L’autodialogo negativo, che nasce dalle idee interiorizzate, può favorire l’autosabotaggio e rinforzare un circolo vizioso.
Con questo volume, l’autrice, intende mostrare, attraverso un programma in sei step basato su principi scientifici e strumenti pratici, come individuare i problemi che conducono all’autosabotaggio e insegnare a trasformare i pensieri e i comportamenti per interrompere il circolo vizioso che tale pratica crea nella vita.
L’autosabotaggio comprende tutti quei pensieri e comportamenti che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi. È un fenomeno incredibilmente diffuso, spesso molti di noi lo attuano senza neanche rendersene conto, in particolar modo nei periodi più stressanti. Con il tempo uccide la motivazione poiché ci porta in una condizione di frustrazione, di sconfitta e, poco a poco, ci accontentiamo di quello che abbiamo, anche se siamo insoddisfatti e non riusciamo a capire come cambiare la nostra vita in meglio.
La propensione ad autosabotarsi è connaturata alla nostra neurobiologia, ciò risulta palese se consideriamo i due semplici principi su cui si basa la nostra sopravvivenza: ottenere ricompense ed evitare le minacce. Quando facciamo qualcosa che ci aiuta a stare bene, sia fisicamente che socialmente, il nostro cervello ci ricompensa provocando il rilascio di dopamina, che è la sostanza che regola il piacere; questo ci fa desiderare di ripetere il comportamento allo scopo di ottenerla ancora una volta. Gli esseri umani sono essenzialmente programmati a impegnarsi per raggiungere degli obiettivi perché provoca una condizione di benessere.
La nostra biochimica, tuttavia, specie quando si tratta di autosabotaggio, non distingue necessariamente tra il tipo di sensazioni positive che proviamo quando ci impegniamo per raggiungere i nostri obiettivi e le sensazioni «positive» che proviamo quando evitiamo qualcosa che ci appare come una minaccia.
Evitare le minacce è un’abilità innata ed essenziale per garantire la sopravvivenza: la paura può essere nostra amica, ci permette di prepararci alla battaglia o di proteggerci quando la situazione potrebbe danneggiarci. Gli esseri umani hanno sviluppato due strategie principali per gestire la minaccia che consistono nella lotta e nella fuga, ma c’è una terza reazione meno conosciuta: il congelamento. Questa risposta entra in gioco quando siamo semplicemente troppo sopraffatti al punto di non essere in grado di scegliere una qualunque azione; questo ci permette di renderci temporaneamente insensibili alla sofferenza psicologica e di prendere le distanze emotive. La risposta di congelamento spiega perché a volte non facciamo assolutamente nulla per modificare una situazione insoddisfacente. La ricerca ha dimostrato che i ricordi di eventi che hanno implicato reazioni emotive di paura sono molto più salienti e vividi di altri ricordi più banali e questo ci porta spesso ad evitare minacce ipotetiche perché non siamo sicuri di saperle gestire.
Ottenere ricompense ed evitare le minacce sono le due facce di una stessa medaglia, non sono sistemi interdipendenti e nel cervello è in corso un’interazione continua per cercare un equilibrio. La predisposizione all’autosabotaggio si ha quando la spinta a ridurre la minaccia è maggiore della spinta a ottenere ricompense.
L’autrice ha individuato quattro elementi che alimentano il conflitto tra fare quello che si vuole e bloccarsi a causa di minacce in realtà inoffensive:
- la Visione scarsa di sé
- le Idee interiorizzate
- il Timore del cambiamento o dell’ignoto
- l’Assoluto bisogno di controllo.
Questi fattori rappresentano gli aspetti della personalità, le convinzioni ed i comportamenti, in base ai quali un individuo si relaziona con il mondo. Generalmente li acquisiamo fin da piccoli e, dato che rimangono con noi a lungo, tendono ad essere al di fuori della nostra consapevolezza. Infatti solitamente non abbiamo un’unica percezione di noi stessi: la nostra identità ha tante sfaccettature alle quali riconosciamo livelli diversi di fiducia.
Più ci avviciniamo al nostro sé ideale, cioè quello che riteniamo sia la versione migliore di noi, più tendiamo a sentirci contenti della nostra vita: quando abbiamo un concetto solido di noi stessi, tendiamo ad avere una visione positiva di noi.
Contrariamente una scarsa visione di sé ci rende piuttosto insicuri riguardo a chi siamo, a qual è il nostro posto nel mondo e alle nostre capacità di compiere cambiamenti positivi. L’autodialogo negativo, che nasce dalle Idee interiorizzate, può favorire l’autosabotaggio e rinforzare un circolo vizioso, perché quando un soggetto dubita delle proprie capacità le possibilità sono generalmente due: la totale rinuncia ad individuare degli obiettivi o l’abbandono della loro persecuzione a metà strada.
Le routine e la familiarità danno conforto alla nostra mente, che ama la ripetizione per calmarsi e gestire lo stress: la nostra mente può essere considerata un «avaro cognitivo», (espressione coniata dalle psicologhe Susan Fiske e Shelley Taylor a metà degli anni ’80) per spiegare come la mente preferisca pensare e risolvere i problemi nel modo più semplice e meno faticoso possibile. Quando subentra una novità, la mente può interpretarla come un fattore di stress e rispondere scegliendo di rimanere immobile dov’è. La minaccia psicologica che spesso accompagna il Timore del cambiamento o dell’ignoto può, dunque, portarci all’autosabotaggio; generalmente si tratta di non fare nulla di diverso anziché di fare attivamente qualcosa che manda all’aria i propri progressi verso un obiettivo.
Credere nelle proprie capacità di esercitare controllo sul proprio ambiente e di realizzare i risultati desiderati è essenziale per stare bene. Anche il bisogno di controllo, infine, può favorire l’autosabotaggio perché impedisce di cogliere opportunità nuove nelle quali magari non si avrebbe molto controllo, ma che potrebbero portare a risultati meravigliosi.
Prendendo spunto dai principi della Psicoterapia Cognitiva Comportamentale, il libro propone esercizi, questionari e strumenti per cambiare il proprio modo di percepire se stessi, proponendo un percorso in sei passi:
- identificare i dispositivi di attivazione dell’autosabotaggio;
- disattivare i dispositivi e regolare il termostato;
- gli ABC per uscire dalle vecchie abitudini;
- sostituire, non ripetere;
- un valore al giorno toglie l’autosabotaggio di torno;
- fare un piano per cambiare.
L’autrice ha ideato questo programma per riaddestrare la mente, abbandonando i vecchi schemi e adottandone di nuovi. Ogni step si basa sul precedente e prevede sia esercizi progressivi che tecniche di comprovata efficacia che il lettore può usare per identificare i comportamenti autosabotanti ed i pensieri controproducenti, ed agire nell’immediato, compiendo una crescita personale a lungo termine.