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Terapia ‘trasformazioni mente-corpo’ (MBT-T): effetti psicologici sulle donne affette da cancro al seno

La terapia MBT-T consente un dialogo terapeutico mente-corpo per la gestione, il confronto e la soluzione delle problematiche legate alla malattia.

Di Angela De Figlio

Pubblicato il 14 Apr. 2021

Uno studio oncologico pilota indaga gli effetti psicologici e infiammatori della terapia psicoterapeutica mente-corpo (MBT-T) nelle donne con cancro al seno, rilevando una interessante determinazione, come emerge dai risultati preliminari.

 

Uno studio italiano, condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori “Fondazione Pascale” di Napoli, ha rilevato una interessante connessione tra l’attuazione di una specifica terapia mente-corpo e l’entità dello stato infiammatorio insito nello stato di malattia, in particolare qui si fa riferimento al cancro al seno, laddove pare ne sia risultata una riduzione infiammatoria, come evidenziato dalla diminuzione del rilascio di alcune citochine e chemochine, il cui ruolo è noto in processi che mediano l’infiammazione cronica alla base di numerose patologie. I risultati preliminari suggeriscono infatti, che tale terapia detta anche MBT-T possa rappresentare un approccio promettente, per migliorare il benessere e l’esito del trattamento farmacologico nelle pazienti affette da tumore al seno.

Il cancro al seno, in quanto patologia neoplasica maligna più comune, si stima sia la seconda causa più frequente di morte collegate al cancro nella popolazione femminile, con 276.480 nuovi casi nel 2020 negli USA e rappresenta circa il 30% di tutte le diagnosi tumorali. Nonostante l’elevata mortalità della malattia, il tumore al seno ha una prognosi migliore rispetto ad altri tumori aggressivi. In accordo all’aggiornamento biennale dell’American Cancer Society sulle statistiche del cancro al seno femminile, il tasso totale di sopravvivenza a cinque anni è del 99% per quei pazienti con malattia localizzata e dell’86% con pazienti con malattia regionale e tende a scendere al 27% per coloro che invece hanno metastasi. Si stima infatti, che il 20-30% dei tumori al seno in stadio iniziale (eBC) svilupperà metastasi (Cozzolino et al. 2021) legate alla malattia, mentre il 6-10% di tutte le donne diagnosticate presenta una malattia al quarto stadio al momento della diagnosi (1,2).

Diversi studi hanno dimostrato il ruolo chiave dell’infiammazione cronica nello sviluppo del cancro al seno, nella sua progressione, nella formazione di metastasi e nel risultato terapeutico. Tali processi sono mediati da molteplici citochine e ormoni, che esercitano le loro azioni biologiche localmente o a distanza attraverso la circolazione sistemica. Le recenti scoperte suggeriscono che le esperienze psicosociali positive, compresi gli interventi psicoterapeutici che intervengono sulla connessione mente-corpo, possono modulare la risposta infiammatoria riducendo l’espressione di geni e proteine associati all’infiammazione e alle vie legate allo stress. Risultati preliminari dello studio che porta la firma partenopea del gruppo di ricercatori dell’Istituto Pascale di Napoli, evidenziano il legame tra la terapia MBT e il decremento di citochine quali SC, GFbeta, SDF 1alfa, MCP3, GROalfa, LIF e IL-18, come confrontato nelle pazienti affette dalla malattia e pazienti appartenenti al gruppo di controllo.

