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Quando volano i cormorani (2020) di Alfredo Canevaro – Recensione del libro

'Quando volano i cormorani' descrive il modello clinico del percorso terapeutico utilizzato con giovani adulti che in genere coinvolge la famiglia d'orgine

Di Alberto Vito

Pubblicato il 03 Dic. 2020

E’ davvero un’ottima notizia la attesa riedizione di Quando volano i cormorani. Infatti, il volume era ormai introvabile da diversi anni nonostante il suo successo e la sua notorietà tra i colleghi, per sfortunate vicende editoriali (che nulla hanno a che fare con le responsabilità dell’autore).

 

A conferma della sua importanza, va ricordato come il libro sia stato scelto come libro di testo da diverse scuole di formazione in psicoterapia, non solo dell’ambito sistemico-relazionale e non solo in Italia. Grazie all’editore napoletano Guerriero viene data ora la possibilità di studiarlo a nuovi lettori, in una versione aggiornata e ampliata.

Chi non conoscesse il lavoro di Alfredo Canevaro e desidera familiarizzare con il suo pensiero può trovare in questo sito una bella intervista nello spazio dedicato ai grandi clinici della psicoterapia, rilasciata alla redazione di State of Mind nel Dicembre del 2013.

Quando volano i cormorani, probabilmente il libro più importante di A. Canevaro, ha quasi la struttura di un seminario didattico, con una prima parte teorica e successivi ampi inserti clinici, che ben chiariscono il suo modus operandi in seduta.

Il titolo dell’opera serve ad introdurre una splendida metafora, proveniente dall’osservazione del mondo animale, che suggerisce la visione ottimistica dell’uomo e della vita di A. Canevaro. Riportando le considerazioni di due scienziati europei, ci narra come i cormorani di norma sperimentino una fase regressiva, con una riduzione delle competenze motorie, che precede il momento in cui essi imparano a volare e si allontanano definitivamente dal nido diventando adulti. E’ una metafora poetica ed efficace, di grande aiuto anche per i genitori ansiosi e spaventati di fronte alla crisi adolescenziale dei loro figli, a cui risulta difficile credere che ciò di cui hanno più bisogno gli adolescenti non sia il controllo, ma la fiducia nelle loro capacità, per quanto possa risultare tortuoso e anomalo il percorso di crescita intrapreso.

Il libro descrive proprio il modello clinico del percorso terapeutico utilizzato con giovani adulti. La specificità del modello è la convocazione dei familiari significativi, dopo le prime sedute individuali, nella parte centrale del processo terapeutico. In genere è coinvolta la famiglia d’origine, ma talvolta anche i partner. Tale allargamento ha l’obiettivo di creare un’esperienza emozionale che, sebbene breve, possa essere per la sua potenza risolutiva nei confronti di blocchi, in buona parte inconsapevoli, che solo l’intensità/drammaticità dell’incontro con i familiari può consentire di affrontare.

Mi piace ricordare che, per Canevaro, scopo dell’incontro terapeutico è: ‘dare senso alla sofferenza’. Anche qui, compare la sua visione umanistica e complessa: la sofferenza è, per buona parte, ineliminabile dall’esperienza umana. Una vita in cui non si soffre non sarebbe né auspicabile né migliore. La sua assenza ci condannerebbe a un isolamento in un mondo privo di affetti. Il dolore, certo non da solo, è ciò che ci rende umani. E dare un senso a ciò che viviamo, a quello che proviamo, alle nostre scelte e ai nostri dilemmi, senza eliminare le emozioni che ci accompagnano, è un’operazione importante. Infatti, proprio nell’aumento di consapevolezza c’è per noi la più importante opportunità per vivere pienamente.

