Sono state condotte numerose ricerche per investigare il ruolo della metacognizione nel Gioco di azzardo patologico, le quali hanno portato a risultati interessanti. In uno studio di Lindberg e collaboratori (2011) è stata indagata la possibile relazione tra gioco di azzardo patologico, depressione e ansia.
Il gioco di azzardo patologico tra le addiction
Il gioco d’azzardo patologico (GAP o problem gambling) è ormai ampiamente considerato dalla comunità scientifica come un disturbo appartenente alle cosiddette addiction, comportamenti impulsivi volti al soddisfacimento di un bisogno fisico e/o psicologico che conducono, in un consistente numero di casi, a conseguenze negative in diversi ambiti della vita di un individuo.
Il termine addiction deriva dal verbo latino addicere che in italiano si può presumibilmente tradurre con “vincolare”, “obbligare” ed è stato inizialmente utilizzato senza uno specifico riferimento all’uso di sostanze. È solo da un secolo che il termine è stato impiegato per identificare un discontrollo comportamentale conseguente l’abuso di stupefacenti (Potenza, 2006), per poi essere esteso a quelle che oggi vengono chiamate nuove dipendenze (new addiction) che comprendono tutte quelle dipendenze, senza sostanza, le cui conseguenze riguardano costi sul piano emotivo ed interpersonale, oltre che professionale e finanziario.
A causa dell’aumento esponenziale che si registra nella popolazione generale, il Gioco di azzardo patologico è oggi oggetto di numerose ricerche volte ad identificare i fattori di vulnerabilità e di mantenimento alla base del disturbo ed individuare trattamenti specifici che possano essere applicati per la cura di tale dipendenza. Sebbene la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), considerata il principale trattamento evidence-based per il Gioco di azzardo patologico, abbia mostrato efficacia nella riduzione della frequenza dei comportamenti patologici di gambling e indice di astinenza maggiore (Toneatto, 2005), ad oggi una grande mole di ricerca si è focalizzata maggiormente sugli aspetti più prettamente metacognitivi del disturbo, sottolineando quanto le credenze metacognitive (Wells, 2012) siano implicate nel mantenimento del comportamento patologico preso in considerazione.
La metacognizione e il gioco di azzardo patologico
Il modello Self-Regulatory Executive Function (S-REF) proposto da Wells e Matthews (1996) infatti si basa sull’idea cardine secondo cui esistono una serie di credenze metacognitive responsabili dei disturbi psicologici e che esse causino il mantenimento della sofferenza attraverso strategie di coping maladattive che riguardano l’attenzione (es: monitoraggio della minaccia), il comportamento (es: evitamento) e la cognizione (es: rimuginio e ruminazione).
La metacognizione è stata quindi associata a numerosi problemi di natura psicologica tra cui depressione (Papageorgiou and Wells 2003), ansia, procrastinazione patologica, problemi alcol-correlati, dipendenza da nicotina (Spada, 2006a, 2006b, 2007, 2008, 2009). Partendo da queste considerazioni sono state individuate credenze metacognitive (es: incontrollabilità e pericolosità, bisogno di controllo dei pensieri) implicate nella sofferenza psicologica che vanno a mantenere e ad aggravare i disturbi sopracitati, per cui diventa di fondamentale importanza la loro identificazione e comprensione ai fini terapeutici.
A questo proposito sono state condotte numerose ricerche per investigare il ruolo della metacognizione nel Gioco di azzardo patologico, le quali hanno portato a risultati interessanti. In uno studio di Lindberg e collaboratori (2011) è stata indagata la possibile relazione tra gioco di azzardo patologico, depressione e ansia.
A 91 soggetti con Gioco di azzardo patologico è stata somministrata una batteria di test self-report che comprendeva il Metacognitions Questionairre 30 (MCQ-30), l’Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS) e il South Oaks Gambling Scale (SOGS) il cui punteggio medio tra i partecipanti indicava un livello moderato di gioco di azzardo patologico. Le domande di cui si compone il SOGS vertono principalmente su due dimensioni del Gioco di azzardo patologico: conseguenze del gambling (SOGS-1) che riguardano per lo più problemi finanziari, e la natura del comportamento patologico messo in atto dal giocatore (SOGS-2) (Oliveira, 2002).
I risultati hanno rilevato che ansia, depressione e credenze metacognitive negative circa incontrollabilità e pericolosità sono significativamente associate alle conseguenze del gambling (SOGS-1); è stato inoltre osservato che le stesse variabili, in aggiunta alle sottoscale dell’MCQ-30 di fiducia nelle proprie capacità cognitive e bisogno di controllo dei propri pensieri sono predittori del comportamento patologico di gambling (SOGS-2).
Ulteriori analisi hanno riscontrato che le metacredenze rilevate attraverso l’MCQ-30 possono essere ritenute predittori del gioco di azzardo patologico indipendentemente da ansia e depressione, dimostrando di rivestire un ruolo cruciale a prescindere da sintomi ansiosi e depressivi.
