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La valutazione dei disturbi alimentari maschili: una riflessione sulle criticità degli strumenti diagnostici

I disturbi alimentari negli uomini potrebbero essere sottostimati a causa di strumenti diagnostici non del tutto adeguati alla popolazione maschile

Di Simone Cadeo

Pubblicato il 16 Apr. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:58

Sembra necessario utilizzare i test diagnostici per i disturbi alimentari con cautela quando si tratta di soggetti di genere maschile, in quanto gli strumenti attualmente presenti e maggiormente utilizzati potrebbero non individuare i soggetti a rischio o comunque fornire una lettura incompleta del disturbo

 

I disturbi del comportamento alimentare sembrano essere diffusi in misura maggiore tra le donne rispetto agli uomini, anche se l’esatta prevalenza tra i maschi rimane ancora incerta (Dahlgren & Wisting, 2016). Sono poche le patologie psichiatriche, e mediche in generale, ad avere una così marcata disparità di genere come i disturbi alimentari. Uno dei motivi di tale divario potrebbe essere spiegata in parte da una componente culturale, dovuta al fatto che permane ancora una certa difficoltà dei maschi ad accedere ai servizi di cura per una patologia considerata tipicamente femminile, ma anche da una mancanza di strumenti diagnostici e di screening adatti a intercettare i disturbi alimentari della sfera maschile. Infatti la maggior parte degli strumenti di assessment oggi disponibili sono basati sull’osservazione clinica dei disturbi del comportamento alimentare nelle donne e che non riflette necessariamente la sintomatologia dei maschi. In particolare, gli uomini con un disturbo alimentare sarebbero più propensi a raggiungere un corpo atletico e muscoloso e meno interessati alla magrezza rispetto alla controparte femminile, sarebbero poi più a rischio di sviluppare forme di esercizio fisico compulsivo (Danielsen et al., 2018). Inoltre, gli studi di validazione degli strumenti diagnostici per i disturbi del comportamento alimentare sono eseguiti su campioni di popolazione quasi esclusivamente femminile (Stanford & Lemberg, 2012; Limber et al., 2018).

A scopo esemplificativo si consideri l’Eating Disorder Examination (EDE), uno degli strumenti più utilizzati, considerato gold standard per la diagnosi dei disturbi del comportamento alimentare. L’EDE è un’intervista semi strutturata focalizzata sul comportamento alimentare dei 28 giorni precedenti e il cui punteggio globale ottenuto viene distribuito su quattro sottoscale: restrizione alimentare, preoccupazione per l’alimentazione, preoccupazione per la forma del corpo e preoccupazione per il peso (Fairburn ,Cooper & O’Connor, 1993). L’EDE è stato creato e ampiamente studiato per la popolazione femminile e per tale motivo gli item dell’intervista sono in grado di catturare in maniera efficace solo gli indicatori tipicamente femminili dei disturbi del comportamento alimentare. A tal proposito Darcy e collaboratori (2012) confrontando i punteggi ottenuti all’EDE di un campione di pazienti femmine e maschi con diagnosi di anoressia nervosa, hanno scoperto che questi ultimi avevano ottenuto punteggi globali più bassi rispetto alle pazienti femmine e in particolare nelle sottoscale “preoccupazione per la forma del corpo” e “preoccupazione per il peso”. Analisi più approfondite sugli item hanno poi rilevato che gli uomini sono meno propensi rispetto alle donne a voler percepire lo stomaco vuoto, avere la pancia piatta, a mangiare in segreto e a desiderare di perdere peso. Risultati analoghi sono stati trovati su uno studio sulla popolazione non clinica, anche in questo caso i punteggi dei maschi erano notevolmente più bassi rispetto alle femmine e nessun uomo del campione è risultato clinicamente significativo al test (Reas et al., 2012). L’unica eccezione degna di nota riguardava l’esercizio fisico eccessivo, segnalato da un terzo dei partecipanti maschi. Dai punteggi dei test inoltre emergerebbe che la correlazione tra Indice di Massa Corporea (IMC) e patologia alimentare sia notevolmente più debole per i maschi rispetto alla controparte femminile. Tale disparità potrebbe derivare dalle differenze di genere riguardanti il corpo ideale. Più nel dettaglio, se per le donne prevale una spinta al dimagrimento (drive for thinness), negli uomini ci sarebbe la duplice presenza della drive for thinness e della drive for muscularity, ovvero della tendenza a desiderare l’aumento della massa muscolare, che naturalmente costituisce un aumento dell’IMC. I dati appena evidenziati qui sopra confermerebbero quanto emerso da uno studio di Pope e collaboratori (2000) che ha coinvolto 200 studenti universitari provenienti da Francia, Austria e Stati Uniti e da cui è emerso che gli uomini prediligono un corpo ideale che abbia in media 13 kg in più di massa muscolare rispetto alla loro attuale. Gli strumenti tradizionalmente usati per la valutazione dei disturbi del comportamento alimentare non prevedono item che misurino il desiderio di guadagnare peso o aumentare la massa muscolare e, per tale motivo, potrebbero non intercettare quelle forme di disagio riguardanti il peso e la forma del corpo tipicamente maschili. Un altro elemento di criticità dello strumento EDE nella valutazione dei maschi potrebbe riguardare la dicitura “perdita di controllo” nella sottoscala “preoccupazioni per l’alimentazione”, infatti da alcune ricerche è emerso che i maschi sarebbero meno propensi a utilizzare questa definizione per indicare gli episodi di iperalimentazione, pur avendo caratteristiche perlopiù simili alla abbuffate delle pazienti femmine con un disturbo del comportamento alimentare (Reslan & Saules 2011, Carrey, Saules & Carr, 2017).

