Una buona regolazione emotiva si associa a migliori esiti a livello di salute, benessere relazionale e lavorativo, la sua compromissione, invece, è stata tradizionalmente associata al rischio di soffrire di patologie mentali, tra cui i disturbi alimentari.
La regolazione emotiva si riferisce all’insieme di processi automatici o volontari che riguardano l’attivazione, il mantenimento, la modifica e più in generale la modulazione conscia o inconscia delle proprie esperienze emotive, al fine di rispondere alle richieste ambientali (Bargh & Williams, 2007; Gross & Thompson, 2007).
Nel tempo sono state proposte diverse concettualizzazioni teoriche della regolazione emotiva: dal modello di Gross (1998) che descrive in modo processuale e dinamico le emozioni, al suo ampliamento in un modello più esteso che considera la regolazione come un processo valutativo suddiviso in tre fasi (Gross, 2015). Dall’identificazione della situazione si passa alla selezione della strategia di regolazione che viene in seguito implementata. Se nel tempo essa si dimostrerà efficace, verrà attivata in modo ricorrente.
Mentre una buona regolazione delle emozioni si associa a migliori esiti a livello di salute, benessere relazionale e lavorativo; la sua compromissione è stata tradizionalmente associata al rischio di soffrire di patologie mentali, tra cui i disturbi alimentari (ad es. Aldao et al., 2010).
Abbuffate o restrizioni sono strategie disadattive di evitamento o soppressione delle emozioni negative, che non vengono identificate ed affrontate in modo funzionale (Evers et al., 2010). L’alessitimia (ovvero l’incapacità di identificare le emozioni correttamente) è un fattore che coinvolge l’intero spettro dei disturbi alimentari (Westwood et al., 2017). Ad esempio, tra i pazienti con anoressia nervosa, l’incapacità di riconoscere e regolare gli affetti negativi si traduce in strategie disadattive come l’esercizio fisico eccessivo o restrizioni alimentari (Engel et al., 2013). Un aspetto inerente la regolazione emotiva, nel quale differiscono i sottotipi di disturbi alimentari, è la sfera del controllo degli impulsi (American Psychiatric Association, 2013). Mentre i pazienti bulimici hanno maggiori difficoltà nel regolare il comportamento, affrontando l’affetto negativo con abbuffate impulsive che aiutano nel breve termine, tra i pazienti con anoressia restrittiva non è presente questo aspetto (Smyth et al., 2007; Wild et al., 2007).
Lo scopo della meta-analisi di Prefit et al. (2019), era indagare l’associazione tra regolazione emotiva e patologia alimentare includendo 96 studi. I disturbi alimentari e le singole diagnosi specifiche sono state analizzate rispetto alle strategie adattive, che favoriscono la modulazione degli stati affettivi (consapevolezza, chiarezza emotiva, accettazione, problem-solving e reappraisal) e quelle disadattive (ruminazione, evitamento emotivo e soppressione delle emozioni).
Gli autori hanno riscontrato che non solo coloro affetti da disturbi alimentari impiegano in misura maggiore strategie di regolazione emotiva disadattive, ma questa caratteristica è presente anche in campioni non clinici con sintomi legati all’alimentazione.
Emerge una maggiore associazione tra patologia alimentare e ruminazione, intesa come processo cognitivo di focalizzazione continua su un’emozione, le sue cause e le conseguenze che comporta. Probabilmente, le preoccupazioni rivolte al controllo del peso e del cibo ingerito tra i pazienti con anoressia nervosa sono riconducibili a ruminazioni caratteristiche del disturbo (Cowdrey & Park, 2012). Mentre ruminazione ed evitamento delle emozioni suscitate alla vista della propria immagine corporea, sono maggiormente presenti nell’anoressia e bulimia, la soppressione (emotiva o cognitiva) è presente trasversalmente anche nel disturbo da alimentazione discontrollata (binge eating; Prefit et al., 2019).
Non avendo gli strumenti per regolare efficacemente gli affetti negativi propri e altrui, coloro con disturbi alimentari mostrano scarsa consapevolezza e chiarezza emotiva (cioè difficoltà nell’identificare e descrivere i sentimenti), e non accettazione delle emozioni negative. Il problem-solving, definito come l’abilità di cambiare o modificare la situazione mediante comportamenti impegnati ad un obiettivo, è scarso similmente alle capacità di rivalutare stimoli stressanti riducendone la rilevanza emotiva (reappraisal).
Per quanto concerne le strategie disadattive, i risultati in letteratura dell’associazione tra abilità di regolazione emotiva e singoli disturbi alimentari sono controversi; mentre alcuni studi identificano specifiche abilità per ciascun disturbo (ad es. Danner et al., 2014; Svaldi et al., 2012) altri, compresa la meta-analisi qui illustrata, non supportano la presenza di differenze, sostenendo che la scarsa capacità di accedere a strategie di regolazione adattive sia trans-diagnostica tra i sottotipi di disturbi alimentari (ad es. Westwood et al., 2017).
Sebbene siano necessari ulteriori studi per comprendere le differenze tra le varie classificazioni delle patologie alimentari, l’implicazione principale dei risultati riguarda la possibilità di agire con interventi clinici mirati a potenziare le strategie di regolazione emotiva adattive tra coloro con una patologia alimentare. Tra questi, gli approcci terapeutici maggiormente rilevanti nell’apprendimento di abilità di autoregolazione emotiva sono i trattamenti basati sull’accettazione che riducono l’evitamento esperenziale e la terapia cognitivo comportamentale (Baer et al., 2005; Fairburn et al., 2003).