A causa della elevata eterogeneità, sia a livello cellulare che molecolare, il cancro al seno comprende diversi sottotipi di malattia e secondo l’espressione dei profili genici, questi si distinguono in 3 sottotipi principali: tumori luminal, che sono positivi per i recettori degli estrogeni e/o del progesterone (ER/PgR), Her-2- arricchito, che sovra esprime l’oncogene ERBB2(Her2), o basali simili, anche noti come tumori tripli negativi (TNBC), i quali mancano di recettori ormonali e di amplificazione Her2. Ciascun sottotipo ha differenti caratteristiche sia per quanto concerne l’incidenza, per la risposta al trattamento, il rischio di progressione della malattia e per i siti di metastasi. Ovviamente, la presenza o assenza di tali recettori indirizza la scelta terapeutica farmacologica da sottoporre alle pazienti (terapia ormonale, chemioterapia, immunoterapia ed altre terapie mirate). Poiché le cellule cancerose e il microambiente sono coprotagonisti, il processo infiammatorio deve essere considerato un meccanismo cruciale per la recidiva e la formazione di metastasi. Esso consiste in un processo fisiologico in risposta ad un danno tessutale acuto derivato da molteplici cause quali danni ischemici, infezioni, esposizione a tossine, irritazione chimica e/o diversi tipi di trauma. Quando lo stimolo infiammatorio persiste, l’infiammazione diventa cronica così che nel sito infiammatorio si va a creare una complessa rete di segnalazioni che coinvolge un gran numero di fattori di crescita, citochine, diversi tipi di leucociti, linfociti, altre cellule infiammatorie e chemochine. L’infiammazione cronica è coinvolta in tutte le fasi dello sviluppo del tumore: inizio, progressione e metastasi. Inizialmente, l’infiammazione gioca un ruolo nella soppressione del tumore, stimolando una risposta immunitaria antitumorale, successivamente sembra invece che stimoli la crescita del tumore. L’intensità, la durata e la natura dell’infiammazione possono spiegare questa apparente contraddizione. Un aspetto importante del microambiente tumorale, come spiegato dagli autori, è la comunicazione cellula-cellula. Una delle principali differenze tra cellule tumorali e cellule sane è rappresentata infatti, dalla continua proliferazione delle prime, che presto si traduce in una carenza di nutrienti e di ossigeno, per cui lo stato di ipossia creato durante la crescita tumorale induce alcune citochine e chemochine. Poiché la produzione di citochine è estremamente complessa ed è un meccanismo multifattoriale, l’identificazione di un ruolo specifico nella patogenesi della malattia di una singola citochina resta comunque difficile e forse inutile, mentre potrebbe essere utile esplorare la complessa rete di interazioni utilizzata per regolare sia la sintesi delle citochine che di recettori similari.

Inoltre, come è noto, i geni possono interagire con l’ambiente per modulare il comportamento e la cognizione in condizioni di malattia e salute. Queste interazioni coinvolgono una classe particolare di geni frequentemente definiti come ‘geni di attività’ o ‘geni dipendenti dall’esperienza’, che possono essere attivati da segnali provenienti dal fisico e dall’ambiente psicosociale, che modula le complesse funzioni fisiologiche e psicologiche dell’organismo. I fattori di stress psicosociali sembrano avere effetti dinamici dipendenti dall’esperienza sull’espressione genica, attraverso il coinvolgimento di  numerosi circuiti interrelati, che mediano gli effetti di stress psicosociali sulla fisiologia, sulla biologia cellulare e infine sull’espressione genica (3). Recenti evidenze suggeriscono inoltre, che esperienze psicosociali positive, inclusi interventi psicoterapeutici mente-corpo possono modificare la dinamica trascrizionale dei leucociti in condizioni patologiche legate allo stress, come malattie croniche, cancro e disturbi psichiatrici, riducendo l’espressione dei geni associati alla risposta infiammatoria e alle vie legate allo stress, migliorando la salute mentale corporea, attraverso una corretta negoziazione delle vie per la risposta allo stress. Vivere una patologia come il cancro al seno, infatti, per una donna costituisce inevitabilmente una sfida non solo fisica bensì anche psicologica e sociale. In queste donne, lo stress psicologico cresce notevolmente quando si affronta la diagnosi di cancro e si subisce il trattamento farmacologico. Tali livelli alti di stress, possono spesso incrementare l’infiammazione e sembra essere in realtà mantenuta anche nel periodo post-trattamento nelle donne sopravvissute alla malattia, così come tendono a sottolineare gli autori. Per tale ragione, lo sviluppo dell’assistenza multidisciplinare basata sull’evidenza durante la fase di post trattamento costituisce un’area chiave di grande interesse per la ricerca sul cancro.

Negli ultimi anni gli studi si sono concentrati sia sull’origine psicosociale e culturale dello stress cronico, inteso questo come fattore di rischio serio per lo sviluppo di recidiva di malattia al seno, così come sui bisogni insoddisfatti dei sopravvissuti al tumore al seno, che inevitabilmente induce allo sviluppo di approcci terapeutici basati sull’integrazione dei bisogni medici e psicologici insieme del paziente. Tali studi sono risultati molto interessanti in quanto, hanno chiarito il ruolo della regolazione neuroendocrina alla base delle vie fisiologiche e biologiche rilevanti per lo sviluppo del cancro, dimostrando come le esperienze stressanti soggettive (fattori biocomportamentali) possano influenzare la crescita e la progressione del tumore, tramite il sistema nervoso simpatico (SNS) e l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Inoltre, il processo infiammatorio è stato recentemente associato alla trasformazione del neoplasma e alla crescita del tumore. In particolare, la trasduzione del segnale mediata da NF-kB è implicita nella regolazione virale, nelle malattie autoimmuni, nella risposta infiammatoria, nella genesi dei tumori e nell’apoptosi. Gli studi di genomica funzionale mostrano connessioni interessanti tra terapie mente-corpo e sistema immunitario. In particolare, studi recenti hanno dimostrato che terapie mente-corpo sono in grado di generare una riduzione complessiva dell’espressione dei fattori correlati alla risposta infiammatoria, come appunto NF-kB e per regolare numerose vie coinvolte nell’apoptosi e proliferazione cellulare. Nei malati di cancro, gli effetti di questi interventi sono in grado di contrastare i processi correlati alla crescita del cancro, attraverso la riduzione dell’infiammazione e l’aumento della risposta immunitaria. Le terapie mente –corpo sono in grado proprio di ridurre lo stress stimolando la risposta di rilassamento (RR), che a sua volta modula l’espressione dei geni associati alla risposta infiammatoria (4). Inevitabilmente, tutto ciò determina un miglioramento della qualità di vita, che incide positivamente anche sulla sopravvivenza delle pazienti (5).

