Uno dei modi per evitare che le persone cadano vittima di disinformazione è quello di vaccinarle contro la disinformazione, esporle, quindi, ad un esempio di disinformazione, in modo che possano sviluppare gli opportuni anticorpi alle false notizie.
In quest’epoca, che qualcuno ha chiamato della “post-verità” (Stephan Lewandosky, John Cook, Ullrich K. H. Ecker, 2017), le bufale o “fake news”, come talvolta denominate, possono diffondersi attraverso internet ad una velocità impressionante. Negli ultimi tempi si è assistito, peraltro, ad una maggiore attenzione anche alla terminologia utilizzata. Alcuni autori, infatti (Claire Wardle, Hossein Derakshan, 2017) hanno evidenziato come talvolta il termine “fake news” venga utilizzato anche come un trucco dialettico sporco, al fine di “bollare” in maniera negativa punti di vista differenti.
In inglese quindi, si utilizzano in genere due termini. Si parla quindi di “disinformation” quando vengono diffuse false notizie in maniera consapevole e con l’intento di danneggiare qualcuno (persone, gruppi od organizzazioni). Si usa, invece, il termine “misinformation” quando la diffusione delle false notizie è inconsapevole e quindi è fatta senza intento di danneggiare nessuno (Caroline Jack, 2017).
In italiano, peraltro, il termine “misinformazione” non risulta ancora entrato nell’uso comune, ragion per cui nel seguito verrà utilizzato il termine “disinformazione”, che risulta sicuramente più familiare, anche se meno preciso come definizione. Il termine, quindi, verrà utilizzato sia per indicare la “disinformation” che la “misinformation” secondo le definizioni prima evidenziate.
I perchè della disinformazione
Cosa porta una o più persone a diffondere false notizie?
Gli scopi possono essere i più vari. Come evidenziato da alcuni autori (Claire Wardle, Hossein Derakshan, 2017) (Stephan Lewandosky e altri, 2012) i soggetti che diffondono disinformazione possono farlo, ad esempio, per motivi politici o, più semplicemente, per motivi economici. Molti click sulle notizie (false) fanno traffico su internet e quindi spesso si ha monetizzazione dei click.
False informazioni su un determinato fenomeno o notizia possono portare l’autore a vendere contenuti, come accessi a siti internet o anche libri, riguardanti quel fenomeno o notizia. La spiegazione è quindi talvolta estremamente banale. Questo è vero per l’autore della falsa notizia, che ha in ogni modo interesse a far parlare della sua “creatura”. Ma cosa spinge un “comune cittadino” a diffondere disinformazione, magari condividendo contenuti sul web?
E’ stato evidenziato (Miriam J. Metzger, Andrew J. Flanagin, 2013) che ormai i contenuti sul web sono talmente tanti che risulta molto difficile distinguere l’attendibilità delle fonti. Quindi, coloro che cercano delle informazioni o che ricevono una notizia, ad esempio per una condivisione da parte di un amico, ricorrono a quelle che si chiamano “euristiche“, vale a dire delle scorciatoie mentali che permettono di prendere decisioni semplici e veloci.
Tra le varie euristiche possiamo quindi avere, ad esempio, la cosiddetta “self-confirmation heuristic” in base alla quale colui che cerca le informazioni tende a privilegiare quelle fonti che confermano i suoi punti di vista. Un’altra euristica è la cosiddetta “endorsement heuristic” per cui si tendono a validare le informazioni già ritenute affidabili da altri.
La vaccinazione contro le false notizie
Le euristiche, quindi, ci permettono di prendere decisioni semplici e veloci con poco o nessuno sforzo cognitivo. Peraltro, se talvolta portano a decisioni corrette, può anche capitare che le euristiche siano la causa di comportamenti errati. Ciò può accadere perché l’utilizzo di una di queste “scorciatoie mentali” ci può far ritenere come valide informazioni che in realtà non lo sono.
