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Il dialogo strategico nella terapia breve

La terapia breve strategica utilizza il dialogo strategico come processo di scoperta per scardinare modalità percettive patogene e le reazioni patologiche

Di Paolo Fratagnoli

Pubblicato il 21 Dic. 2020

Aggiornato il 22 Dic. 2020 13:06

Il colloquio clinico in terapia, secondo l’approccio della terapia breve strategica, ha l’obiettivo di indurre cambiamenti radicali nella percezione della realtà soggettiva disfunzionale del paziente.

 

Il dialogo strategico (Nardone, G.; Salvini, S. 2004) è una tecnica sofisticata di conduzione di colloquio che ci permette di portare il paziente alla scoperta di nuove prospettive che a lui erano prima invisibili, attraverso specifiche domande e alternative di risposte. Nel corso degli anni il dialogo strategico applicato non solo all’ambito terapeutico ma anche manageriale e al problem solving è stato validato come uno strumento molto efficace per produrre il cambiamento poiché si tratta di una tecnica rigorosa ma flessibile. Nel contesto clinico, ma non solo, il fine è quello di portare alla rottura della percezione e conseguente reazione disfunzionale del paziente.

Già la fase della definizione del problema rappresenta un primo passo fondamentale per riuscire ad avere l’immagine più accurata possibile su quale sia la mappa rappresentazionale del paziente ovvero quale sia la sua esclusiva e del tutto soggettiva ‘realtà di secondo ordine’ per dirla alla Watzlawich oppure a quello che Bandler chiama struttura profonda (Bandler R., Grinder J. 1975). Il linguaggio è il nostro principale mezzo di rappresentazione della realtà ed al tempo stesso è lo strumento per la comunicazione della rappresentazione del mondo. La sequenza delle domande non è mai prestabilita ma si adatta sempre alla particolarità del paziente. La maestrìa del clinico si avvale di domande discriminanti che guidano alla comprensione del problema e all’obiettivo da perseguire, domande orientanti che aiutano il soggetto a ‘sentire’ come il problema si mantiene e come egli ne sia parte attiva del mantenimento attraverso le sue azioni e le sue ‘tentate soluzioni’, domande ad illusione di alternative (focalizzate sulle modalità ridondanti di percepire e reagire nei confronti di un dato problema o situazione) per far scoprire attivamente l’esigenza di modificare il proprio comportamento.

Ingredienti fondamentali del dialogo strategico sono le parafrasi ristrutturanti e l’uso di un linguaggio fortemente evocativo.

Il linguaggio ed in particolare le parafrasi creano ‘relazione con il paziente’ e abbassano le resistenze al cambiamento

Le parafrasi creano ‘compliance’ terapeutica poiché provano al paziente che abbiamo compreso ciò che ci viene espresso ed allo stesso tempo confermano al terapeuta che sta andando nella strada giusta; il linguaggio analogico può essere usato dal terapeuta per far ‘sentire’ al paziente come uno specifico problema funziona e può creare avversione piuttosto che desiderio rispetto ad un determinato comportamento. L’uso di metafore e analogie, sapientemente seguito da ristrutturazioni più logiche, rappresenta un ottimo strumento per abbassare le inevitabili resistenze al cambiamento che ogni paziente porta con sé.

Con le parole di Haley: ‘…la tecnica analogica o metaforica è particolarmente efficace con soggetti resistenti, dato che è difficile che una persona si opponga ad una suggestione che non è consapevole di ricevere‘ (Haley, 1976).

La parte finale del dialogo fa riferimento al riassumere per ridefinire, in cui una ristrutturazione globale sarà finalizzata a consolidare l’inevitabile esigenza di mettere in atto comportamenti diversi in relazione al problema.

Tutto l’iter del dialogo strategico diviene un vero e proprio processo di scoperta congiunto fra paziente e terapeuta che ad ‘imbuto’ mira a scardinare le modalità percettive patogene e le reazioni patologiche relative ad un problema.

…il terapeuta, con sapienti manovre, guida il suo interlocutore ad essere l’attore protagonista della scena in modo tale che si persuada di ciò che egli stesso sente e scopre’ (Nardone G., Salvini, A. 2004, pag 6).

Il dialogo strategico, se ben strutturato, porta il paziente a sentire la necessità di cambiare, cioè, a partire da un processo persuasivo, si arriva a far si che il cambiamento sia spontaneo. Esso conduce l’interlocutore non a capire ma a sentire differentemente. Per questo motivo molto spesso il primo colloquio rappresenta già un’esperienza emozionale correttiva nei confronti del problema. L’ultima fase del dialogo strategico è il prescrivere ovvero il momento in cui si concorda ciò che dovrebbe essere messo in atto per il cambiamento oppure ciò che il terapeuta richiede sottoforma di indicazione terapeutica (stratagemma) poiché riconosce un certo tipo di ridondanza ascrivibile a quel determinato disturbo e/o sistema percettivo reattivo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bandler, R., Grinder, J. (1975). La struttura della magia. Astrolabio, Roma.
  • Haley, J. (1976). Terapie non comuni. Conversazioni con Milton Erickson. Astrolabio, Roma.
  • Nardone, G., Salvini, A. (2004). Il dialogo strategico. Ponte alle Grazie. Milano.
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