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Una vita che consuma sé stessa

Il rapporto con se stessi e le relazioni con gli altri, la vicinanza fisica e l'intimità, incertezze, paure e ambiguità del mondo che ci circonda.

Di Marvin Rosano

Pubblicato il 29 Apr. 2021

L’esperienza del Covid, ci ha portato ad un totale stravolgimento del senso del tempo, dello spazio e di una serie di credenze sulla relazione con noi stessi e con gli altri che davamo per scontate. Siamo obbligati a stare a distanza, ma ciò ci permette di considerare distanza e vicinanza come entità non necessariamente contrapposte.

 

L’attuale situazione del Covid ci ha messo e ci mette tuttora di fronte ad una profonda ed angosciante ambivalenza: la spinta della vita a volersi affermare senza riconoscere i limiti, i quali vengono percepiti come fonte di profonda ingiustizia e privazione, e la necessità di voler preservare i limiti di fronte al ritorno insistente della malattia (Recalcati, 2021). Massimo Recalcati, nell’articolo La nuova materia è la riscoperta dell’altro, si domanda:

Questa oscillazione, questa ambivalenza, che con tale termine presuppone quindi un’irriducibilità di entrambi i poli, non rappresenta forse un’esasperazione di quello con cui la vita, nella sua quotidianità, ci mette costantemente a contatto? (Recalcati, 2021)

L’esperienza del Covid, ci ha portato ad un totale stravolgimento del senso del tempo, dello spazio e di una serie di credenze sulla relazione con noi stessi e con gli altri che davamo per scontate. Le restrizioni, gli spazi chiusi, l’obbligo delle mascherine, ci pone una modalità differente di considerare la distanza e la prossimità. La distanza, il taglio netto delle restrizioni imposte, il contatto con un virus invisibile che è sempre lì, presente e pertanto ci porta ad abitare una dimensione di precarietà, ci mette a contatto con l’ingovernabile, con uno straniero che ci abita, con il silenzio, con il buio, con la solitudine di un percorso in cui ognuno di noi ha una responsabilità verso il proprio talento e verso la comunità in cui abita. Siamo obbligati a stare a distanza ma ciò ci permette di considerare distanza e vicinanza come entità non necessariamente contrapposte (Recalcati 2021). Ci sono relazioni coniugali di estrema vicinanza, prossimità fisica, concreta, in cui, andando oltre la superficie, quello che domina è un profondo evitamento dell’intimità, quand’anche attraverso un totale diniego della stessa, in cui la paura di prendersi le responsabilità rispetto al proprio desiderio, di coltivarlo attraverso il riconoscimento di un “limite non soltanto esterno ma anche interno”, uno sguardo troppo esterno, troppo orientato dall’ego, porta a ricercare “connessioni” e non relazioni. Zigmut Bauman, nel suo libro, Amore liquido, fa riferimento ad un uomo che nell’attuale società, abbia perso i legami indissolubili, legami dati una volta per tutte e che ricorre pertanto, sempre di più, ad una dimensione performativa (Bauman, 2003), in cui al di là della carica di euforia ed eccitazione, dell’attesa goliardica di ricompense, del bisogno di approvazione, non c’è lo spazio per riconoscere la paura di un intimità che porta sempre un limite nei confronti dell’altra persona, di una dimensione ingovernabile nei confronti della libertà dell’altro, un altro che non può fungere da contenitore dei propri fantasmi e di ciò che non vogliamo riconoscere di noi, un limite che fa parte della vita e della perdita che essa comporta; come direbbe Recalcati, del sacrificio simbolico quale aspetto fondamentale della crescita e del far parte di una comunità (Recalcati, 2021). Paura che se non accolta in quanto possibilità di dare spazio ad altro in noi, al cambiamento interno, porta a sperimentare impotenza. Lo stesso Recalcati, nel libro Le nuove melanconie, accenna all’importanza della dimensione corporea, lo “stare dentro un corpo”, che in quanto tale, comporta sempre una dimensione di angoscia e frustrazione (Recalcati, 2019). Come nelle anoressie, dove il soggetto, nel proprio ideale narcisistico di perfezione, perde il controllo sulla propria “spinta a controllare” tutto ciò che entra ed esce dal corpo, nel dismorfismo corporeo in cui l’angoscia relativa a modificazione nella propria corporeità porta a controllare compulsivamente parti del corpo nelle dimensioni nella forma. Un corpo che presuppone sempre il riconoscimento di una prossimità e di una distanza,  di uno spazio e di un tempo, della fluidità delle sensazioni e degli stati emotivi, della fragilità, del vortice del cambiamento, della vita del corpo che contiene il disordine, lo straniero, che non può essere controllata, programmata ma che vuole essere accolta, prendere forma, mettere radici, ma per farlo, a detta di Hillman, non può fare a meno di “discendere per crescere” (Hillman, 1997) di “fare anima” (Hillman, 2002) all’interno del mondo e non al di fuori, di trasformarsi nella relazione con l’altro e non per l’altro, una relazione che in quanto tale richiede, prima di tutto, di accogliere un’alterità che sta in noi. Bauman, nel suo libro Amore liquido, descrive una persona slegata da tutto, una persona che deve connettersi, costruire reti con frenesia e un senso di urgenza e il tutto per colmare un senso di vuoto. Nelle reti è possibile entrare ed uscire, connettersi e disconnettersi con molta facilità, essere sempre presenti, avendo tutto sotto controllo e contemporaneamente fuggire in un attimo (Bauman, 2003). Sempre Bauman scrive:

