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Diabete Mellito di tipo 1: implicazioni psicologiche e efficacia di un approccio integrato in ottica biopsicosociale

Numerosi studi hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto bidirezionale tra stato psicologico e controllo metabolico del diabete di tipo 1.

Di Viola Vinciarelli

Pubblicato il 27 Apr. 2021

Lo psicologo ha un ruolo importantissimo nella gestione del diabete di tipo 1 (T1DM) con lo scopo di garantire l’adesione al programma di trattamento, sviluppare mezzi per affrontare lo stress, sviluppare capacità di autoregolazione e aiutare la famiglia a coordinare i propri sforzi.

 

Il diabete è una malattia endocrina cronica nella quale il corpo non è in grado di produrre o utilizzare correttamente l’insulina e si presenta in due forme primarie: diabete mellito di tipo 1 (T1DM) e diabete mellito di tipo 2 (T2DM). Il T1DM (o insulino-dipendente) rappresenta circa il 10% dei casi di diabete e insorge tipicamente nella tarda infanzia o nella prima adolescenza. Si tratta di una malattia autoimmune derivante dalla complessa interazione di una predisposizione genetica con fattori immunitari e cause ambientali non ancor ben chiare. La prevalenza del T1DM in Italia è compresa tra lo 0.04% e lo 0.1%.

Nel T1DM il sistema immunitario identifica erroneamente le cellule beta pancreatiche come invasori e le distrugge; ciò compromette o elimina la loro capacità di produrre insulina che è un ormone fondamentale per l’organismo poiché regola l’ingresso e l’utilizzo del glucosio nelle cellule. Il diabetico di tipo 1 è dunque particolarmente vulnerabile all’iperglicemia e, se non trattato, può incorrere nel coma o la morte.

I primi sintomi più comuni sono: minzione frequente, sete insolita, consumo eccessivo di liquidi, perdita di peso, affaticamento, debolezza, irritabilità, nausea, desiderio incontrollabile di cibo (soprattutto dolci) e svenimento.  L’imprescindibile terapia farmacologica consiste in somministrazioni quotidiane di insulina, ma è l’approccio integrato medico-psicologico a risultare il più efficace nella cura di questa patologia cronica.

Dal punto di vista psicologico, la comunicazione della diagnosi rappresenta un momento difficile per tutto il sistema familiare così come la gestione della malattia che provoca ansia stravolgendo equilibri relazionali e affettivi preesistenti, nonché le abitudini quotidiane. L’esordio della malattia rischia di diventare fonte di forte malessere e rilevanti problemi psicologici.

Le comuni reazioni alla diagnosi includono: ferita narcisistica, reazione depressiva, atteggiamento di rifiuto e negazione (che porta a banalizzare o addirittura trascurare la terapia quotidiana) e aumento della dipendenza. Nel caso dell’adolescente le cose si complicano maggiormente e occorre individuare nuovi approcci e linguaggi che non rispondono più soltanto ai problemi di ordine medico, ma tengono largamente conto della specificità di questo periodo critico di sviluppo biologico, psicologico e sociale. L’adolescente si confronta con il problema della propria identità, anche sessuale e con la formazione di un’immagine di sé e di un sistema relazionale a partire da un corpo che nel suo funzionamento è “carente”, questo può portarlo ad ignorare la patologia, con ricadute gravi sull’accettazione della terapia e la sua gestione.

Numerosi studi hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto bidirezionale tra stato psicologico e controllo metabolico del diabete di tipo 1. Inoltre, una malattia cronica, insorta in età evolutiva, grava sullo sviluppo emozionale e rientra tra i fattori di rischio per lo sviluppo della personalità.

Stress e depressione minano la buona cura di sé e incidono negativamente sulla patologia del diabetico di tipo 1 che già di per sé presenta generalmente un profilo psicologico caratterizzato da livelli elevati di ansia, stress, ma anche sintomi depressivi.

