Di fronte ad un fear appeal avvengono due diversi processi: uno di controllo del pericolo e l’altro di controllo della paura. Il pericolo è una caratteristica dell’oggetto in questione, mentre la paura è uno stato emotivo che dipende dall’intensità percepita del pericolo.
Con comunicazione persuasiva si intende un messaggio destinato a un pubblico di cui si intende cambiare un atteggiamento e i comportamenti ad esso associati. Essa viene impiegata principalmente nella pubblicità e nella promozione di comportamenti salutari.
Nelle campagne sulla salute si fa spesso largo uso dei fear appeals (‘appelli alla paura’), una tipologia di comunicazione che si serve della paura suscitata nel destinatario per promuovere un cambiamento positivo nello stile di vita (Rogers & Deckner, 1975).
Il fear appeal è, dunque, un messaggio relativo ad un rischio, composto da una componente di minaccia che suscita timore e da una raccomandazione sul comportamento. Si tratta di rappresentazioni visive o verbali che mostrano le conseguenze negative di un determinato comportamento a rischio, come le immagini forti presenti sui pacchetti di sigarette o la famosa scritta ‘il fumo uccide’, accompagnate da raccomandazioni come, in questo caso, quella di rivolgersi al numero verde indicato.
In letteratura diversi modelli intendono spiegare i meccanismi alla base dei fear appeals ma i risultati emersi sono contrastanti (Tannenbaum et al., 2015).
Drive Model
Tale approccio parte dalla constatazione che le persone, sperimentando emozioni spiacevoli dovute a comunicazioni minacciose per il Sé, sono portate a ricercare soluzioni che possano ridurre questo stato di tensione (Hovland et al., 1953). La paura, dunque, agisce da ‘drive’ ovvero guida gli individui verso comportamenti che possano ridurre tale stato emotivo.
Sono state ipotizzate diverse relazioni tra efficacia del messaggio e livello di paura suscitato, ad esempio di tipo curvilineare secondo cui all’aumentare della tensione aumenta anche il cambiamento desiderato, raggiungendo un punto ottimale oltre il quale si hanno effetti avversi.
Si tratta, comunque, di un modello semplicistico dal momento che non tiene conto dei possibili mediatori interferenti tra l’esposizione del messaggio e il suo impatto.
Modello delle Risposte Parallele
Leventhal negli anni ‘70 critica il Drive Model e, mettendo in secondo piano stati emotivi e motivazione e dando invece più rilievo agli aspetti cognitivi, propone il Modello delle Risposte Parallele.
Secondo l’autore la paura non causa l’effetto persuasivo ma è semplicemente associata ad esso in maniera parallela. Di fronte ad un fear appeal avvengono due diversi processi: uno di controllo del pericolo e l’altro di controllo della paura. Il pericolo è una caratteristica dell’oggetto in questione, mentre la paura è uno stato emotivo che dipende dall’intensità percepita del pericolo.
Tramite il processo di controllo del pericolo, il destinatario del messaggio analizza le diverse alternative comportamentali e i costi e benefici associati, sfruttando dunque abilità di problem-solving, mentre tramite il processo di controllo della paura si focalizza su informazioni di tipo emotivo e intende controllare le sensazioni tramite meccanismi di diniego, negazione o altro.
Leventhal, dunque, col suo modello separa le risposte emotive da quelle cognitive e prende in considerazione le differenze individuali.
Teoria della Motivazione alla Protezione
Ronald Rogers nel 1975 propone un modello che intende esplorare le reazioni cognitive degli individui ai messaggi sui comportamenti a rischio, portando avanti il filone di ricerca nato con Leventhal sui processi di controllo del pericolo.
L’autore parte dall’indagine delle componenti che generalmente ritroviamo nei messaggi persuasivi: 1) la probabilità che la minaccia avvenga; 2) la gravità del danno; 3) l’efficacia del comportamento raccomandato per contrastare la minaccia; 4) la stimolazione dell’auto-efficacia.