Ma come rimediare nel momento in cui ciò accade? E’ sufficiente che le persone “disinformate” vengano correttamente informate?
E’ stato visto (Stephan Lewandosky e altri, 2020) che non è sufficiente evidenziare le informazioni giuste. Anzi, può anche accadere che si abbia un “back-fire effect” (Stephan Lewandosky e altri, 2012) (Stephan Lewandosky e altri, 2020) per cui l’esposizione all’informazione corretta rinforza la convinzione in quella errata.
E’ evidente, però, che questo non può farci desistere dal combattere la disinformazione (Stephan Lewandosky e altri, 2020). E’ quindi importante, in primo luogo, tarare la comunicazione delle informazioni corrette a seconda dei destinatari del messaggio.
Un altro modo per evitare che le persone cadano vittima di disinformazione, peraltro, è quella di “vaccinarle” contro la disinformazione (John Cook, Stephan Lewandosky, Ullrich K. H. Ecker, 2017) (Stephan Lewandosky, Sander an der Linden, 2018) (Jon Roozenbeek, Thomas Nygren, Sander van der Linden, 2020). La vaccinazione, come tutti sappiamo, consiste nell’inoculazione di un virus o di un batterio debole nell’organismo di un paziente, in modo che il suo sistema immunitario sviluppi degli anticorpi contro quel virus o batterio. Il vaccino contro la disinformazione opera nella stessa maniera. Il “paziente” viene quindi esposto ad un esempio di disinformazione, in modo che possa sviluppare gli opportuni “anticorpi” alle false notizie.
Un esempio
Un esempio di vaccinazione valido è sicuramente quello che prende in esame l’utilizzo delle figure dei Premi Nobel. Spesso, infatti, i soggetti interessati a diffondere disinformazione
- strumentalizzano la figura dei Premi Nobel;
- diffondono notizie (false e non verificate né verificabili) su presunte “candidature” al Premio Nobel.
Ed è stato visto che spesso tali “trucchi” sono stati usati (ironia della sorte) dal movimento NO-VAX al fine di avvalorare le proprie posizioni (ma potrebbe usarli un qualunque altro soggetto che diffonde disinformazione). E’ stata ad esempio utilizzata la figura di Luc Montagnier, che è stato Premio Nobel per la Medicina nel 2008, ma che negli ultimi anni ha aderito alle posizioni NO-VAX. (Candice Basterfield e altri, 2020). E qua, evidentemente, ci cascherebbe chiunque. Ognuno di noi penserebbe: “Cavoli, se lo ha detto un Premio Nobel, sarà vero”.
La questione, che molti ignorano, è che la storia è piena di Premi Nobel che poi hanno “perso la retta via” aderendo a posizioni molto criticabili. Oltre a Luc Montagnier si può citare Linus Pauling, Premio Nobel per la Chimica nel 1954 e per la Pace nel 1962, il quale sostenne che massicce dosi di vitamina C fossero utili contro il tumore (Candice Basterfield e altri, 2020). Altri esempi, in tempi più remoti, ma comunque significativi, sono quelli di Philipp Van Lenard, vincitore del Premio Nobel in fisica nel 1905, e di Johannes Stark, che fu insignito del Premio Nobel in fisica nel 1919. Entrambi abbracciarono l’idea di una “fisica ariana” e criticarono la “fisica ebraica” di Albert Einstein.
Per quello che riguarda invece le presunte “candidature” al Premio Nobel, in tempi recenti sempre i NO-VAX hanno cercato di mostrare come autorevole il Prof. Giulio Tarro in quanto “candidato al Nobel”. La questione, che molti ignorano, è che le candidature al Premio Nobel vengono rese pubbliche solo dopo 50 anni, quindi nessuno può avere notizia delle medesime se non dopo il predetto lasso di tempo.
Essere vaccinati contro uno dei (tanti) metodi di disinformazione ci può quindi fornire uno strumento che può aiutare a distinguere le informazioni corrette dalle false notizie.