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Comportamento immorale e auto-disumanizzazione

La moralità è concepita come una caratteristica unicamente umana e per questo sembra esserci una forte connessione tra immoralità e auto-disumanizzazione

Di Eleonora Galletti

Pubblicato il 18 Nov. 2020

Un recente studio si è proposto di indagare sia sul ruolo causale del comportamento immorale sull’auto-disumanizzazione, sia sul ruolo causale dell’auto-disumanizzazione su di un successivo comportamento immorale.

 

La moralità varia a seconda del retaggio culturale e degli individui stessi, ma è universalmente considerata come una parte fondamentale di ciò che ci rende umani (Brandt e Reyna, 2011; Haslam, Bastian, Laham e Loughnan, 2011). La ricerca sulle teorie laiche dell’essenza umana mostra che le persone credono che la sensibilità morale costituisca una proprietà unicamente umana che ci distingue dagli animali (Haslam, 2006). In effetti, negare a qualcuno caratteristiche unicamente umane può rappresentare una disumanizzazione animalesca che ritrae le persone come “immorali o amorali, cioè inclini a violare il codice morale o prive del tutto di esso” (Haslam, 2006): questo punto di vista suggerisce una forte connessione tra immoralità e disumanizzazione. Le evidenze suggeriscono che un iniziale comportamento immorale, come ad esempio l’atto di mentire, può successivamente generare maggiore immoralità (Tenbrunsel & Messick, 2004).

A partire da questi risultati, lo studio di Kouchaki e colleghi si è incentrato sia sul ruolo causale del comportamento immorale sull’auto-disumanizzazione, sia sul ruolo causale dell’auto-disumanizzazione su di un successivo comportamento immorale. È importante sottolineare che se queste relazioni risultano reciprocamente vere, l’auto-disumanizzazione potrebbe aiutare a spiegare parzialmente le spirali discendenti della disonestà (Kauchaki et al., 2018). Il lavoro di Kauchaki e colleghi nasce dall’unione di tre studi, aventi sotto-obiettivi diversi e con procedure differenti, nei quali i partecipanti sono stati reperiti mediante un questionario svolto su Amazon’s Mechanical Turk che offriva una ricompensa di 0,50$ a ciascuno. Nel primo studio gli autori hanno testato se comportamenti non etici accrescessero l’auto-disumanizzazione chiedendo ai partecipanti di scrivere un testo dettagliato riguardante un proprio evento passato. Il campione era stato suddiviso casualmente in tre parti: un terzo doveva descrivere una situazione in cui aveva avuto un comportamento non etico, un terzo doveva richiamare un evento in cui si era comportato eticamente ed un terzo doveva descrivere un vissuto passato neutro. Dopo aver misurato in seguito i livelli di auto-disumanizzazione con il Mind Attribution Scale (Kozak et al., 2006), è emerso che i partecipanti che avevano descritto un atto non etico presentavano facoltà umane più basse rispetto agli altri due terzi del campione.

Nel secondo studio sono state esaminate le conseguenze dell’auto-disumanizzazione ipotizzando che questa potesse accrescere la disonestà. I partecipanti dovevano scrivere un testo in cui raccontare nel dettaglio una situazione in cui non sentivano se stessi al pieno delle facoltà di essere umano; successivamente gli fu chiesto di risolvere quanti più anagrammi possibile in 2 minuti con dei set di lettere che, se propriamente combinate, potevano formare parole in lingua inglese. Per ogni parola trovata avrebbero avuto una ricompensa di 0,25$. L’ultimo anagramma era però irrisolvibile, per cui gli autori si sono serviti della frequenza con cui i partecipanti avevano riportato di averlo risolto come misura per la menzogna. Coloro che avevano scritto un testo con un vissuto di auto-disumanizzazione avevano mentito in misura maggiore rispetto al gruppo di controllo, riportando di avere risolto l’anagramma.

Nel terzo studio si è quindi ipotizzato che un comportamento immorale potesse accrescere l’auto-disumanizzazione, che potesse a sua volta alimentare azioni immorali. Il campione era stato suddiviso in una prima parte che aveva precedentemente descritto una situazione esperita come non etica e una seconda parte che aveva descritto una situazione neutra. È stata data ai partecipanti la possibilità di tentare di prevedere quale sarebbe stato il risultato del lancio di una moneta, con un premio di 2$ se la previsione fosse stata corretta. Il lancio della moneta è stato truccato in modo che solo per il gruppo nella condizione non-etica la faccia della moneta risultasse sempre differente dalla previsione del partecipante, al quale è poi stato chiesto se avesse avuto problemi con lo svolgimento di questo compito. Successivamente è stata misurata l’auto-disumanizzazione con il questionario sopra citato ed è stato sottoposto un secondo compito sulla risoluzione degli anagrammi proprio con le condizioni dello studio precedente. Per quanto riguarda i risultati, i partecipanti che avevano la possibilità di imbrogliare nel primo compito hanno dichiarato di avere facoltà umane significativamente inferiori rispetto ai partecipanti in condizione neutra; allo sesso modo, coloro i quali erano nelle condizioni di essere disonesti nel secondo compito dopo aver compilato il questionario sull’auto-disumanizzazione hanno dichiarato facoltà umane marginalmente inferiori rispetto alla condizione neutra.

Lo studio presenta un paradigma secondo cui comportarsi in modo immorale può spingere le persone a interiorizzare sottilmente un’immagine di sé stesse come prive delle capacità mentali di base necessarie per resistere alla tentazione di comportarsi in modo disonesto, inducendole ulteriormente verso comportamenti immorali (Kauchaki et al., 2018). Il suddetto studio ha dimostrato la connessione tra moralità e umanità (come attribuzione della mente) evidenziando come il comportamento non etico portasse alla successiva auto-disumanizzazione, che poteva diventare pretesto per una nuova azione immorale volta a portare nuova disonestà a valle. Quando un individuo si auto-disumanizza, si rende animale o oggetto, e pertanto privo di ragione, anima e moralità (Volpato, 2011).

Questi risultati contribuiscono alla crescente letteratura che esamina le conseguenze di comportamenti non etici ed estendono questo lavoro esaminando i nessi causali mediante i quali il comportamento non etico può auto-rinforzarsi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Brandt, M. J., & Reyna, C. (2011). The chain of being a hierarchy of morality. Perspectives on Psychological Science, 6, 428–446.
  • Haslam, N. (2006). Dehumanization: An integrative review. Personality and Social Psychology Review, 10, 252–264.
  • Haslam, N., Bastian, B., Laham, S., & Loughnan, S. (2011). Humanness, dehumanization, and moral psychology. In M. Mikulincer & P. R. Shaver (Eds.), The social psychology of morality: Exploring the causes of good and evil (pp. 203– 218). Washington, DC: American Psychological Association.
  • Kouchaki, M., Dobson, K. S. H., Waytz, A., & Kteily, N. S. (2018). The Link Between Self-Dehumanization and Immoral Behavior. Psychological Science, 29(8), 1234–1246.
  • Kozak, M. N., Marsh, A. A., & Wegner, D. M. (2006). What do I think you’re doing? Action identification and mind attribution. Self-Dehumanization and Immoral Behavior attribution. Journal of Personality and Social Psychology, 90, 543–555.
  • Volpato, C. (2011). Deumanizzazione, Come si legittima la violenza. Roma: Laterza.
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