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Gli effetti delle pratiche di meditazione sul benessere corporeo

La meditazione contrasta lo stato di stress e può rivelarsi uno strumento preventivo e integrativo alle cure farmacologiche per diverse patologie

Di Davide Bertelloni

Pubblicato il 03 Nov. 2020

Come le pratiche di meditazione agiscono su meccanismi neurofisiologici, neuroendocrini e substrati neurochimici, gli stessi che sottostanno al miglioramento in patologie cardiovascolari, neurologiche ed autoimmuni?

 

L’interazione mente/corpo è il fulcro d’azione principale delle pratiche meditative, le quali sono risultate utili come interventi integrativi agli attuali strumenti medici e farmacologici, in quanto la loro azione verte, oltre che sui processi cognitivi ed affettivi, anche su componenti somatiche. Sono stati riportati effetti diretti a più livelli sul sistema immunitario ed infiammatorio, nonché nella produzione ormonale e nel microbiota. Inevitabile anche la modulazione di meccanismi neurofisiologici, neuroendocrini e substrati neurochimici, gli stessi che sottostanno al miglioramento in patologie cardiovascolari, neurologiche ed autoimmuni.

Molteplici studi dimostrano come le pratiche di meditazione siano in grado di contrastare lo stato di stress tramite la modulazione delle funzioni di autoregolazione. Per stress s’intende la percezione di uno squilibrio tra richieste e risorse, la rottura di un bilanciamento omeostatico dinamico tra l’interno e l’esterno, ovvero una risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. Quando la percezione soggettiva di equilibrio tra richieste e risorse si incrina a favore delle prime, si assiste ad un carico allostatico eccessivo che se perdura nel tempo comporta un’alterazione dei processi biologici sottostanti (gli stessi processi che sono alla base del sistema immunitario e del sistema nervoso). Le pratiche di meditazione consentono quindi di modulare tale disequilibrio, comportando una riduzione dell’eccitazione simpatica (tipica delle condizioni di stress) e un miglioramento dell’azione del sistema parasimpatico. Così facendo il soggetto che medita riacquisisce un corretto equilibrio simpato-vagale. Questo dato è importante in quanto l’iperattività dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene (HPA) è alla base dell’insorgenza di disturbi debilitanti come Ansia e Depressione.

In aggiunta, sono stati osservati effetti sul sistema immunitario con abbassamento dei biomarcatori responsabili di infiammazioni (Pace et al., 2009) ed una maggiore risposta anticorpale dopo la somministrazione di vaccini antinfluenzali (Davidson et al., 2003). Si riscontra inoltre un aumento della melatonina nel plasma sanguigno, che sembra contribuire all’insorgenza di una sensazione di calma, consentendo la regolazione del ciclo sonno-veglia, causando sonnolenza e l’abbassamento della temperatura corporea (Jindal et al., 2013).

In ambito clinico è stato dimostrato come l’impiego della meditazione possa rivelarsi uno strumento preventivo e integrativo alle attuali cure farmacologiche per una serie di condizioni patologiche come i disordini cardiovascolari, la sindrome metabolica, l’insulino-resistenza e alcune forme tumorali. Per esempio, nello studio di Speca e colleghi (2000) è stata riportata una riduzione di sintomi da stress in soggetti con diversi tipi di cancro. Dopo la pratica meditativa infatti, i pazienti nel gruppo di trattamento, hanno riportato una riduzione del 31% dei sintomi dello stress, oltre che un miglioramento dei sintomi cardiopolmonari e gastrointestinali.

In persone con Artrite Reumatoide è stato ottenuto un miglioramento del benessere generale e riduzione del disagio correlato alla patologia (Zautra et al., 2008). E ancora, importanti evidenze sono state rilevate in relazione a condizioni patologiche tipicamente legate allo stress, come Psoriasi, Diabete di tipo 2, Fibromialgia e Artrite Reumatoide (Kabat-Zinn et al., 1998; Rosenzweig et al., 2007; Grossman et al., 2007; Pradhan et al., 2007). Ma anche verso Sclerosi Multipla e HIV, anche se attualmente risulta ancora difficile stabilire se tali evidenze siano conseguenza diretta di un effettivo beneficio di tali pratiche oppure un effetto non specifico e/o bias relativi a carenze metodologiche (Chiesa, 2010).

In conclusione, l’impiego delle pratiche meditative sembra essere molto promettente per il trattamento del dolore cronico, il quale è stato stimato come causa di sofferenza tra il 5.5% e il 33% della popolazione adulta mondiale. In una recente systematic review di Majeed et al. (2018), nella quale sono stati analizzati studi clinici randomizzati e meta-analisi, si è osservata una significativa diminuzione dei sintomi correlati al dolore cronico in soggetti appartenenti a popolazioni cliniche sottoposte a protocolli meditativi. Nello specifico è stata riportata una riduzione di intensità degli affetti negativi associati al dolore, alla paura e all’iper-vigilanza ad esso correlate, e della disabilità funzionale in pazienti con dolore persistente, nonché un significativo aumento dell’accettazione psicologica della patologia. Tale approccio è risultato efficace nel trattamento della lombalgia cronica, emicrania, mal di testa e dolore muscolo-scheletrico. Un’integrazione con gli attuali interventi terapeutici potrebbe inoltre comportare la diminuzione dell’utilizzo di farmaci, aumentando così la mobilità e il benessere.

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