I genitori dovrebbero comprendere quali dinamiche del conflitto coniugale possono incidere e ostacolare lo sviluppo del benessere del proprio figlio, ricercando modalità di espressione funzionali che favoriscano la propria libertà di espressione preservando il diritto del figlio di un sereno sviluppo.
Cos’è un conflitto coniugale?
Il conflitto è un’evenienza del tutto normale nel rapporto fra coniugi e può avere una valenza distruttiva o costruttiva. Varia nel tempo, nelle modalità e può interessare aspetti differenti di vita quotidiana come la gestione economica, l’educazione dei figli, le relazioni extra familiari o con le famiglie d’origine, ma anche problemi strettamente legati al funzionamento della coppia coniugale.
Il conflitto permette di esprimere, in maniera più o meno funzionale, opinioni differenti. L’espressione di questo grado di discordanza in presenza dei figli genera risposte negli stessi a più livelli: emotivo, comportamentale, cognitivo e fisiologico. Il genitore non è chiamato per questo a reprimere la sua discordanza nella coppia, ma può comprendere quali dinamiche del conflitto coniugale, possono incidere ed ostacolare lo sviluppo del benessere del proprio figlio, ricercando modalità di espressione funzionali che favoriscano la propria libertà di espressione preservando il diritto del figlio di un sereno sviluppo.
Modalità di conflitto
I dati presenti nella letteratura scientifica ci spiegano che non solo esistono diverse forme di conflitto e che queste hanno un impatto diverso sullo sviluppo del benessere del bambino. Questi differiscono fra loro per una diversa modalità di espressione che viene definita: aggressiva o ostile, a cui segue una fase di “risoluzione” del conflitto.
L’espressione del conflitto aggressivo fa riferimento a ciò che comunemente definiamo aggressione fisica all’altro o verso gli oggetti utilizzati per colpire o minacciare l’altro. L’esposizione all’aggressione fisica risulta collegata allo sviluppo di problemi di adattamento del bambino.
L’espressione del conflitto ostile invece riguarda sia le modalità verbali che quelle non verbali.
Nel primo caso, di ostilità verbale, si è osservato come urla, minacce ed espressioni di rabbia verbali innescano nel bambino elevati stati di angoscia che aumentano particolarmente in presenza di minacce di abbandono. Si osserva inoltre come i bambini effettuino tentativi di mediazione con una frequenza maggiore rispetto ad altre forme di conflitto.
Nel secondo caso, di ostilità non verbale, si fa riferimento a quegli atteggiamenti di ritiro che i coniugi possono assumere nella relazione e benché non si tratti di un conflitto “conclamato” questo è in grado comunque di generare angoscia nel bambino che percepisce sia l’evitamento che il mutismo reciproco dei genitori.
“Fare la pace”
Il termine di un conflitto coniugale viene segnato da una fase di risoluzione intesa non necessariamente come il raggiunto “accordo” tra coniugi, quanto come un insieme di strategie o modalità di comportamento che i coniugi assumono al termine del conflitto. Queste sono in grado di far aumentare o diminuire lo stato d’angoscia precedentemente indotto dal conflitto: maggiore è il grado di risoluzione raggiunto dai coniugi, maggiore sarà la possibilità di ridurre lo stato di angoscia nel figlio.
Una possibilità di risoluzione del conflitto coniugale è rappresentata dal compromesso che è capace di ridurre nel bambino reazioni negative, a differenza dell’ostilità verbale e del mutismo. Soluzioni di sottomissione o evitamento dell’argomento conflittuale invece vengono chiaramente percepite dal bambino come soluzioni parziali, che rivelano comunque un impatto positivo sul suo senso di angoscia, ma non un’assenza o totale riduzione della stessa. Possiamo dunque affermare che maggiore è l’efficacia risolutiva del conflitto, intesa come capacità di giungere ad un reale compromesso, maggiore è la diminuzione della reattività negativa del bambino.