A ciascuna di queste componenti corrisponde un ‘mediatore cognitivo’, ovvero delle percezioni che, a seconda della loro intensità, possono motivare o meno la persona a mettere in atto le raccomandazioni proposte. I mediatori cognitivi sono: la percezione dell’intensità della minaccia e della propria vulnerabilità, la percezione dell’efficacia della raccomandazione e la percezione della propria auto-efficacia.
Il Modello della Motivazione alla Protezione, quindi, sostiene che la motivazione alla protezione è suscitata dai processi cognitivi che mediano il messaggio.
L’autore nel 1983 propone una nuova versione del modello, introducendo due processi di valutazione: la valutazione (disadattiva) della minaccia e la valutazione delle strategie di coping.
Secondo questa revisione, la percezione di vulnerabilità e gravità è influenzata dal premio o beneficio che il soggetto ottiene adottando il comportamento rischioso (ad esempio ‘fumare mi rilassa’); se tale beneficio si palesa allora il soggetto rifiuta le raccomandazioni proposte.
Per quanto riguarda invece le strategie di coping, se la percezione dell’efficacia della risposta e dell’auto-efficacia è maggiore rispetto ai costi di esecuzione del comportamento raccomandato, allora esso verrà messo in atto.
La Teoria della Motivazione alla Protezione ha permesso, quindi, di identificare le componenti dei fear appeals, sottolineando il ruolo dei processi cognitivi nel cambiamento di atteggiamenti, intenzioni e comportamenti.
Modello Esteso dei Processi Paralleli
Uno dei modelli più recenti sui fear appeals è il Modello Esteso dei Processi Paralleli (Witte, 1992). Date le componenti del messaggio persuasivo individuate da Rogers, Witte riconosce anche le valutazioni cognitive che ne seguono sull’efficacia percepita e sulla minaccia e i possibili esiti ad esse associati, ovvero assenza di reazione, controllo del pericolo, controllo della paura.
Data una minaccia per la salute, l’individuo prima ne valuta la rilevanza e poi la gravità: se viene percepita una bassa suscettibilità e una bassa gravità allora semplicemente non reagisce al messaggio, mentre se si sente vulnerabile si impaurisce e si mobilita per cambiare la situazione.
Al tempo stesso, se il soggetto percepisce un’alta auto-efficacia e un’alta efficacia della raccomandazione allora si attiva una risposta di controllo del pericolo (motivazione alla protezione). Nel caso, invece, di una bassa auto-efficacia percepita e di dubbi sul comportamento raccomandato verrà attivato il processo di controllo della paura (motivazione difensiva).
Come si può notare, questo modello non è altro che una integrazione sistematica dei precedenti modelli.
Alternative
Come detto in introduzione, i risultati emersi sull’efficacia dei fear appeals sono piuttosto controversi. Se alcuni studi hanno dimostrato una correlazione positiva tra la paura suscitata e l’efficacia del messaggio (Stainback & Rogers, 1983), altri hanno riscontrato un effetto boomerang, ovvero una reazione nella direzione opposta a quella desiderata all’aumentare della paura (Snyder & Blood, 1992).
Altri studi ancora hanno riscontrato come effetto a medio-lungo termine di questi messaggi una ‘epidemia dell’apprension’”, ovvero una reazione di paura e preoccupazione eccessivamente prolungata (Becker, 1993).
Altri effetti riscontrati sono reazioni di aggressività o rassegnazione da parte del soggetto poiché colpevolizzato per il proprio comportamento (Minkler, 1999) e la riproduzione sociale, ovvero il rinforzo invece che il cambiamento dei comportamenti a rischio (O’Keefe, 1971).
Secondo recenti studi, un modo per promuovere cambiamenti salutari e abbandonare comportamenti a rischio è l’utilizzo dell’autoaffermazione prima dell’esposizione del messaggio persuasivo (Harris & Napper, 2005), dove con autoaffermazione si intende una procedura tramite cui i soggetti vengono invitati a riflettere sui loro valori o attributi.
Un altro metodo presentato in letteratura è l’accompagnamento al fear appeal di un prompt di pianificazione dell’azione (Leventhal et al., 1965).