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Tecniche di stabilizzazione con pazienti sopravvissuti al trauma

La stabilizzazione è uno strumento per abbassare l'arousal e di conseguenza le condotte impulsive e autodistruttive di pazienti sopravvissuti a un trauma

Di Giada Alberti

Pubblicato il 01 Feb. 2021

La stabilizzazione è il primo passo da farsi con un individuo che abbia una sindrome post traumatica.

 

Infatti nel modello trifasico utilizzato nella cura dei pazienti sopravvissuti al trauma è essenziale trovare dei metodi e degli strumenti per abbassare l’arousal nel setting terapeutico e fuori e di conseguenza le condotte impulsive e autodistruttive strettamente connesse ai sintomi. Sarà necessaria questa prima fase tenendo conto anche delle risorse dell’individuo per poi passare alle seconda fase, quella della rielaborazione delle memorie traumatiche. Ovviamente le tre fasi non seguono un andamento lineare ma è fondamentale che sia il paziente a dettare i tempi e che il modello tenga conto delle peculiarità della persona che abbiamo difronte.

Addentrandosi nei diversi strumenti di stabilizzazione, esistono:

  • l’approccio farmacologico, utile sopratutto nei casi più complessi;
  • l’approccio relazionale/interpersonale, espedienti di natura interpersonale per esempio contatto fisico e compagnia ma anche il riuscire a stabili confini chiari e appropriati entro i quali l’individuo rispetta se stesso e l’altro;
  • l’approccio autonomo/regolativo, quello sul quale ci soffermeremo su questo articolo, è utile per la persona per riuscire a gestire in autonomia i propri sintomi e le emozioni soverchianti. In questo approccio vi sono diversi tipi di strumenti che si possono utilizzare come la psicoeducazione, la mindfulness, esercizi di riorientamento, il grounding, il respiro.

La psicoeducazione è utile per normalizzare i sintomi e le reazioni del paziente spiegando all’individuo i meccanismi neurobiologici ed evoluzionistici che vi sono alla base. Mentre gli esercizi di riorientamento e grounding sono utili per riportare il paziente nel qui ed ora qualora fosse uscito dalla finestra di tolleranza e stia manifestando sintomi dissociativi. Gli esercizi di centratura servono al paziente per recuperare il contatto con il corpo e recuperare l’equilibrio. Bisogna dunque aiutare il paziente a percepire il centro di gravità del corpo che è posto a circa a 10 cm al di sotto dell’ombelico. Infatti un esercizio che si può proporre è quello di riporre le mani sul basso ventre e notare le sensazioni che si sentono nel corpo. Un’altra zona efficace per la centratura è il petto e uno degli esercizi utili da proporre al paziente consiste nel fargli porre una mano vicino al cuore l’altra sulla pancia e osservare le sensazioni sperimentate. Un altro esercizio sempre nella zona del petto consiste nel fare una leggera pressione con le mani sul petto osservando anche in questo caso gli effetti sul corpo. Alcuni degli individui sopravvissuti al trauma possono provare disagio nel toccare il proprio corpo e quindi può essere utilizzato uno strumento che medi tra le mani e le parti del corpo sopracitate, come una pallina di gomma o un cuscino.

Le tecniche di grounding risultano invece molto efficaci per rendere la persona consapevole di essere nel momento presente e quindi presente nel qui ed ora. Puo essere utile far poggiare al paziente i piedi bene a terra per stabilire un senso di stabilità e sicurezza per poi notare che effetto ha sul corpo; può essere efficace anche toccare le pareti per ristabilire un senso di radicamento. Il terapeuta può anche consigliare al paziente di massaggiare piedi e gambe, meglio se seduti a terra, e di abbandonare qualsiasi tipo di pensiero giudicante ma restare con la mente sul proprio corpo. Le tecniche basate sul respiro sono funzionali per aiutare la persona a tornare nel momento presente e regolano l’attivazione neurofisiologica. Questa è una brevissima sintesi dei diversi strumenti di cui il clinico dispone per la stabilizzazione ma è fondamentale ricordare che esse corrispondono solo a una parte dell’intervento per i sopravvissuti all’abuso e che un approccio integrato di più tecniche è quello più utile per prendersi cura di essi. Sarebbe molto utile e arricchente per la pratica clinica, così come per la ricerca, che ogni terapeuta prenda spunto da queste tecniche evidence-based e dalle ricerche empiriche per arricchirle con spunti creativi e personalizzati, ricordandoci che il paziente è al centro dell’intervento terapeutico. Nei prossimi articoli mi soffermerò su alcune delle tecniche di stabilizzazione proposte dall’ESTD (European Society of Trauma and Dissociation) soffermandomi su aspetti maggiormente pratici.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Puliatti, M. (2017). La psicotraumatologia nella pratica clinica: interventi di stabilizzazione con adulti, bambini e adolescenti. Roma: Mimesis
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