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Diabete: la terapia cognitivo-comportamentale riduce la fatica

L’impiego della terapia cognitivo-comportamentale per curare la stanchezza cronica ha mostrato alti livelli di efficacia nei pazienti con diabete di tipo 1

Di Daniele Mastromo

Pubblicato il 04 Lug. 2017

Aggiornato il 03 Lug. 2019 12:19

La fatica è una delle condizioni meno studiate nel diabete. Un gruppo di ricercatori olandese ha valutato l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nella riduzione di questo sintomo.

 

Un nuovo studio (Juliane Menting et al, 2017) randomizzato e controllato – pubblicato online da The Lancet Diabetes and Endocrinology – dimostra che la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), erogata sia frontalmente, sia via web, riduce notevolmente la stanchezza nei pazienti con diabete mellito di tipo 1. Questa è una forma di diabete che si manifesta prevalentemente nell’infanzia e nell’adolescenza ed è caratterizzata da una carente produzione di insulina con conseguente iperglicemia.

La stanchezza cronica nei pazienti con diabete: il contributo della terapia cognitivo-comportamentale

Questa ricerca clinica è la prima che ha indagato la fatica nei soggetti affetti da diabete di tipo 1. Menting e colleghi scrivono che buona parte (fino al 40%) dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 presenta una forma di stanchezza cronica, definita come un’importante stanchezza che dura almeno da sei mesi (Pouwer F., 2017). L’impiego della terapia cognitivo-comportamentale per curare la stanchezza cronica – basato sull’idea che se la malattia provoca la stanchezza sono tuttavia i fattori cognitivi-comportamentali che mantengono i sintomi – ha dimostrato di essere efficace nei pazienti sofferenti anche di altre malattie croniche.

Menting e il suo team hanno eseguito uno studio controllato randomizzato multicentrico presso un centro medico universitario e quattro grandi ospedali nei Paesi Bassi. I pazienti arruolati nello studio, tra il 6 febbraio 2014 e il 24 marzo 2016, erano di età compresa tra 18 e 70 anni ed erano affetti da diabete mellito di tipo 1 da almeno 1 anno e stanchezza cronica da almeno 6 mesi. I 120 pazienti arruolati sono stati divisi casualmente (tramite computer) in due gruppi. Il primo ha ricevuto per cinque mesi la terapia cognitivo comportamentale (Dia-Fit), mentre il secondo è stato inserito in una lista di attesa. I pazienti del gruppo trattato sono stati sottoposti a 5-8 sedute faccia a faccia con uno psicologo clinico e poi hanno completato 8 moduli via web.

Nel trattamento i pazienti hanno imparato, per esempio, a regolare meglio la loro attività fisica o a ottimizzare il ciclo sonno-veglia o a cambiare le loro idee negative sulla fatica. L’obiettivo del trattamento non è stato quello di imparare a fronteggiare la fatica, ma quello di ridurre effettivamente la stanchezza. Alla fine del trattamento, i punteggi relativi al grado di severità della fatica, nei pazienti del gruppo trattato con psicoterapia cognitivo-comportamentale, erano di 13,8 punti inferiori rispetto al gruppo di controllo (p <0,0001).

Nonostante i risultati promettenti, è necessario proseguire con le ricerche per dimostrare se gli effetti del trattamento possono essere mantenuti nel tempo e per trovare le spiegazioni del suo funzionamento. L’impressione, secondo gli autori, è che la stanchezza sia spesso trascurata a causa del tempo limitato che i medici dedicano a questo sintomo essendo concentrati soprattutto sulla stabilizzazione della glicemia.

Nell’editoriale (2017), che ha accompagnato la pubblicazione dell’articolo, si osserva che alcuni studi hanno suggerito come l’ipoglicemia notturna contribuisca alla stanchezza, ma gli autori non hanno affrontato questo problema nello studio. I risultati del team di Menting devono essere confermati in ulteriori studi, ma quanto è emerso suggerisce che l’affaticamento cronico nel diabete di tipo 1 è suscettibile di trattamento. È una notizia positiva sia per i pazienti, sia per la ricerca futura in questo ambito ancora poco indagato.

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