Oggi pubblichiamo l’undicesimo lavoro della serie di Roberto Lorenzini, dedicata al tema della monogamia e delle sue implicazioni psicologiche, affettive, relazionali e, perché no, sessuali. Lorenzini propone una tesi forte: la monogamia non funziona. E qui chiude il suo racconto con la rassegna delle ricerca e una conclusione.
MONOGAMIA E TRADIMENTI – (Nr. 11) Ricerche e conclusioni
11. Rassegna delle ricerche
Il fatto che le relazioni amorose evolvano nel tempo non è certo una scoperta sensazionale ed è anzi sotto gli occhi di tutti. Mi limito in questa sede a riprendere il lavoro di rassegna complessiva dello stato dell’arte di Garcia (1998) perché nel descrivere le fasi cronologiche in modo non molto dissimile da quanto fatto nel corso degli episodi di questa rubrica, sottolinea come tali mutamenti siano ascrivibili al diverso dosaggio delle tre dimensioni che, secondo l’interessante teoria triangolare dell’amore di Stenberg (Morino et al., 2005) costituiscono l’amore romantico e che sono: la passione, l’intimità e l’impegno.
Gli psicologi hanno definito tre differenti fasi nelle relazioni d’amore (Garcia, 1998):
- Innamoramento;
- Amore passionale;
- “Companionate love” (che dà l’idea di equilibrio, complicità, armonia).
Fase 1: Innamoramento. Questa fase è caratterizzata da fortissima passione, intimità e impegno ed è una fase relativamente breve (dura circa per i primi 6 mesi); sono presenti eccitazione e, a causa dell’insicurezza, stress. Biologicamente i livelli di cortisolo sono alti, bassi quelli della serotonina.
Fase 2: Amore passionale. E’ una fase dominata da sensazioni di sicurezza e calma; la passione resta alta e l’intimità e l’impegno continuano ad aumentare costantemente. L’ossitocina e la vasopressina giocano un ruolo fondamentale, permettendo la formazione di legami saldi e un miglioramento della salute. Questa fase dura qualche anno prima di evolvere nel “companionate love”.
La fine di questa fase coincide con quella che Helen Fisher (2017) chiamava “4 years itch” ossia “prurito dei quattro anni”. La Fisher, studiando i dati sui divorzi nelle differenti culture, riportò un sostanziale aumento di divorzi nel quarto anno di matrimonio e sviluppò questa teoria ritenendo che i legami umani siano fatti per durare circa quattro anni, ossia il periodo in cui la prole è più vulnerabile. A prova di ciò trovò che questo periodo poteva essere esteso da quattro a sette anni nel caso in cui la coppia avesse più di un figlio. Ne risulta che il passaggio dalla seconda alla terza fase dell’amore è un periodo particolarmente fragile in una relazione.
Fase 3: “Companionate love”. Questa fase è caratterizzata da un decremento della passione, ma intimità e impegno restano elevati: la relazione d’amore è a tratti leggermente simile all’amicizia. L’ossitocina e la vasopressina sono sempre gli ormoni dominanti, assicurando il legame nella coppia. Non tutte le relazioni evolvono necessariamente in questa fase: molte finiscono prima! Quando l’intimità e la passione sono molto bassi e resta solo l’impegno, il risultato è quello che Stenberg definisce “amore vuoto”. Nonostante ciò molte coppie, se l’impegno è abbastanza forte, riescono a restare insieme.
Tuttavia, al di là di queste tendenze generali è pur vero che molte coppie sostengono di essere ancora appassionatamente innamorate anche dopo 20 anni di matrimonio! Ciò indica che alcune relazioni possono non evolvere mai nella terza fase, ma restare nelle fasi iniziali.
Il fatto che un terzo dei matrimoni finisca col divorzio e l’elevata frequenza di tradimenti ci fanno porre una domanda: ma gli uomini e le donne sono fatti per la monogamia?
De Boer, Buel & Ter Horst (2012) hanno riscontrato che ci sono molte indicazioni che farebbero optare per una non-monogamia dell’essere umano. Innanzitutto, ricerche psicologiche mostrano che la soddisfazione coniugale è inversamente correlata alla durata del matrimonio (Berscheid, 2010) e molti matrimoni sfociano nel divorzio (Kalmijin, 2007); ci sono momenti fragili in una relazione in cui la rottura è più che frequente (il “prurito dei 4 anni” della Fisher ne è un esempio).
Entrambe le osservazioni indicano che ci sono meccanismi che portano alla rottura delle relazioni, suggerendo che gli esseri umani non siano naturalmente inclini ad una forma di legame stabile “per tutta la vita” e che siano più simili alle specie non monogame rispetto a quelle monogame (Barash e Lipton, 2002).
Tuttavia, alla domanda se siano o meno monogami è difficile rispondere, poiché uomini e donne mostrano chiari tratti di monogamia sociale (legami durevoli, cooperazione nella crescita dei figli) ma sembra improbabile che siano naturalmente inclini alla monogamia sessuale. Sarebbe quindi più giusto parlare di “monogamia seriale” (tipicamente quando una coppia divorzia e i coniugi si risposano formando nuove coppie).
La monogamia umana è ancora un argomento delicato dove più che altrove è estremamente difficile separare l’effetto culturale dalla natura.
Conclusioni
Come terapeuti assistiamo frequentemente a grandi sofferenze determinate non direttamente da un proprio o altrui comportamento (in questo caso del partner) ma dal fatto che questo si discosti da quella che è la norma e che dunque spinga a condotte atte a ristabilirla. La norma in questione è appunto la monogamia che non ammette il tradimento e se esso si verifica impone la chiusura della relazione principale con separazione, divorzi, smembramento della famiglia e sofferenze dei figli, oppure la rinuncia all’altra relazione con la perdita dell’effetto vivificante e dell’arricchimento che comportava. In realtà abbiamo visto come la relazione principale di amore, una volta superata la fase iniziale dell’innamoramento è finalizzata al mantenimento dell’identità e alla realizzazione di progetti nel tempo come l’allevamento dei figli fino al loro svincolo e ad altri progetti esistenziali in linea con i valori della coppia. Non richiede invece quella esclusività propria del periodo dell’innamoramento per cui altri partner secondari e transitori potrebbero anche arricchire la coppia come nuove profonde amicizie con le quali in fondo sono in continuità e che nessuno percepirebbe come minaccia per la coppia stessa. Il conflitto si porrebbe solo durante la fase dell’innamoramento ma ciò in genere non accade perché ogni innamoramento si potenzia dall’innamoramento dell’altro (è difficile innamorarsi di chi non è interessato a noi). Quindi nella relazione tra due innamorati non ce n’è per nessun altro. In conclusione, mi sembra che l’ideale normativo della monogamia, ancorché costantemente disatteso nella pratica, comporti più sofferenze che vantaggi e non sia utile a garantire la certezza sulla paternità della prole per la quale probabilmente era nato. In compenso costringe alla segretezza e all’inganno vera devastante insidia per la coppia principale.