Come spiegato nella pubblicazione di Cozzolino e colleghi, la genomica psicosociale costituisce infatti un nuovo approccio definito ‘dall’alto verso il basso’ (ovvero dalla mente al corpo), che esamina la modulazione dell’espressione dei geni in risposta alle esperienze psicologiche, sociali e culturali. Diversi studi hanno mostrato che l’esperienza di un ambiente nuovo e le situazioni mentali promuovono l’espressione genica dipendente dall’attività e dall’esperienza, la plasticità cerebrale, la risposta antinfiammatoria, i processi di guarigione delle cellule staminali, nonché la capacità del genoma di rispondere rapidamente alle esperienze psicosociali degli individui(6,7). Più nello specifico, il paradigma teorico della genomica psicosociale suddetta, comprende un metodo clinico chiamato MBT T, terapia di trasformazione mente-corpo, ovvero un approccio terapeutico integrato, in quanto fondato sugli studi di Erickson e sulla terapia mente-corpo di Rossi, che si applica a gruppi e individui e che si muove da una prospettiva naturalistica della terapia, basata quindi sull’uso di ritmi biologici naturali dell’individuo, in modo da creare le migliori condizioni per attivare i processi di guarigione interiore e affrontare così le diverse sfide dell’organismo (disfunzioni legate allo stress di diversa natura psicologica e disturbi cronici).

I ricercatori inoltre, descrivono la Terapia MBT come un approccio che segue un protocollo strutturato, basato su un processo creativo a 4 fasi, caratterizzato da una semplice procedura da imparare e che consente agli individui di ottenere la riduzione di stress senza necessità di impiegare metodi complessi, tradizionali e intricati. Tale protocollo clinico, infatti, prevede che il terapista mostri ai pazienti dei movimenti dei palmi delle mani, per cui i pazienti si esibiranno a turno imitando tali movimenti, all’interno di ciascuna delle 4 fasi del processo creativo:

  • Fase1- Iniziazione e Aspettativa creativa in cui ci si focalizza sulle sensazioni percepite nell’hic et nunc;
  • Fase2 – Incubazione e Accesso all’esperienza emergente (implica la revisione dei problemi);
  • Fase 3 – Insight e Problem Solving
  • Fase 4 – Valutazione e Pianificazione di valutazione della realtà e cura di sé.

Tutto ciò consente di avviare un dialogo terapeutico mente-corpo in grado di generare una nuova consapevolezza per la gestione, il confronto e la soluzione del problema che il paziente affronta quotidianamente nella sua condizione di malattia.

Nello studio citato, inoltre, non solo si è fatto ricorso al metodo Bioplex Assay, con l’intento di valutare i livelli di citochine in 7 pazienti con cancro al seno inclusi nel gruppo di controllo e 16 pazienti affette dalla stessa neoplasia facente parte del gruppo sperimentale (studio MBT-T randomizzato durante il follow up dopo il trattamento creativo), prima (T0), dopo 1 ora di trattamento (T1) e al termine del trattamento (Tf) , ma i ricercatori si sono anche focalizzati sulle misure di vari altri fattori tramite: la scala di benessere CORE-OM, nota come scala self report impiegata nella valutazione degli esiti della psicoterapia, costituita da 34 items che indagano diverse aree quali benessere soggettivo, problemi e sintomi, funzionalità, rischio), l’HADS ovvero la scala dell’ansia e della depressione ospedaliera, poi una scala di autovalutazione sviluppata per rilevare stati di depressione, ansia e stress emotivo. I risultati ottenuti e descritti ampliamente in precedenza, induce ad una conclusione condivisa ovvero che date le molteplici evidenze, è fondamentale ampliare gli studi clinici in tale direzione.

 

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