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Personalità e COVID-19: stabilità o cambiamento?

Una ricerca ha valutato in due fasi il mutamento dei fattori di personalità in risposta alla pandemia da COVID-19 in un campione statunitense.

Di Sara Magliocca

Pubblicato il 24 Nov. 2020

Le preoccupazioni legate al COVID-19 e lo stress generato dalle restrizioni sociali, impattano fortemente a livello psicologico ma non solo.

 

Evidenze sottolineano come la personalità possa subire dei cambiamenti come riflesso di un adattamento a nuove situazioni (Specht et al., 2011) ed una pandemia sconvolge notevolmente i bisogni di base oltre che le attività quotidiane degli individui.

I cinque fattori della personalità (estroversione, gradevolezza, coscienziosità, nevroticismo e apertura all’esperienza), sebbene siano caratteristiche individuali stabili a fronte di eventi normativi (McCrae & John, 1992), potrebbero mutare in condizioni concomitanti di forte disagio. In particolare, il nevroticismo, caratterizzato da instabilità emotiva, vulnerabilità e insicurezza, è considerato il tratto più reattivo allo stress generato da un evento avverso (Jeronimus et al., 2013; Löckenhoff et al., 2009) e subisce un decremento grazie ad interventi clinici volti a migliorare la salute mentale (Roberts et al., 2017).

La ricerca di Sutin et al. (2020) ha testato in due fasi, a distanza di 6 settimane (Febbraio 2020 e Marzo 2020), un campione statunitense nei fattori di personalità, valutando il loro mutamento in risposta alla pandemia di COVID-19. Gli autori hanno verificato se il nevroticismo nelle sue componenti ansiose, potesse subire un incremento nella seconda fase, più acuta e complicata a livello psicologico. Inoltre, hanno ipotizzato che il fattore coscienziosità potesse aumentare in risposta alla diffusione di messaggi volti ad enfatizzare il senso di responsabilità individuale. Sono stati esplorati ulteriori cambiamenti nei soggetti considerati ad alto rischio: adulti con età superiore ai 65 anni e coloro in isolamento.

Per ciascuno dei 5 fattori di personalità, gli autori hanno valutato tre sfaccettature. Ansia, depressione e instabilità emotiva per il nevroticismo; socievolezza, assertività e livello di energia per estroversione; curiosità intellettuale, sensibilità estetica e immaginazione creativa per apertura all’esperienza; compassione, rispetto e fiducia per gradevolezza ed infine organizzazione, produttività e responsabilità per coscienziosità.

Rispetto alla valutazione nella prima fase della pandemia e contrariamente alle ipotesi iniziali, alla seconda somministrazione i livelli di nevroticismo sono diminuiti insieme alle componenti associate di ansia e depressione; mentre l’instabilità emotiva non ha subito cambiamenti.

Nonostante le ingenti perdite economiche, la necessità di accaparrarsi beni primari e la preoccupazione individuale della presenza del virus abbiano causato ansia e stress, il nevroticismo non ha subito un incremento. Questo risultato è ricondotto al fatto che tale tratto, in queste condizioni contestuali, non viene riferito al sé, ma ricondotto ad una condizione condivisa da tutti nella società, una sorta di destino comune. Dunque la tendenza globale è quella di valutare sé stessi non più emotivamente angosciati di quanto lo siano le altre persone, unita al collocamento all’esterno del motivo del disagio, piuttosto che ad una propria mancanza personologica.

Alla seconda valutazione, non sono mutati nemmeno i livelli di coscienziosità. Invece che un incremento del senso di responsabilità, è aumentato l’aspetto della produttività, indicante la sensazione di sentirsi efficienti nel fronteggiare la crisi.

Il rispetto (inteso come sfaccettatura di coscienziosità e valutato come tendenza ad aderire rigorosamente a principi etici) è diminuito tra i partecipanti adulti più giovani, con età inferiore a 65 anni e lavoratori. Questo risultato è ricondotto ad un item del NEO-PI-3 (McCrae & Costa, 2010), volto a misurare la volontà nel perseguire i propri impegni, ma che ora ha assunto un significato differente con il mutamento del contesto sociale: l’andare a lavoro/scuola mentre si è malati non è considerato segno di coscienziosità, bensì di incoscienza. Restare a casa invece manifesta senso di responsabilità e impegno nel tutelare l’intera comunità.

Mentre nella seconda fase della somministrazione l’estroversione era lievemente aumentata nelle sue componenti di assertività e livello di energia, la socievolezza non ha subito alcun cambiamento.

L’essere in isolamento ha influito sui tratti di personalità; coloro che non erano in quarantena avevano livelli inferiori di nevroticismo e umore meno depresso alla seconda misurazione. L’affettività negativa e la depressione, generati dallo stato di solitudine, possono persistere insieme alla componente ansiosa anche nel lungo periodo (Brooks et al., 2020). L’isolamento ha portato ad un decremento di energia, curiosità, apertura mentale, gradevolezza e coscienziosità; con noia, sfiducia e riduzione delle capacità organizzative, a causa della minore pressione nel dover portare a termine gli impegni in modo tempestivo.

Globalmente i cambiamenti nei tratti sono stati di entità minima, a sostegno di una stabilità intrinseca della personalità nel fronteggiare stress acuti provenienti dall’ambiente (Mc Crae & Costa, 1986). E’ possibile che i tratti di personalità siano resilienti a fattori stressanti per garantire una propria bussola personale, continuità del proprio concetto di sé e della propria identità (Specht et al., 2011). Probabilmente aspetti come le variazioni dell’affettività di stato e la salute mentale, potrebbero risentire maggiormente dell’impatto del COVID-19 (McGinty et al., 2020).

Tuttavia è anche probabile che cambiamenti della personalità generati dalla crisi richiedano più tempo per consolidarsi; dunque la ricerca presente è limitata per non aver potuto verificare mutamenti nel lungo periodo e in altri contesti. Infine, il contesto sociale più ampio svolge un ruolo rilevante: oltre ad influenzare gli stati affettivi ansiosi o depressivi, agisce mutando le concezioni individuali, come nel caso del significato attribuito all’item che misurava la responsabilità (ora divenuto segno di incoscienza) nel perseguire le proprie attività nonostante la malattia.

 

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