L’evidente impatto di questa malattia sull’aspettativa e la qualità di vita e i costi sociali ed economici che da essa derivano hanno motivato numerosi tentativi di intervento di prevenzione primaria (tra cui l’intento di trattare la malattia nella fase autoimmune latente), ma allo stato attuale nessuna terapia si è dimostrata efficace. Risulta fondamentale, dunque, riflettere in chiave di prevenzione secondaria e terziaria; queste, pur non permettendo di evitare la comparsa della patologia, sono fondamentali per introdurre comportamenti adeguati richiamando la partecipazione attiva e significativa del paziente e del contesto in cui è inserito. La finalità risulta la promozione della salute volta a ridurre la gravità e la complicazione della patologia e a migliorare la qualità della vita.

Il fatto che l’esordio del diabete induca uno sconvolgimento tipico delle situazioni di crisi, con conseguente dolore mentale, ha condotto l’American Diabetes Association a ritenere necessaria una valutazione psicosociale preliminare nella gestione della patologia; uno screening in tal senso non si deve limitare agli atteggiamenti nei confronti della malattia, ma va esteso anche alle aspettative sulle cure e sull’evoluzione della stessa e alla qualità di vita in generale.

Sarebbe preferibile inserire il trattamento psicologico tra le cure di routine, ma rimane comunque necessario eseguire uno screening per problemi psicosociali (depressione, disturbi comportamento alimentare, deterioramento cognitivo ecc.) in tutti i casi in cui l’adesione ai regimi terapeutici è mediocre. Sottolineare l’importanza di valutazione e sostegno psicologico nei piani di cura del diabete fa emergere la convinzione che il benessere psichico sia parte fondamentale della gestione di questo tipo di malattia.

Il coinvolgimento attivo del paziente è essenziale dato che uno stretto controllo dei livelli di glucosio, la corretta alimentazione, il controllo del peso, l’attività fisica, l’astensione dal fumo e l’educazione terapeutica possono fare una grande differenza nella progressione della malattia e riducono di oltre il 50% la probabilità e la progressione dei disturbi correlati al diabete (malattie agli occhi, malattie renali, disturbi nervosi, malattie cardiovascolari ecc.). Sfortunatamente l’adesione ai programmi di autogestione è molto bassa, tanto che solo il 15% dei pazienti sembra aderire alle raccomandazioni terapeutiche; da qui l’utilità che il bambino e l’adolescente con diabete siano seguiti da un team con una formazione specifica anche in direzione psicologica. Le caratteristiche di cronicità del T1DM e le notevoli ripercussioni psicosociali fanno sì che un approccio globale e integrato verso il paziente, che comprenda interventi psicosociali e comportamentali da integrare con quelli medici, sia da considerarsi una necessità essenziale. La letteratura recente ha dimostrato che fattori relativi alle dinamiche familiari sono fondamentali nel trattamento e nella gestione del diabete: alti livelli di coesione familiare, comportamento di sostegno e risoluzione dei problemi in gruppo sono associati ad un miglior regime di aderenza e controllo glicemico (oltre a migliorare significativamente le relazioni), mentre la conflittualità e un inadeguato monitoraggio da parte dei genitori sono fattori di rischio per uno scarso controllo e cura di sé.

Risulta fondamentale uno specifico spazio di intervento psicologico, per il paziente e i familiari, volto alla gestione dell’impatto della diagnosi e del disagio emotivo conseguente; ad esplorare il significato della malattia e monitorarne l’elaborazione psichica; individuare i bisogni e le emozioni; identificare le risorse interiori disponibili e promuovere l’accettazione della malattia e infine migliorare l’adesione al trattamento tramite interventi psico-educazionali.

Lo psicologo ha dunque un ruolo importantissimo nella gestione del T1DM con lo scopo di garantire l’adesione al programma di trattamento, sviluppare mezzi per affrontare lo stress, sviluppare capacità di autoregolazione e aiutare la famiglia a coordinare i propri sforzi. Fornisce al paziente, ma anche agli altri componenti del sistema, uno spazio dove poter esprimere ognuno il proprio disagio, ricevere supporto, ma anche l’opportunità di acquisire nuove strategie di coping e senso di autoefficacia.

Più in generale l’orientamento di cura del diabete di tipo 1 consiste in un approccio medico-psicologico integrato, centrato sull’individuo nella sua globalità somato-psichica e in un intervento che includa, ove necessario, la famiglia e l’ambiente sociale in cui egli è inserito.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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