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Tecniche di stimolazione non invasiva nel trattamento dei disturbi d’ansia: presentazione di un lavoro di metanalisi

Vergallito et al. hanno indagato con una metanalisi l'efficacia di tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva nel trattamento dei disturbi d'ansia

Di Alessandra Vergallito, Leonor Romero Lauro, Margherita Rovida

Pubblicato il 22 Mar. 2021

Aggiornato il 24 Ott. 2022 10:54

Per indagare se le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva (NIBS) possano essere considerate efficaci nel ridurre i sintomi in pazienti con disturbi d’ansia, Vergallito e colleghi hanno condotto una revisione sistematica e metanalisi della letteratura.

 

I disturbi d’ansia rappresentano la classe di disturbi mentali a più alta prevalenza nelle società occidentali (James et al., 2018; Wittchen et al., 2011). Attualmente, ci sono molti trattamenti disponibili per tali disturbi, tra cui la terapia farmacologica e la psicoterapia, con evidenze di efficacia suggerite in particolare per la terapia cognitivo-comportamentale (Bandelow et al., 2015; Katzman et al., 2014). Tuttavia, alcuni individui non rispondono ai trattamenti tradizionali (e.g., Taylor et al., 2012) o manifestano scarsa aderenza alle indicazioni terapeutiche, ad esempio a causa degli effetti collaterali di alcuni farmaci. Di conseguenza, numerosi studi hanno cercato di individuare trattamenti alternativi che, da soli o in combinazione con quelli già disponibili, contribuiscano ad alleviare la sintomatologia di chi soffre di disturbi d’ansia.

Un possibile trattamento alternativo è costituito dall’utilizzo di tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva (non invasive brain stimulation, NIBS). La NIBS, applicata su una specifica regione cerebrale, ne modula l’attività bioelettrica (Boggio et al., 2016; Brunoni et al., 2019). La stimolazione è definita non invasiva in quanto le apparecchiature necessarie sono applicate esternamente sul cranio del paziente, senza necessità di interventi chirurgici (Boggio, Rêgo, Marques & Costa, 2016; Brunoni et al., 2019). La NIBS ha effetti transitori (Boggio et al., 2016), ma ripetute sessioni di stimolazione possono produrre effetti più a lungo termine, promuovendo cambiamenti nella plasticità neurale (Brunoni et al., 2012). Queste caratteristiche rendono la NIBS particolarmente interessante per le sue potenzialità nel trattamento in ambito clinico.

Le due tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva più note ed utilizzate sono la stimolazione magnetica transcranica (transcranic magnetic stimulation, TMS) e la stimolazione elettrica a corrente continua (transcranical direct current stimulation, tDCS). La TMS è una tecnica di neurostimolazione e neuromodulazione, e si basa sull’applicazione di un campo magnetico breve ed intenso sullo scalpo che produce potenziali d’azione nei neuroni sottostanti lo stimolo (Pascual-Leone et al., 2000). Gli effetti della TMS cambiano in base ad una serie di parametri, ad esempio il tipo di coil utilizzato per applicare l’impulso, la frequenza e la durata degli impulsi, oltre ovviamente alla regione cerebrale stimolata. In particolare, per ottenere effetti di plasticità neurale la TMS viene utilizzata in modalità ripetitiva (rTMS). La tDCS è invece una tecnica di sola neuromodulazione, infatti la corrente a bassa intensità rilasciata attraverso gli elettrodi posizionati sulla testa è troppo debole per generare potenziali d’azione, ma agisce a livello del potenziale di membrana dei neuroni rendendo la generazione di potenziali d’azione più o meno probabile (Nitsche et al., 2008). Anche gli effetti della tDCS cambiano in base ai parametri di stimolazione scelti, come durata ed intensità della stimolazione, ma soprattutto in base alla polarità della corrente rilasciata. La stimolazione anodica, infatti depolarizza la membrana neurale, mentre la stimolazione catodica la iperpolarizza.

In che modo la rTMS e la tDCS rappresentano un potenziale trattamento dei disturbi d’ansia?

I disturbi d’ansia, così come i disturbi dell’umore e altri disturbi mentali, hanno un’eziologia multifattoriale in cui basi genetiche, ambientali e temperamentali co-occorrono per lo sviluppo di un disturbo. A livello cerebrale, sono state riscontrate alterazioni anatomiche e funzionali di diverse regioni corticali e sottocorticali (Duval et al., 2015). Una delle evidenze più frequentemente riportate riguarda un’iperreattività dell’amigdala di fronte a stimoli minacciosi o potenzialmente minacciosi negli individui che soffrono d’ansia (Taylor & Whalen, 2015; Holzschneider & Mulert, 2011). A questo si aggiungono alterazioni funzionali a livello della corteccia prefrontale (Etkin & Wager, 2007; Ironside et al., 2019; Kim et al., 2011; Motzkin et al., 2015), caratterizzata da iperattività delle aree prefrontali destra e ipoattività nella prefrontale sinistra.