Una volta che hai il cellulare, non sei mai fuori o via. Sei sempre dentro ma mai bloccato in un singolo posto. Avvolto in una fitta rete di chiamate e messaggi, nessuno può estrometterti da nulla (Bauman, 2003).

Ciascuna connessione può anche durare poco ma la loro sovrabbondanza è indistruttibile. Non c’è distanza, non c’è separazione, non c’è profondità.

E’ tutto sempre lì, troppo reale, in superficie, una presenza costante, che in realtà porta con sé un vuoto schiacciante, un’assenza di immaginazione, una dipendenza dall’esterno in maniera coatta. Sempre a detta di Bauman, un “homo sexualis”, che è condannato a rimanere sempre incompleto e irrealizzato, in perpetuo movimento, assorbito dagli stimoli, dove l’itinerario viene ridefinito ad ogni stazione e la destinazione finale resta perennemente ignota (Bauman, 2003). Una condizione dove il soggetto vorrebbe colmare l’incertezza, ma che non fa altro che renderla ancora più intollerabile, in cui domina la paura della perdita, l’ossessione dubitativa di avere tralasciato qualcosa di “estremamente importante”, in cui chance di sconosciuta felicità totalmente diverse da qualunque chance esplorata fin ora siano  sempre altrove e non qui, dove uno “sguardo troppo esterno” (Morelli, 2020), come direbbe Morelli, non permette di accogliere quello che in realtà è un limite interno. Ciò che poi rimane in questo convulso bisogno di riempirsi, in questo voler essere dappertutto, in questo tempo che si consuma in una successione di istanti senza nessun legame tra loro, in puri presenti isolati in cui non c’è soggettivazione, non è altro che un senso di stordimento, un’anestesia dove il vuoto non fa altro che autoalimentarsi e ripetersi all’infinito.

