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Potere e autorità: i processi psicologici alla base

Il potere è un concetto molto controverso, è una relazione tra individui che porta alla capacità di ottenenere obbedienza.

Di Caterina De Luca

Pubblicato il 14 Apr. 2021

L’obbedienza all’autorità è l’elemento fondamentale della struttura sociale. Non è né giusta né sbagliata, l’eticità dell’obbedienza dipende unicamente dalle disposizioni a cui si è sottoposti e dal contesto entro cui si obbedisce.

 

La folla è un gregge docile incapace di vivere senza un padrone. È talmente desiderosa di obbedire che si sottomette istintivamente a colui che le si pone a capo. (Sigmund Freud)

Il potere è un concetto molto controverso, spesso identificato in una relazione causale diretta. Chi detiene il potere si impone su chi lo subisce. È una relazione tra individui che porta alla capacità di ottenere obbedienza. L’aspetto che si colloca nel rapporto di accettazione o rifiuto del potere è l’autorità. Nell’obbedienza gioca un ruolo fondamentale l’influenza esercitata sul sistema sociale. L’obbedienza prevede una disuguaglianza sociale, ovvero presuppone una persona di posizione sociale superiore che detta il comportamento, la fonte, e una persona di posizioni inferiore che vi obbedisce, il bersaglio (Mucchi Faina et al., 1996). Ci sono azioni che la fonte non può compiere e che quindi richiede al bersaglio. Vi è un’indipendenza tra il comportamento del richiedente e quella di colui che esegue. Queste richieste sono dei comandi espliciti ai quali conformarsi, quindi vi è consapevolezza dell’uniformarsi alla regola o meglio un’intenzionalità del processo d’influenza (Mucchi Faina et al., 1996). Il rapporto tra individuo e autorità può essere inteso come una negoziazione di significati che definiscono l’influenza che l’autorità può esercitare sull’individuo.

La compiacenza è il processo psicologico che sta alla base del fenomeno dell’obbedienza all’autorità (Moscovici & Lage, 1976; Maass & Clark, 1983). Può corrispondere o no all’accettazione privata ed emerge nel momento in cui il bersaglio pensa di evitare sanzioni o di ricavarne un vantaggio, accondiscendendo a quell’ordine. Nel processo dell’obbedienza l’individuo entrando a far parte di un sistema gerarchico viene a trovarsi in uno stato eteronomico, ovvero l’individuo non si considera più libero di intraprendere libere condotte e neanche responsabile delle sue azioni, ma strumento per eseguire gli ordini dell’autorità (Milgram, 1963). Ciò porta ad atti di obbedienza solo se l’autorità dà ordini specifici che definiscono l’azione e contengono l’imperativo di eseguirla. In questo stato cognitivo il soggetto ridefinisce il significato della circostanza accettando e adattandosi alla prospettiva di chi detta le disposizioni. La persona non concepirà più l’ordine a cui obbedisce come scaturito da motivazioni personali, non avrà quindi ripercussioni sul giudizio dell’immagine che ha di sé. Vi è una perdita di attribuzione che porta il bersaglio a sentirsi responsabile nei confronti dell’autorità piuttosto che delle conseguenze delle azioni da lui messe in atto, si ha un dislocamento della responsabilità (Bandura et al., 1996; Caprara et al., 1996). Quando l’individuo entra in uno stato eteronomico è influenzato da fattori distali che lo riportano ad esperienze personali di educazione all’obbedienza, e da fattori prossimali (Milgram, 1963) legati alla relazione tra soggetto ed autorità come l’adesione volontaria al sistema d’autorità, la giustificazione ideologica e la percezione di un’autorità legittima. Attraverso quest’ultima si può motivare e giustificare la posizione dominante, aspetto cardine della fonte. Quindi, possiamo immaginare l’autorità come esercizio legittimato di potere.

La norma dell’obbedienza è insita in tutti noi, in quanto gli individui tendono ad obbedire a chi è dotato di legittima autorità. Con l’idea di potere legittimo, Weber (1961) distingue tre categorie di legittimazione: legittimità tradizionale che sottende la convinzione della validità di una autorità fondata sulla prassi quotidiana, “così è sempre stato, e così sempre sarà”; legittimità carismatica che poggia sulla convinzione del valore esemplare di una specifica persona ovvero il leader; e legittimità legale-razionale che sottoscrive la convinzione basata sulla credenza del valore legale dell’ordinamento statuito. L’autorità produce un modellamento verso il pensiero dell’ordine impartito, senza necessariamente che quest’ultimo lo ritenga giusto o sbagliato (convergenza cognitiva – Nemeth, 1986; Nemeth et al., 1992).

L’obbedienza all’autorità è l’elemento fondamentale della struttura sociale. Non è né giusta né sbagliata, l’eticità dell’obbedienza dipende unicamente dalle disposizioni a cui si è sottoposti e dal contesto entro cui si obbedisce. Si può effettuare una differenziazione tra obbedienza costruttiva e obbedienza distruttiva. La prima afferma la libertà individuale e un’armonia sociale, poiché l’assenza di regole alimenterebbe il caos. La seconda non tiene conto delle conseguenze delle azioni e qui ritroviamo i “crimini di obbedienza”, dove troviamo un basso sviluppo morale. Per Bauman (1992) lo sviluppo morale può essere ostacolato da determinate caratteristiche: una divisione funzionale dei compiti così da non percepire la visione dell’insieme, il distanziamento sociale in modo da depersonalizzare il destinatario, la produzione dell’indifferenza e la sostituzione della responsabilità morale con quella tecnica, così da sentirsi responsabili solo del ruolo all’interno dell’apparato e non delle conseguenze morali delle proprie azioni.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mucchi Faina, A., Pacilli, M.G. & Pagliaro, S. (1996). L’influenza sociale. Bologna: Il Mulino.
  • Moscovici, S. & Large, E. (1976). Studies in social influence, III: Majority versus minority influence in a group. European Journal of Social Psychology, 6, 49-174.
  • Milgram, S. (1963). Behavioral study of obedience. Journal of Abnormal and Social Psychology, 67, 371-378.
  • Bandura, A., Barbaranelli, C., Caprara, G. V., & Pastorelli, C. (1996). Mechanism of moral disengagement in the exercise of moral agency. Journal of Personality and Social Psychology, 71, 364-374.
  • Caprara, G.V., Barbaranelli, C., Vicino, S., & Bandura, A. (1996). La misura del disimpegno morale. Rassegna Italiana di Psicologia, 13, 93-105.
  • Weber, M. (1961). Economia e società. Milano: Comunità.
  • Nemeth, C. (1986). Differential contributions of majority and minority influencer. Psychological Review, 93, 23-32.
  • Nemeth, C., Mosier, K. & Chiles, C. (1992). When convergent thought improves performance: Majority versus minority influence. Personality and Social Psychology Bulletin, 18, 139-144.
  • Bauman, Z. (1992). Modernità e olocausto. Bologna: il Mulino, pp.127-138.
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