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Il trattamento del disturbo da gioco d’azzardo: evidenze recenti su tipologia, modalità e durata

Dagli studi sull'efficacia dei trattamenti per il disturbo da gioco d'azzardo sembra che la TCC abbia gli effetti più positivi con maggior coerenza.

Di Daniela Marchetti

Pubblicato il 09 Nov. 2020

La maggior parte delle persone dedite al gioco d’azzardo lo fa per divertimento, riuscendo a mantenere un controllo su frequenza, intensità e coinvolgimento, senza sperimentare conseguenze negative significative. Alcuni individui, però, sviluppano una forma disadattiva di comportamento associato al gioco d’azzardo con alterazioni funzionali, conseguenze negative a livello relazionale, finanziario e professionale.

Daniela Marchetti – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

A livello mondiale, si stima che tra lo 0,2 e il 2,1% degli adulti soddisfano cinque o più criteri diagnostici del disturbo da gioco d’azzardo (DGA). Un ulteriore 0,5-4,0% soddisfa un numero di criteri diagnostici compresi tra tre e quattro, soglia compatibile con la presenza di gioco d’azzardo problematico (Stucki e Rihs-Middel, 2007). Le notevoli e persistenti conseguenze negative associate ai problemi di gioco d’azzardo e DGA, tra cui la scarsa qualità di vita e gli alti tassi di suicidio, hanno rafforzato, soprattutto nell’ultimo ventennio, la necessità di individuare e garantire un trattamento efficace per tutti coloro che sperimentano livelli crescenti di intensità della sintomatologia (Potenza et al., 2019). A rendere più complicato il lavoro dei clinici e dei ricercatori contribuiscono l’estrema eterogeneità di questa popolazione dovuta a specificità nei percorsi di sviluppo della patologia che spesso si accompagnano a livelli crescenti di gravità del disturbo. Un ulteriore aspetto da considerare è l’estrema comorbilità con altri disturbi che spesso richiede trattamenti concomitanti o successivi. Infatti, il DGA risulta frequentemente associato ad aumento nell’uso di sostanze, depressione e disturbi d’ansia (Grant e Odlaug, 2015).

Nonostante i costi personali significativi conseguenti al DGA, le ricerche evidenziano che solo una piccola percentuale dei soggetti affetti richiede formalmente un trattamento. Ad esempio, Suurvali e colleghi (2008) hanno rilevato che meno del 6% dei giocatori d’azzardo problematici accede ad un percorso di trattamento strutturato. Come fattori che contribuiscono alla scarsa richiesta di cure, sono stati sottolineati: il desiderio di gestire il problema in maniera indipendente, la mancanza di informazione sui servizi terapeutici territoriali e un senso di vergogna per la propria condotta disfunzionale (Suurvali, Cordingley, Hodgins e Cunningham, 2009). Nonostante vi sono evidenze sulla possibile remissione spontanea del DGA in circa il 35% delle persone, più frequentemente il decorso è cronico (Slutske, 2006). Per tali ragioni sempre più ci si interessa dell’importanza di individuare terapie di provata efficacia che possano rispondere ai bisogni di coloro che presentano un marcato comportamento disfunzionale di gioco d’azzardo.

Vengono solitamente proposti differenti approcci di trattamento: in regime di ricovero, intensivo ambulatoriale, terapia cognitivo-comportamentale (TCC) individuale o di gruppo e terapia farmacologica. Tuttavia, non tutti questi approcci hanno ricevute le dovute prove di efficacia. Sebbene attualmente non vi sia accordo su un trattamento standard, quelli più studiati sono stati probabilmente la TCC e la terapia con farmaci antagonisti degli oppioidi (Grant e Odlaug, 2015).

