cambiare. Questa non è in nessun modo una comunicazione assertiva, perché l’essere giudicanti presuppone che io, a priori, non rispetti l’opinione altrui, pur dissentendo da essa. Sono intimamente anche convinto che la comunicazione giudicante, non rispettosa, maldestra sia esattamente ciò che bisogna evitare in qualunque contesto e a maggior ragione quando si ha a che fare con la salute mentale e la sofferenza psichica.

La comunicazione assertiva, a mio modesto avviso, presuppone inoltre una consapevolezza delle proprie emozioni, dei propri sentimenti, stati d’animo e la capacità di poterli comunicare all’altro, non solo verbalmente ma anche usando tutti gli strumenti del linguaggio non verbale e dunque del non detto. Per di più noi sappiamo perfettamente che porsi in contrapposizione assolutamente ferma e mai opinabile porta molto raramente a risultati efficaci quando si comunica con un’altra persona che ha opinioni o pensieri che divergono dai nostri. La capacità di modulare la nostra opinione, senza ovviamente risultare falsi o fintamente accondiscendenti, è una capacità fondamentale nella vita umana per avere sane relazioni che possono in qualche modo permettere sia a noi stessi che agli altri di raggiungere i propri obiettivi e trovare punti di condivisione a volte assolutamente inaspettati.

Naturalmente la comunicazione assertiva è un qualcosa che tutti gli operatori della salute mentale conoscono sin troppo bene quando hanno a che fare con i disturbi psichiatrici gravi. Basti pensare agli errori di comunicazione che si fanno con le persone affette da depressione maggiore quando si dice loro “…tirati su dai, ce la devi fare da solo, hai tutte le possibilità per farcela, non essere triste, hai tutto dalla vita, eccetera”: questa comunicazione, che apparentemente potrebbe sembrare assertiva, in realtà è l’esatto contrario perché nasconde una totale irrispettosità di quella che è la situazione dell’altra persona e adombra il presupposto che il mio punto di vista sia assolutamente quello giusto e che l’altro sia semplicemente un errore. Sappiamo quanto questo genere di comunicazione possa creare problemi e peggioramenti proprio nei casi di depressione, per fare un esempio che sia facilmente comprensibile a tutti. In realtà la comunicazione assertiva noi la usiamo sempre molto finemente, gestendola a volte in modo inconsapevole anche in tante altre occasioni. Basti pensare a quelle situazioni in cui ci ritroviamo a gestire, ad esempio, un episodio psicotico in una persona con disturbo di personalità, forse uno dei più impegnativi e stressanti quadri che possiamo incontrare nella pratica clinica.

Sono fermamente convinto che l’assertività e la comunicazione assertiva non possono prescindere poi da una caratteristica fondamentale che sempre più viene trascurata: il buonsenso. Il buonsenso ci guida nelle scelte quotidiane, ci rende capaci di affrontare le complesse interazioni umane di tutti i giorni, ci restituisce il valore e il significato delle cose vere e della vita. Il buonsenso stesso è un valore fondante di ogni azione che noi facciamo, di ogni colloquio che intraprendiamo, di ogni gesto quotidiano. Dunque, nella comunicazione assertiva, il buonsenso è assolutamente un punto fermo. Ci può stare anche l’impulsività nella comunicazione, anche in presenza di buon senso, ma ove essa sia esagerata bisogna rimodularla, ammettere i propri sbagli, cambiare opinione ove possibile e necessario, riuscire a comprendere che dobbiamo imparare dall’esperienza e che gli errori, come esseri senzienti e umani, possiamo commetterli, ma che da essi dobbiamo trarre insegnamenti fondamentali.

Il volume di Valentina di Ludovico rappresenta una innovazione importante nel panorama dei tanti testi dedicati alla comunicazione e all’assertività per una serie di ragioni. L’autrice parte dal presupposto che fare riabilitazione non possa avvalersi di schemi rigidi e di manuali applicati e già questo consente di affermare che si entra in un campo in cui la comunicazione assertiva svolge un ruolo fondamentale: quanto può essere difficile capire gli schemi mentali dell’altro, mettersi nei panni dell’altro, risuonare emotivamente con l’altro, intercettarne i bisogni e i desideri, capire cosa egli desideri della vita e cosa in realtà gli manchi? È molto semplice: in realtà snobbare unificazione con l’altro e imporgli forzatamente quello che è nella nostra mente, quello che noi riteniamo giusto, quello che per gli studi che abbiamo fatto pensiamo sia una verità assoluta. Questo ci allontana molto spesso dall’altra persona perché non ci consente di entrare in comunicazione empatica con essa: quando abbiamo a che fare con una persona che soffre, e che magari è affetta da un disturbo psichiatrico grave, ci si rende conto nella pratica clinica quanto il seguire modelli standardizzati sia spesso fallace e fonte di incomprensioni.

L’autrice introduce il personaggio di Mindy, la quale porta la propria esperienza in prima persona, con tutte le difficoltà di comprensione dell’altro e di instaurazione di una comunicazione efficace e assertiva. Questo è un altro grande vantaggio del libro che permette una sorta di percorso guidato, permettendoci a nostra volta di empatizzare con gli utenti e, di fondo, con la stessa Mindy. Un altro aspetto di grande importanza è dato dal fatto che la comunicazione assertiva presuppone la conoscenza di quel complesso mondo fatto di infinite sfumature che appartiene all’altro e che non può essere riduttivo o ridotto a pura e semplice deduzione dall’alto. L’immedesimarsi è capacità centrale e in qualche modo anche, entro certi limiti, affinabile.

Potrei citare tanti altri valori e vantaggi che possiamo trarre dalla lettura di questo libro, ma mi piace soffermarmi soprattutto su uno di essi: la creatività. Comunicazione assertiva significa attingere alle proprie risorse interne e, principalmente, alla creatività personale, caratteristica presente in modo più o meno sfumato in tutti noi. Attenzione però, creatività non intesa nel senso che ogni cosa è permessa ma bisogna essere creativi sempre nel rispetto altrui, di alcuni protocolli e della validità scientifica di essi. Esercitare la comunicazione assertiva usando la creatività e l’accesso al proprio mondo emotivo è sempre fonte di illuminazione e di guida, per dirimere schemi maladattativi, fornire risposte capaci di comprendere la sofferenza ed evitare di entrare in circoli interpersonali disfunzionali che sappiamo bene essere alla base di molti quadri di cronicizzazione.

Il “fare” non corrisponde al “saper fare”, lo sappiamo bene, e certe volte lo dimentichiamo convinti che non abbiamo più nulla da imparare e che si possa fare, senza necessariamente dovere continuamente apprendere dalle nostre esperienze e dalla lettura di testi fondamentali. Il libro di Valentina Di Ludovico aiuta a saper fare e dunque, forse, tra tutti, questo è il miglior pregio che può derivare dalla sua lettura.

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Comuni-care (2021) di Valentina Di Ludovico - Recensione del libro

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Di Ludovico, V. (2021). Comuni-care. Il corpo e la cura oltre le parole. Guida pratica: come progettare un training di gruppo sulla comunicazione assertiva. Edizioni Alpes - LINK AL SITO DELL'AUTORE
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