Alcuni studi sembrano suggerire che i sintomi ansiosi potrebbero dipendere dal diminuito controllo inibitorio della corteccia prefrontale sull’amigdala (Etkin & Wager, 2007; Ironside et al., 2019; Kim et al., 2011; Motzkin et al., 2015). Viste queste basi neurali, la NIBS potrebbe essere utile nel ridurre la sintomatologia ansiosa, riequilibrando l’attività cerebrale di chi soffre di disturbi d’ansia (Cirillo et al., 2017).

Ad oggi, sia la rTMS che la tDCS sono riconosciute dalle linee guida internazionali come strumenti efficaci nel trattamento nella depressione maggiore (Lefaucheur et al., 2020; Fregni et al., 2020). Tuttavia, al momento non ci sono indicazioni per quanto riguarda l’utilità delle due tecniche nei disturbi d’ansia, infatti gli studi sono troppo pochi per poterne trarre delle conclusioni a livello clinico.

Anche revisioni della letteratura recenti su questo tema presentano alcune limitazioni metodologiche, includendo ricerche senza condizione di controllo, casi singoli e lavori che includono disturbi non più classificati come disturbi d’ansia nel DSM 5.

Per indagare se la NIBS possa essere considerata efficace nel ridurre i sintomi in pazienti con disturbi d’ansia, Vergallito e colleghi hanno condotto una revisione sistematica e metanalisi della letteratura. Gli autori hanno fatto una ricerca bibliografica utilizzando tre diversi database (Pubmed, Scopus e Web of Science), includendo gli articoli che trattassero l’applicazione della rTMS o tDCS in gruppi di pazienti con disturbi d’ansia. Per essere inclusi, gli articoli dovevano inoltre prevedere una condizione di stimolazione di controllo e un punteggio dei sintomi ansiosi misurato con questionari standardizzati pre- e post- trattamento. Gli autori hanno incluso in totale dieci articoli, per un totale di 134 partecipanti assegnati alla condizione di stimolazione reale e 145 alla condizione di controllo.

A livello qualitativo, gli articoli selezionati si focalizzavano principalmente su pazienti con disturbo d’ansia generalizzata, e in misura minore su pazienti con disturbo di panico con o senza agorafobia. Un solo studio includeva i partecipanti con fobia specifica per i ragni. La maggior parte degli studi erano condotti usando protocolli di rTMS; solo tre applicavano la tDCS. La regione prevalentemente stimolata era la corteccia prefrontale dorsolaterale, destra o sinistra. I questionari utilizzati per misurare i sintomi ansiosi includevano test pensati per uno specifico disturbo (ad esempio, per il disturbo d’ansia generalizzato, il Generalized Anxiety Disorder Questionnaire, GAD-Q-IV, Newman et al., 2002), oppure sintomi più generali di ansia (principalmente l’Hamilton Anxiety Rating Scale, HAM-A, Hamilton, 1959). Inoltre, sette studi includevano anche una misura di sintomi depressivi, spesso in comorbidità con i disturbi d’ansia (ad esempio l’Hamilton Depression Rating Scale o HAM-D, Hamilton & Guy, 1976).

Per quanto riguarda le analisi quantitative, i ricercatori hanno confrontato la differenza nei punteggi pre-post tra il gruppo che aveva ricevuto la stimolazione reale con il gruppo di controllo, che aveva ricevuto una stimolazione placebo o il solo trattamento comportamentale. Nello specifico, sono state fatte tre diverse metanalisi: una analizzando i punteggi ai questionari di ansia disturbo-specifici, una sui punteggi riportati a questionari generici sull’ansia, e la terza sui punteggi dei questionari che indagavano i sintomi depressivi.

Lo scopo della metanalisi è quello di indagare se rTMS e tDCS possano essere efficaci indipendentemente dalle caratteristiche specifiche del singolo studio, ad esempio campione, tecnica e parametri usati, regione cerebrale stimolata etc. Un vantaggio della metanalisi è che permette di fare delle analisi su un campione di partecipanti più ampio rispetto a quello tipicamente usato nei singoli studi.

I risultati delle metanalisi sono stati coerenti, suggerendo che la NIBS sia efficace nel ridurre sia i sintomi d’ansia (disturbo-specifici e generali), che i sintomi depressivi. Questi dati, hanno quindi suggerito che la NIBS possa essere utile nel trattamento dei disturbi d’ansia, sebbene un maggior numero di studi potrebbe permettere di indagare quali caratteristiche della stimolazione siano più efficaci nel determinare l’efficacia del trattamento.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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