Un altro test molto utilizzato nell’ambito della valutazione dei disordini alimentari è l’EDI-3 (Eating Disorder Inventory – 3), uno strumento di autovalutazione dei sintomi comunemente associati ad anoressia e bulimia (Garner, 2004). Anche in questo caso alcuni item intercettano la preoccupazione riguardante la magrezza, come già detto meno presente nei disturbi alimentari della sfera maschile e quelli che interessano la valutazione della forma del corpo riguarderebbero esclusivamente la dimensione femminile, come la preoccupazione per la grandezza di glutei, fianchi e cosce (Andersen, Cohn & Holbrook, 2000).

A partire da queste osservazioni Stevie C. Stanford e Raymond Lemberg (2012) hanno sviluppato l’EDAM (Eating Disorder Assesment for Men), un questionario self-report per la valutazione dei disturbi del comportamento alimentare specifico per i maschi. Lo strumento è composto da 50 item in grado di rilevare i sintomi del comportamento alimentare tipici degli uomini, è composto da 5 scale che riguardano i problemi legati al cibo, le preoccupazioni per il peso, i problemi legati all’esercizio fisico, le preoccupazioni legate al corpo e i disordini della condotta alimentare. La particolarità dell’EDAM è quella di essere il primo strumento realizzato a partire dalle osservazioni della sintomatologia degli uomini con un disturbo alimentare e validato su una popolazione clinica maschile. Stanford e Lemberg hanno ideato tale strumento partendo dall’esperienza dei terapeuti della Prescott House in Arizona, una struttura specifica per uomini dedicata al trattamento delle dipendenze. Infatti, le testimonianze riportate nel corso degli anni dagli operatori del centro sottolineavano la necessità di trovare un modo per diagnosticare i disturbi alimentari nei loro utenti, in quanto una buona parte di quest’ultimi accedeva al servizio per problemi legati alle dipendenze e tendevano a nascondere, durante il corso della terapia, problematiche legate al peso, alla forma del corpo e all’alimentazione. Gli studi preliminari sull’EDAM indicano che lo strumento ha buone proprietà psicometriche ed è in grado di distinguere i maschi con un disturbo del comportamento alimentare da chi non lo ha, tuttavia mancano studi più approfonditi e sono in corso di validazione le versioni in altre lingue, tra cui quella italiana (Lavender, Brown & Murray, 2017; Folla, De Caro & Di Blas, 2018).

In conclusione, si segnala la necessità di usare i test diagnostici per i disturbi del comportamento alimentare con cautela quando si tratta di soggetti di genere maschile, in quanto gli strumenti attualmente presenti e maggiormente utilizzati (come l’EDE e l’EDI) potrebbero non individuare i soggetti a rischio o comunque fornire una lettura incompleta del disturbo, in quanto tarati sulla sintomatologia tipicamente femminile. Inoltre, si sottolinea l’importanza di continuare la ricerca sugli strumenti diagnostici e di screening per i disturbi del comportamento alimentare maschile in modo da individuare più facilmente i soggetti a rischio e ridurre il pregiudizio di genere ancora presente per questo tipo di patologie.

 

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