La conferma di tale atteggiamento è da ritrovare nella ‘centralità del paziente come protagonista del cambiamento‘, di cui Canevaro è uno strenuo sostenitore. Il terapeuta non è il deus ex machina, non è il protagonista che guarisce con il suo sapere, ma è l’artigiano che usa in modo minuzioso i propri strumenti, al servizio della crescita dell’altro. Certo, per ottenere tale risultato, egli dovrà essere talvolta direttivo affinché vi sia un utilizzo opportuno degli strumenti relazionali che egli sceglie di far adottare a individui e famiglie, ma la filosofia di fondo è chiarissima: come terapeuta non dico mai cosa è giusto per te, ma ti aiuto a riappropriarti della tua vita, aiutandoti a cogliere e svelare fili e intrecci a volte tanto intricati o dolorosi da risultare invisibili.

Canevaro parla anche della terapia come possibilità di riconciliazione tra i familiari ed egli è tra quelli che crede nell’importanza del perdono, anche nelle situazioni traumatiche. Ma la sua non è affatto una visione ‘buonista’, non propone affatto un ‘volemose bene’ a tutti i costi, né le terapie sono efficaci se finiscono a ‘tarallucci e vino’. Egli sa bene che, affinché ci possa essere perdono, deve prima di tutto essere riconosciuto un danno senza nessuna sottovalutazione delle sue conseguenze. Tuttavia, la sua saggezza lo porta a credere convintamene che non c’è libertà nella rivendicazione cronica e nella rabbia esasperata. Il perdono è un atto che libera innanzitutto colui che perdona, che in tal modo può assumersi maggiormente la responsabilità della propria vita. ‘A cosa serve essere arrabbiati tutta la vita? Che grosso spreco è?‘ sembra chiedersi e chiederci. Salvo che, certo, tale scelta non sia al servizio della paura di scegliere, di osare, di vivere…

Infine, come non menzionare la descrizione dell’esercizio dello zaino, che ha affascinato ed emozionato tanti colleghi che l’hanno osservato nei suoi seminari. E’, probabilmente, l’esercizio che più facilmente fa ricordare A. Canevaro al grosso pubblico degli psicoterapeuti. La sua potenza, la sua efficacia ed anche la sua apparente semplicità sono alla base di tale successo. Esso chiarisce bene come la terapia debba essere innanzitutto un’esperienza emozionale, oltre che cognitiva. Ricompare la visione umanistica di Alfredo. L’incontro tra esseri umani, e quindi anche quello che avviene nello spazio della psicoterapia, non può essere asettico. Non può ridursi a una spiegazione concettuale o a una lezione astratta. Solo la potenza del rituale garantisce il coinvolgimento e l’intensità emozionale in grado di mettere in atto un cambiamento e consentire un’esperienza che, sia pur breve e guidata, sarà conservata per molti anni nella memoria dei suoi attori.

In questa nuova edizione, Canevaro ha dato maggiore spazio anche a un altro rituale molto potente, che utilizza con le coppie in via di separazione, spesso preda di conflittualità molto elevate. Si tratta di un esercizio in cui, in presenza dei figli, fa mettere di fronte gli ex partner cui viene richiesto di ringraziarsi reciprocamente per ciò che si sono dati nel corso della relazione. E’ stupefacente quanto possa essere difficile per alcune persone, prese da un intrigo di rabbia, rancori, incomprensioni, menzogne riconoscere che l’ex partner, che ora è considerato il responsabile principale delle proprie sventure, possa averci anche regalato qualcosa di buono che valga la pena di ricordare. L’esercizio è molto utile anche per i figli di tali coppie, che in tal modo hanno l’opportunità di osservare i propri genitori impegnati in qualcosa di assai diverso dalle solite accuse. Ancora una volta, non si tratta di una visione ‘buonista’ della vita, ma della profonda consapevolezza che occorre sciogliere i nodi irrisolti e non elaborati per affrontare il futuro con i vincoli della propria storia, ma senza l’obbligo di percorrere strade predeterminate o da altri o da parti ignote di noi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Canevaro A. (terza edizione, 2020). Quando volano i cormorani. Luigi Guerriero Editore, Napoli.
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