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Il Disturbo da Stress Post Traumatico. Allo studio nuove prospettive per la diagnosi, la cura e la prevenzione

I ricercatori hanno esplorato i meccanismi molecolari alla base del Disturbo da Stress Post Traumatico, mettendo in luce importanti novità

Di Giacinto D`Urso

Pubblicato il 26 Nov. 2020

Il Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) è una malattia psichiatrica complessa che ha come agente eziologico il trauma ed un complesso quadro sintomatico con ampie zone di sovrapposizione con altre patologie.

 

Tale disturbo, inizialmente associato all’impiego dei soldati in operazioni militari, sta diventando sempre più comune a causa della ricorrenza con cui ai nostri giorni si verificano gravi incidenti, violenze private, atti criminali/terroristici, emergenze sanitarie e calamità naturali che possono far sperimentare ad un individuo o ad un’intera comunità esperienze di forte paura e terrore.

La diagnosi del PTSD avviene attraverso la verifica dei criteri descritti nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (APA, 2013), utilizzando strumenti di valutazione come ad esempio il Clinician-Administered PTSD Scale (Weathers et al.,2018). Al momento, il trattamento di elezione del disturbo è la psicoterapia, che consente di desensibilizzare i pensieri spiacevoli e angoscianti legati al trauma e di attivare le reti neuronali necessarie a far transitare il ricordo traumatico dalla corteccia prefrontale, in cui rimane emotivamente attivo, alla corteccia parietale, dove viene elaborato e memorizzato come evento passato.

Al riguardo, una ricerca (Haiyin Li et al., 2020) pubblicata dal Journal of Clinical Investigation sembra aver individuato alcune novità. In particolare, i ricercatori del Center for Addiction and Mental Health di Toronto, esplorando i meccanismi molecolari alla base del PTSD, hanno riscontrato che, nei soggetti esposti a forti stress ed eventi traumatici, tende ad aumentare la presenza di un complesso proteico denominato GR-FKBP51 che, a distanza di tempo, continua a permanere a livelli elevati solo in coloro che sviluppano la malattia. Il quadro di situazione verificato ha indotto i ricercatori a ritenere che tale complesso proteico possa essere utilizzato come un biomarcatore diagnostico e a sviluppare un peptide capace di limitarne la formazione, favorendo la prevenzione ed il trattamento del disturbo.

E’ già da tempo noto che lo stress determina una iperattività dell’apparato endocrino e quindi una maggiore produzione di ormoni che svolgono un ruolo importante nell’ambito dei processi d’attivazione fisiologica dell’organismo conseguenti all’esposizione ad una minaccia. Normalmente, il nostro corpo è capace di ripristinare una situazione di equilibrio. Quando ciò non avviene, il perpetuarsi dello stato di attivazione può determinare dei ‘malfunzionamenti’ che possono incidere significativamente sullo stato di salute e di benessere. In tale prospettiva è possibile ipotizzare che la maggiore presenza del complesso GR-FKBP51 possa contribuire a determinare nei soggetti coinvolti in eventi traumatici e/o sottoposti a forti stress emotivi le anomalie funzionali delle aree cerebrali preposte al processamento degli stimoli emozionali, alla valutazione/identificazione dei contesti sicuri e alla definizione della soglia della reattività emotiva più volte osservati negli studi condotti con tecniche di neuroimaging.

In conclusione, lo studio canadese ha sicuramente introdotto una prospettiva intrigante seppur meritevole di approfondimenti e conferme scientifiche attraverso la replicazione dei fenomeni osservati. Al riguardo, è auspicabile che siano sviluppati nuovi filoni di ricerca scientifica che consentano, integrando competenze mediche, psicologiche e sociali, di indagare con una prospettiva più ampia il complesso meccanismo che determina il manifestarsi del PTSD e di individuare le linee di azione più idonee alla sua prevenzione, diagnosi  e cura.

 

Autore: Giacinto D’Urso

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