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Attacchi di panico notturni: il ruolo della sensibilità all’ansia, dell’intolleranza all’incertezza e della responsabilità del danno

Le persone con panico notturno temono situazioni di riduzione della soglia di vigilanza per l'impossibilità di reagire al pericolo o proteggersi da minacce

Di Sara Magliocca

Pubblicato il 18 Mar. 2021

Il panico notturno, spesso in comorbilità con quello diurno, consiste nel risveglio improvviso in un forte stato ansioso (Craske & Barlow, 1989), non ricondotto a sogni o incubi e in assenza di alcuna causa apparente. 

 

Spesso è presente l’ansia anticipatoria verso il momento del sonno, che viene evitato, con insonnia conseguente responsabile della compromissione del funzionamento mentale, fisico e sociale dell’individuo (Craske & Tsao, 2005).

Coloro che soffrono di panico diurno e notturno, non riportano differenze negli aspetti di variabilità respiratoria, frequenza cardiaca e dei movimenti del corpo durante il sonno, gravità dei sintomi del panico, depressivi o ansiosi (Craske & Tsao, 2005).

In accordo con la teoria della paura della perdita della vigilanza, gli individui che soffrono di panico notturno, a differenza di quello diurno, temono le situazioni di riduzione della soglia di vigilanza poiché connotate dall’impossibilità di reagire al pericolo o proteggersi dalle minacce (Tsao & Craske, 2003a). Questo comporta ad esempio l’evitare di dormire per timore di un attacco di cuore durante il sonno e di non riuscire a richiedere l’aiuto medico (Tsao & Craske, 2003b).

Tre costrutti si legano alla teoria della paura della perdita della vigilanza, ovvero l’intolleranza dell’incertezza, la responsabilità del danno e la sensibilità dell’ansia.

L’intolleranza dell’incertezza, che consiste nell’incapacità disposizionale di sopportare la risposta aversiva innescata dall’assenza percepita di informazioni salienti (Carleton, 2016), comporta la percezione delle situazioni incerte come stressanti, ingiuste e dunque da evitare (Buhr & Dugas, 2002). Nel panico notturno, la preoccupazione eccessiva è generata da eventi imprevisti, interni (infarto o soffocamento) o minacce esterne (disastri naturali), che provocano il timore di venir danneggiati o uccisi prima di essere in grado di svegliarsi e chiedere aiuto. L’obiettivo diviene monitorare l’ambiente circostante, prepararsi e riducendo temporaneamente la preoccupazione verso gli imprevisti.

Il senso di responsabilità del danno, legato alla paura di perdita della vigilanza, consiste nel dubbio di causare un danno mediante azioni, o di non riuscire a prevenirlo (Wheaton et al., 2012). Questo fattore è presente anche negli schemi di pensiero tra coloro con disturbo ossessivo compulsivo che, afflitti dal dubbio patologico di aver causato o meno un determinato danno, attuano successivi e ripetuti controlli (Abramowitz et al., 2010). Similmente, chi soffre di panico notturno resta vigile poiché il concedersi di dormire comporterebbe il rischio di non riuscire a prevenire il danno.

Il terzo costrutto correlato è la sensibilità all’ansia, ossia la paura delle sensazioni legate all’attivazione emotiva, con il timore che abbiano conseguenze negative come morte, pazzia o rifiuto sociale (Taylor et al., 2007). Compresenti nel disturbo di panico, la vigilanza verso l’ansia e verso le sensazioni interne del corpo, risultano correlate e rendono l’individuo sensibile alle fluttuazioni fisiologiche interne, valutate come potenzialmente pericolose (Schmidt et al., 1997).

La teoria della paura della perdita della vigilanza è stata testata dallo studio di Smith et al. (2019), su un campione comunitario di 218 individui.

I risultati supportano tale teoria in quanto sia l’intolleranza all’incertezza che i sentimenti di responsabilità del danno sono maggiori nel gruppo avente panico notturno rispetto a quelli con panico diurno.

La capacità di tollerare l’incertezza di situazioni ambigue è stata valutata come intolleranza prospettica (cioè la preoccupazione per le conseguenze dell’incertezza futura) e inibitoria (ovvero i sintomi comportamentali in risposta all’incertezza, come l’evitamento del sonno).

Mentre non erano emerse differenze nell’intolleranza prospettica all’incertezza o sensibilità all’ansia fisica o cognitiva tra coloro con panico notturno e gli individui con panico diurno, tra i primi, coerentemente con la letteratura (Carleton et al., 2013; McEvoy & Mahoney, 2011), era emersa una maggiore componente inibitoria, risultando meno capaci di agire di fronte alle situazioni incerte, con timore di non rispondere in tempo alle potenziali minacce durante il sonno.

La credenza di non riuscire a tollerare le incertezze genera cognizioni catastrofiche tipiche dei soggetti ansiosi e promuove l’ipervigilanza, che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo ed il mantenimento degli attacchi di panico notturni.

Il grado in cui i soggetti sentivano di non riuscire a prevenire eventi dannosi, ovvero la responsabilità per il danno, spiegava anch’essa nel campione i comportamenti di vigilanza notturna, come dormire con le luci accese o controllare che porte e finestre fossero chiuse.

Nonostante aspetti come arrossire, sudare e tremare in presenza di altri sembrino essere difficilmente attivabili durante il sonno, gli individui con panico notturno avevano riportato maggiore sensibilità all’ansia sociale, rispetto a coloro aventi panico diurno. Questo può essere ricondotto al timore di essere giudicati, socialmente rifiutati o ridicolizzati dal partner intimo per il proprio disturbo. Inoltre, l’ansia sociale potrebbe causare elevate preoccupazioni nella relazione, portando gli individui a impegnarsi in ruminazioni post-evento nella fase di addormentamento (Brozovich & Heimberg, 2008; Morrison & Heimberg, 2013) che a loro volta inducono risvegli frequenti in stati di agitazione.

In conclusione, oltre alla presenza di una componente ansiosa di origine sociale; l’intolleranza all’incertezza e la responsabilità per il danno contribuiscono allo sviluppo degli attacchi di panico notturni, ed andrebbero considerati nel loro trattamento.

La CBT per questa forma di panico ha mostrato prove di efficacia grazie all’impiego di esercizi di rilassamento e l’esposizione al sonno in condizioni appositamente progettate per aumentare le fluttuazioni fisiologiche (Craske et al., 2005), favorendo la riduzione della paura di perdita della vigilanza. Allo stesso modo è possibile agire sull’intolleranza all’incertezza mediante interventi volti a ridurre la percezione del sonno come situazione incerta e minacciosa, consentendo una modifica dei bias cognitivi sottostanti (computer-based Cognitive Bias Modification, CBM-I; Oglesby et al., 2017).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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