Così come il conflitto anche le modalità di risoluzione possono avere un impatto sul bambino, a tal proposito la ricerca ha osseravto come l’angoscia del bambino diminuisca in maniera rilevante se i coniugi risolvono il conflitto a “porte chiuse”. Ciò acquista veridicità solo se con i loro comportamenti sono in grado poi di mostrare, e quindi testimoniare, un cambiamento positivo reciproco. Risolvere un conflitto coniugale a “porte chiuse” non significa escludere il bambino da ciò che è avvenuto: “i bambini traggono beneficio dal poter ascoltare spiegazioni brevi dell’avvenuta risoluzione…”, o semplicemente dall’osservare o dal sentirsi dire che i genitori si stanno impegnando per cercare un accordo.
Effetti sul bambino
Gli effetti dell’esposizione al conflitto, in particolare a quello aggressivo, inducono nel bambino: un aumento dell’insicurezza nella relazione con i genitori, problemi di internalizzazione ed esternalizzazione e sintomi tipici del disturbo da stress post traumatico (PTSD). Tali effetti possono coinvolgere anche l’ambito extra-familiare, in particolare quello scolastico, provocando un’alterazione nel funzionamento del bambino sia in termini di performance scolastica, sia in ambito socio-relazionale.
La variazione della performance spesso induce ad un calo della prestazione scolastica poiché l’esposizione al conflitto è in grado di minare la capacità del bambino di mantenere l’attenzione su un compito per lungo tempo. Tale “capacità mentale è quella che gli scienziati cognitivi chiamano memoria di lavoro”, che permette allo studente di riuscire a mentenere vivo il ricordo delle informazioni apprese o in fase di apprendimento. Non è un caso che la sede della memoria di lavoro sia la corteccia prefontale, struttura in cui giungono contemporaneamente informazioni ed emozioni.
In ambito socio-relazione l’insicurezza emotiva generata dal conflitto coniugale, struttura nel tempo un modello rappresentazionale insicuro delle relazioni sociali sia col gruppo dei pari che con le figure adulte operanti nella scuola.
Ulteriore effetto è quello relativo all’insorgere di disturbi del sonno. Avendo le relazioni coniugali ed il conflitto un impatto globale sul bambino, questo indurrà un’alterazione dei processi di regolazione, sonno incluso.
Le alterazioni fin qui descritte sono accompagnate dall’azione dei sistemi fisiologici, dunque collegati all’attività elettrica del cervello e al rilascio degli ormoni neuroendocrini. Queste alterazioni, sebbene abbiano una funzione adattiva rispetto alla capacità di fronteggiare il pericolo percepito dal bambino, inducono, nel tempo, una continua reattività fisiologica allo stato di stress ed uno stato di fatica che spesso culmina in problemi di salute sia fisica che mentale.
Esiste un’età maggiormente vulnerabile al conflitto coinugale?
I bambini, sebbene riescano a far fronte al conflitto coniugale, sono anche intensamente sensibili e reattivi alle espressioni di rabbia del mondo dei propri genitori. Basti pensare che già a partire dai sei mesi i bambini sono in grado di manifestare risposte di angoscia alla rabbia espressa dal genitore, attraverso espressioni del volto o gesti che testimoniano la paura provata. Risposte di angoscia che con la crescita possono poi manifestarsi sia con comportamenti aggressivi o con atteggiamenti mediatori delle divergenze genitoriali.
Molti studi hanno ripetutamente dimostrato che i bambini cercano in tutti i modi di far sì che i genitori si sentano emotivamente sollevati, confortandoli o aiutandoli a tirare fuori e risolvere le divergenze.
Un figlio appare dunque sempre vulnerabile al conflitto coniugale, ciò che infatti si osserva è che un bambino esposto al conflitto coniugale durante l’infanzia mostra “costellazioni di vulnerabilità” non minori o maggiori di quanto mostrerà in adolescenza, ma sostanzialmente differenti nell’esito, poiché differente è il grado di strutturazione di personalità e i compiti evolutivi connessi alla sua fase di sviluppo. Sono proprio i compiti evolutivi a risentire dell’effetto del conflitto coniugale, questo diventa nel tempo una “fatica” aggiuntiva al processo di crescita o sviluppo, o nei casi più gravi, un reale impedimento.