Basandosi su questi risultati, Spada e collaboratori (2015) hanno compiuto ulteriori ricerche per comprendere in modo più esaustivo l’influenza della metacognizione sul Gioco di azzardo patologico ed in particolare hanno investigato quali siano gli scopi (goals) del gambling e quali siano i segnali di inizio e di fine del comportamento problematico messo in atto dal giocatore, facendo riferimento al modello teorico S-REF.
In questo studio per “scopo” si intende la finalità che il comportamento di gambling ha sulla regolazione cognitiva, ovvero la regolazione dei propri stati interni (Caselli, 2017), ed è stata indagato attraverso l’utilizzo della Metacognitive Profiling Interview (Wells, 2000), un’intervista semistrutturata che si compone di domande volte a tracciare il profilo metacognitivo dei soggetti.
I partecipanti allo studio (10 uomini con diagnosi di gioco di azzardo patologico) sono stati invitati a pensare ad un episodio recente di gambling e a riflettere sulla possibile presenza di pensieri negativi o stati emotivi indesiderati prima di giocare, valutando su una scala da 0 a 10 la valenza di questi pensieri/stati. Una volta elicitato l’episodio, l’intervistatore ha proceduto con le domande concernenti diverse aree della metacognizione: 1) credenze positive (es: Quale effetto credevi che il gioco avrebbe avuto sui tuoi sentimenti e pensieri?); 2) credenze negative (es: Sei riuscito ad esercitare il controllo sul gioco?); 3) scopi del gambling, segnali di inizio e fine (es: Hai utilizzato il gioco come strategia di gestione del disagio, preoccupazioni o pensieri negativi? Cosa ha segnalato che era giusto iniziare a giocare? Cosa ha segnalato che era giusto smettere di giocare?); 4) impatto del gambling sulla consapevolezza (es: Cosa è successo alla tua consapevolezza dell’ambiente circostante mentre stavi giocando?). Tutti i partecipanti hanno identificato una certa forma di pensiero perseverante come motivo principale per iniziare a giocare, come preoccupazioni economiche o familiari legate al gambling e le credenze positive riscontrate riguardavano principalmente l’efficacia del gioco nell’interrompere tale pensiero ripetitivo, mentre quelle negative l’incontrollabilità del gioco e il suo impatto sugli stati cognitivo-affettivi.
Circa gli scopi del gambling, 6 partecipanti hanno dichiarato di considerare il gioco come mezzo per risanare le difficoltà economiche, mentre 4 di loro come mezzo per migliorare lo stato cognitivo-affettivo. I partecipanti hanno inoltre affermato di non comprendere se e quando lo scopo era o meno raggiunto e che i segnali di inizio di gioco riguardavano l’idea di una possibile soluzione ai problemi o la sensazione che quello fosse il momento giusto per vincere. Tutti i partecipanti hanno riportato che il segnale di interruzione del gioco era rappresentato dall’esaurimento di denaro e che il gambling riduceva il senso di autoconsapevolezza.
I risultati di Spada e collaboratori sono in linea con il modello S-REF, dimostrando non solo che specifiche credenze metacognitive giocano un ruolo cruciale nell’insorgenza e mantenimento di comportamenti di addiction (Spada, 2013), ma che il gambling potrebbe essere considerato dai giocatori d’azzardo patologici come una strategia di coping per risolvere e/o regolare i propri stati interni (cognitivi e affettivi), con la conseguenza paradossale di incrementare la sofferenza psicologica ed i comportamenti disfunzionali associati, in un circolo vizioso che si automantiene.
Alla luce di queste nuove conoscenze circa la metacognizione e il ruolo importante che riveste nell’espressione di varie tipologie di addiction, una riflessione riguarda la possibilità che un primo intervento terapeutico di Terapia Metacognitiva (condurre il paziente verso una più chiara comprensione dei suoi processi mentali e fornirgli strategie adattive per interrompere i processi disfunzionali alla base della sua sofferenza quali rimuginio, ruminazione, soppressione dei pensieri ecc.), potrebbe essere utile nella riduzione dei comportamenti patologici tipici delle dipendenze e che un intervento più prettamente cognitivo-comportamentale che miri ad una ristrutturazione cognitiva (da applicare successivamente o in parallelo) potrebbe essere efficace nel diminuire il rischio di ricaduta.
La riduzione del comportamento patologico nell’addiction, attraverso la modifica e flessibilizzazione delle credenze che gli individui hanno circa i loro pensieri, delle modalità di rapportarsi con essi e di gestire gli eventi mentali che inducono ad agire in modo disfunzionale, potrebbe limitare la sintomatologia ansiosa e depressiva molto spesso riferita da questi pazienti, creando un terreno fertile per una terapia che aspiri ad una completa risoluzione delle problematiche emotive connesse al disturbo.