Gianrico Carofiglio, nel suo libro Della gentilezza e del coraggio, espone due dinamiche molto interessanti, prese dalla quotidianità, che a mio avviso, permettono di cogliere i dettagli di quella che può essere la nostra relazione con il tempo e lo spazio: la fretta e la rapidità (Carofiglio, 2020). La prima, viene descritta come un’accelerazione fine a se stessa, “la vita che coincide con se stessa” come direbbe Massimo Recalcati (Recalcati, 2017), che dipende in alcuni casi da un’ansia strutturale, un’ipervigilanza che ostacola l’approfondimento e produce mezze verità, se non anche un totale fraintendimento delle idee e dei fenomeni. Un’accelerazione che può anche prendere forma in un eccitamento maniacale, quello che possiamo trovare nel gambling (gioco d’azzardo patologico), nella dipendenza da sesso e da sostanze, in quella che Recalcati definisce come una “Bulimia da denaro” (Recalcati, 2019), dove un ‘eccitazione febbrile del consumo non fa altro che consumare se stessa. Quella che può anche manifestarsi nell’illusoria convinzione di poter sapere tutto senza studio, senza impegno, senza fatica, in un eccesso di presunzione narcisistica, che porta a limitarsi alla superficie delle questioni, senza esaminarle, senza approfondirle, che porta con sé la credenza che se ci sia andata bene una volta, grazie a “doti speciali” e ad un “senso di diritto” in relazione ad esse, potrà andarci bene anche in futuro, e che può trasformarsi in un pericoloso rifiuto, quasi sprezzante, per le (vere) competenze e per i (veri) “saperi” (Carofiglio, 2020). Ciò può essere metaforicamente espresso come l’immagine di una sedia che viene lanciata nello spazio ad una velocità folle e che è destinata a sfracellarsi (Recalcati, 2019). Recalcati, nell’articolo La nuova materia è la riscoperta dell’altro, ci rimanda ad un’altra immagine presa dal romanzo di Paolo Giordano, Divorare il cielo: la folle corsa dei cavalli che tentano di fuggire dal mattatoio, per andare incontro alla vita (Recalcati, 2021). Ma la vita ci chiede di accogliere la perdita, il limite, le nostre paure, le nostre parti più buie. In questa accelerazione, in questa euforia maniacale, invece, si fa avanti un diniego della paura della perdita, della paura della morte, secondo quanto sosteneva la psicoanalista Melanie Klein che, in realtà, contiene un eccesso di vita incatenato alla vita, senza orizzonte, né trascendenza, il quale non accoglie la molteplicità, il paradosso, la metafora, il senso del limite e nessun tipo di argine simbolico. Recalcati, nel libro Contro il sacrificio, presenta una metafora dell’essere umano come “animale ferito”, un “animale morente”. La vita animale, dominata dall’istinto, è vita libera da ogni tabù, da ogni senso della vergogna. La verità di quest’affermazione può essere colta nell’esperienza della nudità. Nel mondo animale non c’è esperienza del corpo nudo, perché egli non è mai davvero nudo. Esso non è mai nudo perché non è mai vestito. Non può conoscere la sensazione dello svestirsi, del mettere a nudo il proprio corpo, perché non può tantomeno conoscere il senso della sua velatura. Perciò, per l’animale non può esistere l’erotismo del corpo, poiché esso si può affermare soltanto quando il nudo è colto attraverso l’abito, svestito, denudato. In quest’ottica, la vita umana è esiliata dalla natura, dalla vita animale e può essere “nuda vita”, soltanto attraverso la rivestitura simbolica (Recalcati, 2017). Tornando alla seconda dinamica tra quelle, sopra citate (fretta e rapidità), questa, viene presentata da Carofiglio, con un breve racconto sulla vita di Picasso. Carofiglio scrive:

Si racconta che una volta Picasso fosse seduto in un bistrot parigino con degli amici e, distrattamente, mentre chiacchierava, facesse un disegno su un tovagliolo di carta. Una signora, seduta ad un tavolo vicino, notò la cosa e chiese al maestro se potesse comprare il disegno. Quando la signora chiese il prezzo, Picasso le indicò una cifra spropositata, perciò la signora esclamò: “Ma come, le ci sono voluti soltanto due minuti”. Picasso stupito rispose: “Signora, si sbaglia: Mi ci è voluta una vita intera”. (Carofiglio, 2020)

La rapidità, quindi, fa riferimento ad un senso di padronanza e competenza, ad un talento che viene coltivato nella quotidianità, nell’allenamento, nello studio, nella pratica, nel “dare una forma alla forza della vita” (Recalcati, 2021), una forza che prende forma da un movimento interno, dal percepire, da uno “sguardo profondo”, in cui l’esperienza di un limite, che se in superficie ci arriva come oppressione della libertà e come  qualcosa imposto dall’esterno, nel profondo rappresenta la sua massima espressione.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bauman, Z. (2003). Amore liquido. Bari: Economica Laterza.
  • Carofiglio, G. (2020). Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e di altre cose. Milano: Feltrinelli.
  • Hillman, J. (1997). Il codice dell’anima. Milano: Gli Adelphi.
  • Hillman, J. (2002). Il mito dell’analisi. Milano: Gli Adelphi.
  • Morelli, R. (2020). Venirne fuori. Quando ti senti senza via d’uscita. Milano: Mondadori.
  • Recalcati, M. (2017). Contro il sacrificio. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Recalcati, M. (2019). Le nuove melanconie. Destini del desiderio nel tempo ipermoderno. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Recalcati, M. (2021, 20 febbraio). La nuova materia è la riscoperta dell’altro. La Repubblica [Milano], pp. 1-3
 
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