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Corpi in trasformazione e ritiro sociale. Quanto il diniego dei cambiamenti puberali incide sull’isolamento in adolescenza

E' necessario che l'adolescente disponga di uno spazio mentale sufficiente a poter pensare al suo nuovo corpo e alle sue trasformazioni..

Di Luigi Santoro

Pubblicato il 22 Apr. 2021

In alcuni casi, durante l’adolescenza, il corpo può diventare un inquietante estraneo che fa prepotentemente la sua comparsa sulla scena psichica e impegna la mente nella ricerca di senso rispetto a sensazioni, impulsi e fantasie fino a quel momento inedite.

 

Inevitabilmente, quando si parla di adolescenza, non possono essere ignorate le profonde trasformazioni di ordine fisico, relazionale e psichico che caratterizzano questo periodo dell’arco di vita e che coinvolgono profondamente l’adolescente, richiedendogli un lungo e delicato processo di elaborazione e simbolizzazione, la cui risoluzione, in una prospettiva evolutiva, è lo strutturarsi dell’identità da parte del soggetto.

La pubertà può dunque perturbare il sentimento di familiarità che l’adolescente, fino a quel momento, ha intrattenuto con sé stesso e cimentarne la stabilità identitaria raggiunta fino ad allora. Il corpo può, in alcuni casi, diventare un inquietante estraneo che fa prepotentemente la sua comparsa sulla scena psichica e impegna la mente nella ricerca di senso rispetto a sensazioni, impulsi e fantasie fino a quel momento inedite. Solo gradualmente si giunge alla costruzione di una rappresentazione del nuovo corpo dotato di sesso, momento in cui l’adolescente approda ad una immagine di sé come adulto, con una specifica identità di genere (Monniello, 2016).

Affinché l’adolescente riesca a simbolizzare e farsi una rappresentazione psichica dei mutamenti, è necessario che disponga di uno spazio mentale sufficiente a poter pensare il nuovo corpo. In alcuni casi, invece, le trasformazioni somatiche, le nuove sensazioni e fantasie sessuali, possono essere sentite come eccessivamente invasive e difficilmente integrabili. Possono prodursi così svariate difficoltà nel processo di mentalizzazione dei cambiamenti, che possono culminare nella negazione di questi e ad un ripudio del corpo.

Il diniego delle trasformazioni puberali può giungere fino alle forme estreme di dissociazione mente-corpo, caratterizzate non soltanto da una mancata rappresentazione mentale del sé fisico ma da un corpo sensorialmente muto e costantemente allontanato dalla realtà mentale (Ruggiero, 2019).

Quando si denotano queste problematiche è spesso possibile rintracciare, nella storia evolutiva dell’adolescente, una difficoltà genitoriale nel distinguere il proprio corpo da quello dell’allora neonato e a pensare al funzionamento corporeo del loro figlio, come diverso e separato dal proprio. Quando infatti vi è la tendenza da parte del genitore, a spiegare ciò che osservano nel proprio bambino, riferendosi al proprio funzionamento mentale e corporeo, vi è una pressione nel ragazzo a far suo quel determinato funzionamento, finendo così per scindere, senza avere la possibilità di elaborare e simbolizzare, quelli che invece sono aspetti differenti e originali del proprio funzionamento corporeo e mentale (Ruggiero, 2019).

Queste situazioni avvengono tipicamente all’interno di relazioni caratterizzate da uno stringente contratto narcisistico (Kaës, 2010) fatto di vincoli rigidi e forti idealizzazioni familiari in cui l’adolescente si ritrova bloccato. All’interno di queste dinamiche i genitori vivono il ragazzo come un prolungamento non differenziato di sé, minandone così l’acquisizione di capacità elaborative e simboliche soggettive necessarie perché l’adolescente svolga quello che Raymond Chan chiama “soggettivazione” (Chan, 1998), cioè un processo di differenziazione che coincide con la sensazione, da parte dell’individuo, di sentire di disporre di un corpo sessuato, di un proprio pensiero e di una propria modalità creativa e originaria di presenziare al mondo, il cui procedere comincia dall’appropriazione soggettiva dell’adolescente della propria motricità, sensorialità ed esperienza percettiva, che si attivano e arricchiscono con gli stimoli sensoriali puberali (Monniello, 2016).

Il quadro si fa ulteriormente complesso se si considera che in adolescenza, insieme all’affiorare delle pulsioni, c’è un riproporsi del complesso edipico.

L’aumento della forza e le effettive possibilità fisiche maturate con l’adolescenza, spaventano inconsciamente l’adolescente e lo inducono non solo ad allontanarsi dai genitori ma anche ad assumere su sé stesso quegli aspetti adulti e di responsabilità prima affidati alle figure genitoriali, rispetto la propria vita, la propria autonomia ed emancipazione. Tutto questo implica la necessità di uno scontro-confronto con i propri genitori i quali si oppongono e promuovono questa dinamica di responsabilizzazione in un modo non meno ambivalente dei  propri figli (Loewald, 1979).

Ma in contesti familiari invischianti, l’adolescente può non avere gli strumenti mentali per procedere in questo secondo processo di separazione e individuazione e perciò sentirsi non legittimato e paralizzato rispetto ad un processo che porterebbe a differenziarsi, avvertendo come sbagliati questi nuovi impulsi e sentendosi inadeguato e spaventato nel presentarsi così mostruoso agli occhi degli altri.