Sono stati pubblicati molteplici studi con disegno trasversale e alcuni studi longitudinali sugli effetti della psicoterapia nel ridurre il comportamento di gioco d’azzardo, le distorsioni cognitive che accompagnano lo sviluppo e il mantenimento del DGA e gli effetti che questa mostra su fattori legati alla sintomatologia clinica. Inoltre, è possibile annoverare un certo numero di rassegne sistematiche e meta-analisi. La TCC sembra in generale mostrare gli effetti più positivi (Petry, Ginley e Rash, 2017; Yakovenko, Quigley, Hemmelgarn, Hodgins e Ronksley, 2015) con maggior coerenza. Nello specifico la TCC e gli interventi brevi di stampo puramente motivazionale hanno mostrato una maggiore efficacia sugli outcome al post-trattamento rispetto alle condizioni di non trattamento che prevedevano l’inserimento in lista d’attesa o la partecipazione alla sola fase di assessment psicologico-clinico (Cowlishaw, Merkouris, Dowling, Anderson, Jackson e Thomas, 2012). Più recentemente Peter e colleghi (2019) hanno condotto uno studio di meta-analisi con l’obiettivo di testare un più ampio spettro di modalità terapeutiche. Tra queste, i personalized feedback interventions, sviluppati come interventi brevi, molto specifici e direttivi hanno mostrato effetti potenzialmente promettenti nel ridurre il gioco d’azzardo problematico.

Oltre alla tipologia di intervento, l’interesse dei ricercatori ha anche riguardato il ruolo che rivestono il numero di sedute di trattamento. Gli autori di una recente rassegna (Petry, Ginley e Rash, 2017) hanno evidenziato che un intervento che prevede dalle 6 alle 8 sedute di TCC e vi integra interventi di tipo motivazionali può essere considerato il più efficace sulla base degli studi condotti finora. Inoltre, i ricercatori sottolineano che interventi molto brevi che possono prevedere anche una sola seduta terapeutica possono in alcuni casi essere sufficienti. In particolare, le persone che presentano una forma subclinica del DGA, i cosiddetti giocatori d’azzardo problematici, possono mostrare alcuni effetti positivi dalla partecipazione a questa tipologia di interventi.

Tuttavia, come recentemente sottolineato da alcuni ricercatori statunitensi, le evidenze sulla durata e il numero di sedute di trattamento sono ancora lontane dal raggiungere una conclusione definitiva (Pfund, Peter, Whelan, Meyers, Ginley e Relyea (2020). In effetti emergono risultati contrastanti a seconda del disegno di ricerca e del contesto in cui gli studi sono stati effettuati. In alcuni di essi non sembrano addirittura emergere differenze statisticamente significative tra terapie svolte in un’unica sessione e terapie multi-sessione, mentre in altri casi gli outcome terapeutici migliorano al crescere del numero di sessioni previste. Come fanno notare Pfund e colleghi, gli alti tassi di drop-out registrati con questa tipologia di persone rendono necessari confronti più mirati che considerino non tanto la durata prestabilita e/o concordata del trattamento, quanto il numero di sessioni a cui il paziente realmente partecipa e la percentuale di completamento del programma terapeutico. Gli autori hanno pertanto confrontato i risultati ottenuti da quattordici studi indipendenti testando un discreto numero di outcome terapeutici, tra i quali: frequenza del gioco d’azzardo, tempo dedicato a questa attività, intensità della problematica o del disturbo. Nuovamente la TCC risulta il trattamento utilizzato maggiormente (37%) e a questo seguono TCC integrata con intervista motivazionale (32%), intervento motivazionale (16%), terapia cognitiva (10%), interventi basati su feedback personalizzati (5%). La maggior parte degli interventi sono svolti individualmente, mentre il 26% in modalità gruppale. Infine, questi trattamenti sono stati confrontanti con diverse condizioni di controllo: lista d’attesa, valutazione diagnostica, indicazione di interventi di auto-aiuto e psicoeducazione. Dai dati di meta-analisi calcolati risulta che, come ipotizzato dai ricercatori, gli esiti migliorano quando il trattamento presuppone un numero maggiore di sedute che vengono proposte ai pazienti e che vengono realmente svolte.

Tale dato generale deve tuttavia essere integrato dalle conoscenze ormai robuste che vedono le persone affette da DGA o con gioco d’azzardo problematico come una popolazione caratterizzata da forte eterogeneità che si manifesta non soltanto nei livelli di gravità e persistenza, ma anche e soprattutto nell’integrazione di caratteristiche bio-psico-sociali che danno luogo a potenziali e diversi percorsi individuali di sviluppo della problematica a cui bisogna inevitabilmente collegare obiettivi e modalità terapeutiche che consentano di programmare e prevedere interventi personalizzati sia nelle modalità sia nella durata.

 

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