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Adler e il complesso di superiorità

L’espressione “complesso di superiorità” fu coniata da Adler che formulò il suddetto concetto a partire dal suo esatto opposto, il complesso di inferiorità

Di Sonia Lisi

Pubblicato il 30 Mar. 2021

Per comprendere il complesso di superiorità occorre riferirsi al principio di base della psicologia individuale, il pensiero antitetico, ovvero quella modalità di percezione che si basa sugli opposti (alto/basso, forte/debole, maschile/femminile), il cui massimo esponente si rivede in Alfred Adler

 

Definizione

Con l’espressione “complesso di superiorità” (Adler, 2012) si fa riferimento ad una forma di complesso contraddistinta da un eccesso di autostima e da un’ancestrale valutazione di sé come superiore e più importante rispetto agli altri. La condizione descritta tende a palesarsi in diversi contesti e circostanze.

Il termine “complesso” affonda le sue radici nella parola latina “complexus” e fa riferimento ad un concetto caratterizzato da vari elementi. Parallelamente, in psicologia si definisce “complesso” l’esito finale derivante dalla commistione di una serie di sentimenti, pensieri, emozioni, comportamenti ecc. espressi in maniera cosciente o meno, in grado di condurre il soggetto ad avere la certezza di possedere o non possedere determinate qualità; la suddetta certezza non è soggetta a cambiamento mediante il ragionamento logico.

Il complesso di superiorità nella storia

Al fine di comprendere il complesso in questione occorre riferirsi al principio di base della Psicologia individuale, il pensiero antitetico, ovvero quella modalità di percezione che si basa sugli opposti (alto/basso, forte/debole, maschile/femminile), il cui massimo esponente si rivede in Alfred Adler (Adler, 1997).

L’espressione “complesso di superiorità” fu coniata da Adler, psichiatra, psicoanalista, psicologo e psicoterapeuta austriaco. Egli fece di questo semplice concetto uno dei pilastri della sua scuola di psicologia individuale agli albori del ‘900 (Monbourquette, 2016). Formulò il suddetto concetto a partire dal suo esatto opposto, ovvero dal complesso di inferiorità. A tal proposito egli dirà:

Noi dobbiamo ricordare naturalmente, che la parola complesso unita a inferiore e superiore rappresenta semplicemente una condizione esagerata del senso d’inferiorità e dell’aspirazione alla superiorità. Se guardiamo alle cose in questo modo si toglie il paradosso apparente di due tendenze contraddittorie esistenti nello stesso individuo. È ovvio che in quanto sentimenti normali l’aspirazione alla superiorità e il sentimento d’inferiorità siano complementari. Noi non aspireremo a essere superiore e ad aver successo se non si sentisse una certa carenza nella condizione presente. (Adler, 2012)

Infatti, seppur paradossalmente, i due complessi si identificano come le due facce di una stessa medaglia. Secondo Adler, fin dall’infanzia, l’essere umano prova un senso di inferiorità, che può protrarsi per tutta la vita (Monbourquette, 2016). Questo sentimento, assolutamente normale nell’infanzia, può trasformarsi in un vero e proprio complesso in età adulta se l’individuo, a causa delle carenti condizioni educativo-ambientali, non riesce a liberarsi di questa percezione negativa di sé. Secondo l’approccio di Adler, al fine di compensare gli effetti dirompenti del complesso in questione, l’uomo cerca di sviluppare uno smisurato senso di superiorità: più si sente schiacciato dal suo complesso di inferiorità, più sogna onnipotenza e dominio (Monbourquette, 2016).

In secondo luogo, l’aspirazione alla superiorità va intesa come una gara che l’individuo bandisce con sé stesso per raggiungere la perfezione, ovvero un’illusione del tutto ideale umanamente irraggiungibile (Adler, 1997).

Il complesso di superiorità e di inferiorità oggi

Partendo dalla formulazione del padre della psicologia individuale il complesso di superiorità si è evoluto e radicato all’interno della società, spingendo gli individui che ne soffrono a sentirsi sempre “migliori” degli altri, qualsiasi cosa facciano e con chiunque abbiano a che fare. Sebbene questo modo di fare possa indurre l’interlocutore a sentirsi inferiore, l’esigenza celata di colui che parla risponde alla necessità di colmare il proprio latente complesso di inferiorità (ammesso che abbia senso in questo contesto parlare di superiore ed inferiore). Risulta a questo punto evidente e netto collegamento che si instaura tra il complesso di superiorità e quello di inferiorità.

Pertanto, dinanzi a coloro che sentono l’esigenza di mostrare quanto “sappiano più di noi”, siano più lungimiranti o interessanti, e il cui unico scopo è quello di far sentire inadeguato l’interlocutore, occorre pensare che dietro questi agiti si nasconde un enorme senso di inadeguatezza e di non essere mai abbastanza, insomma il famoso complesso di inferiorità. Quest’ultimo arriva ad essere talmente grande che l’individuo potrebbe non considerare, neanche per un momento, di avere un problema; tant’è che l’individuo in questione tende a “risolvere” il problema compensandolo con il suo opposto, ovvero la sua falsa, spietata e apparente sicurezza.

Urge ricordare che di per sé

Il sentimento di inferiorità non è una malattia, è piuttosto uno stimolo per una salutare e normale aspirazione per lo sviluppo, ma, tale condizione diviene patologica solo quando il senso d’inadeguatezza sopraffà l’individuo e, lontano così dallo stimolarlo verso l’attività utile, lo rende depresso e incapace di sviluppo. (Adler, 2012)

Le cause

Le cause in grado di determinare l’insorgenza del complesso di superiorità in bambini e adolescenti sono varie e diversificate, ascrivibili all’area dell’ambiente familiare in cui il soggetto vive, dei contesti nei quali è inserito, di alcune connotazioni individuali, nonché il contesto socio-culturale. Tra le maggiori cause si annovera: tratti caratteriali eccessivamente introversi, subire eccessive aspettative o eccessive critiche da parte dei genitori, scarsi risultati scolastici e sportivi, bassa statura o altre particolarità fisiche, scarso successo nelle dinamiche relazionali e amicali, avere genitori narcisisti, subire atti di bullismo, avere genitori che hanno collezionato numerosi insuccessi e trasmesso ai figli la convinzione di essere migliori degli altri…

Conclusione

In sintesi, sia l’eccesso che la mancanza di autostima non sono mai indice di buona autostima, poiché si configurano entrambi come modi disfunzionali e rigidi di fronteggiare e gestire la bassa autostima del soggetto. Nel caso di complesso di superiorità ci troviamo dinanzi ad un meccanismo di iper-compensazione, in cui l’individuo sente la necessità di reputarsi superiore e migliore degli altri per rimediare alla sua scarsa autostima, pertanto si impone sugli altri come Super Uomo; nel caso di complesso di inferiorità il soggetto fa uso di un meccanismo di resa in cui “se accetto e ammetto la mia inferiorità, posso rassegnarmi al mio inevitabile destino”.

Colui che gode di un’autostima equilibrata non sentirà l’esigenza di affermarsi sugli altri o sottomettersi a questi ultimi, ma sarà semplicemente sé stesso consapevole dei propri limiti e delle proprie risorse.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adler, A. (2012). La scienza del vivere. Roma: Edizioni universitarie romane.
  • Adler, A. (1992). La psicologia individuale. Roma: Astrolabio Ubaldini Editore.
  • Adler, A. (1997). Il senso della vita. Roma: Newton Compton.
  • Monbourquette, J. (2016). Dalla stima di sé alla stima del sé. Un ponte tra psicologia e spiritualità. Roma: Edizioni Paoline.
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