Il ragazzo che difensivamente attiva una dinamica dissociativa nei confronti dei cambiamenti in atto, finirà con l’avvertire di star subendo in maniera passiva queste trasformazioni e si porrà, rispetto ad esse, in un atteggiamento di remissione e isolamento, come una vittima il cui aguzzino, oltretutto, è il proprio corpo.

Il ritiro sociale può allora assumere, per l’adolescente, una valenza anestetizzante e difensiva nei confronti di quei vissuti conflittuali e angoscianti attivati da trasformazioni avvertite come troppo perturbanti e invasive.

L’isolamento, nei vari modi in cui va delineandosi, può esser categorizzato come un fenomeno ricercato oppure subito (Corsano et al., 2011).

L’isolamento subito si manifesta con l’emarginazione e la denigrazione di un ragazzo da parte del gruppo dei pari. Questa situazione ripropone e conferma il vissuto di passività avvertito dall’adolescente nei confronti dei mutamenti puberali a cui il proprio corpo è esposto, poiché è proprio in quei ragazzi con un difetto integrativo della relazione mente-corpo che si evincono maggiormente caratteristiche come goffaggine, meccanicità, disarmonia e sbadataggine (Monniello, 2016).  D’altro canto, le stesse vessazioni utilizzate dai gruppi dei pari altro non sono che una modalità per proiettare e allontanare da loro stessi quei sentimenti di estraneità e inadeguatezza a cui il loro stesso sé è sottoposto e di cui l’adolescente con più evidenti difficoltà integrative, diventa ricettacolo e capro espiatorio.

L’isolamento ricercato può invece configurarsi secondo modalità comportamentali e aspetti mentali diversi:

  • Un ritiro all’interno degli ambiti accademici. Questa declinazione coincide con quei casi in cui, a seguito della dissociazione mente-corpo, il sé psichico giunge a coincidere con la totalità del sé e il soggetto è dominato da un’estrema intellettualizzazione e razionalizzazione. Queste persone risultano particolarmente promettenti negli studi professionali e il successo ottenuto in tali ambiti permette loro di rinsaldare la propria autostima e senso di autoefficacia, che tuttavia si scontra con una difficoltà a relazionarsi col mondo e le altre persone.
  • Un rifugiarsi all’interno di mondi di fantasia fatti di videogiochi, film o serie tv. Il controllo dato dal riuscire a gestire ciò che accade nel gioco o sulle emozioni che si riescono a sperimentare a seconda del film o serie tv che si sceglie di guardare; la semplicità con cui è possibile variare o interrompere date emozioni, premendo semplicemente un tasto, permette all’adolescente di entrare in un’atmosfera onnipotente e di avere l’illusione momentanea di essere tornato a padroneggiare la realtà psichica e somatica. Questa modalità di ritiro, in particolare, può manifestarsi in quegli adolescenti in cui la rinuncia all’utilizzo di modalità difensive più infantili verso altre più adulte risulta più conflittuale e difficile.
  • Infine, possiamo osservare un ritiro sociale la cui funzione è creare uno spazio in cui isolarsi da quell’ambiente che impedisce il compito evolutivo dell’adolescenza. L’adolescente che, in maniera preconscia cerca l’isolamento con questo scopo, può sentire il bisogno di star solo per elaborare, riflettere su sé stesso, crearsi gradualmente un proprio pensiero e compiere delle scelte autonome (Corsano, 2003). Il soggetto cerca così di sperimentare un’autonomia nella presa di responsabilità della propria vita, facendosi carico delle proprie decisioni, sensi di colpa e conseguenze delle proprie azioni (Palmonari, 2011). Tuttavia, anche la traiettoria di questa terza modalità rimane di dubbia utilità poiché l’adolescente non ha ancora completato l’interiorizzazione dell’imago parentale che gli fornisce il supporto necessario ad un’autentica autonomia psichica (Cahn, 1998) e il ragazzo, così facendo, si trova a privarsi del confronto e rispecchiamento dato dallo sguardo genitoriale e dei pari che, in questo momento della sua vita, rivestono un ruolo centrale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cahn, R. (1998). L'adolescente nella psicoanalisi. Roma: Borla Editore.
  • Corsano, P. et al., (2011). Loneliness and self-determination during adolescence. Ricerche di Psicologia, 4, pp. 473-498.
  • Corsano, P., (2003). Adolescenze e solitudini. In P. Corsano (a cura di), Processi di sviluppo nel ciclo di vita. Saggi in onore di Marta Montanini Manfredi. Milano: Edizioni Unicopli.
  • Kaës, R. (2010) Le alleanze inconsce. Roma: Borla.
  • Loewald, H., W. (1979). Il tramonto del complesso edipico. Riflessioni psicoanalitiche. Milano: Dunod.
  • Monniello, G. (2016). Soggettivazione e principio di realtà in adolescenza. Rivista di Psicoanalisi, LXII, 4.
  • Palmonari, A. (2011). Psicologia dell’adolescenza. Bologna: Il Mulino.
  • Ruggiero, I. (2019). Dissonanze nella relazione mente-corpo. Il corpo ripudiato. Rivista di Psicoanalisi, LXV, 1.
  • Winnicott, D., W. (1949). L'intelletto e il suo rapporto con lo psiche -soma. Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze: Martinelli.
  • Winnicott, D., W. (1974). Gioco e realtà. Roma: Armando.
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