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Il concetto di vergogna cronica

La vergogna ha l'importante funzione di stabilire dei limiti e definire distanze e differenze tra gli esseri umani, ma cosa accade quando diventa cronica?

Di Giada Alberti

Pubblicato il 21 Ott. 2020

Aggiornato il 23 Ott. 2020 14:46

La vergogna è quell’emozione connessa alla volontà di occultare e proprio per questo è spesso evitata nel trattamento terapeutico dal paziente, ma anche dal terapeuta che finisce per collidere con la dinamica emotiva di chi ha di fronte.

 

La vergogna, come ogni emozione, non ha un accezione negativa o positiva, ma possiede una sua specifica funzione per l’essere umano. Questo vissuto affettivo ha spesso un significato complesso e polisemico e consente all’individuo di conservare l’integrità del proprio sé e stabilire dei confini con gli altri. Questa emozione dunque aiuta l’individuo nella gestione delle relazioni interpersonali e ha una spiccata funzione in termini intersoggettivi e relazionali; la vergogna ci aiuta a garantire un livello ottimale di vicinanza e distanza. Questo affetto non solo si sperimenta in relazione con l’altro “reale”, ma anche con la rappresentazione interiorizzata che si ha dell’altro e dunque di uno sguardo che scruta critico e svalutante. La vergogna ha l’importante funzione stabilire dei limiti e definire le distanze e le differenze tra gli esseri umani (Pandolfi, 2002). Allo stesso tempo ogni vissuto emotivo cronicizzandosi inizia ad invadere tutte le esperienze di vita indistintamente dai diversi contesti relazionali, dunque perde la sua caratteristica funzionale divenendo fonte di disagio, malessere e, in casi estremi, un sintomo vero e proprio.

La vergogna viene vista in termini di:

  • Emozione (“provo vergogna”)
  • Pensieri/convinzioni (“sono una persona indegna”)
  • Comportamenti (“evito o attacco me stesso o gli altri”)

Le esperienze connesse alla vergogna cronica sono solitamente inaccessibili in quanto connesse a stati dissociativi e proprio per questo chi sperimenta questa emozione non riesce a riconnettersi ad eventi vissuti nel presente o nel passato. Infatti solitamente gli eventi connessi alla vergogna cronica sono di matrice traumatica e possono essere vissuti con un iperattivazione a livello fisiologico ed emotivo, pensieri intrusivi e quindi seguiti da strategie d’evitamento (Deyoung,2015; Hill, 2015).

Le persone con un vissuto traumatico che vivono un costante senso di vergogna possono sperimentarla in diversi ambiti della propria vita come: nel mostrarsi bisognosi di aiuto, nel non sentirsi perfetti, nel sentirsi totalmente incompetenti, nel vivere situazioni incontrollabili. Si evince quindi che la vergogna cronica perde lo scopo sociale adattivo che caratterizza invece la vergogna come emozione di base. Inoltre, vi è una forte relazione tra la vergogna cronica e il trauma infantile precoce e i sintomi dissociativi che consentono alla persona di proteggersi, seppure in modo disfunzionale, da memorie dolorose e intollerabili (Karan et al., 2014). Alcuni studi infatti mettono in luce come la vergogna cronica mantenga i processi dissociativi. A livello terapeuti il nostro obiettivo come clinici non sarà quello di eliminare la vergogna, visto l’importanza in termini adattivi sopra spiegata, ma piuttosto accettarla, attenuarla e iniziare a cogliere la sua funzione di segnale per tutelarsi ed esporsi in modo compassionevole nei confronti di noi stessi e degli altri. Ovviamente va considerata la funzione squisitamente soggettiva che la vergogna incarna nel vissuto del singolo individuo nel corso dell’intervento terapeutico. La vergogna cronica diventa un modo per inibire e bloccare la percezione e l’espressione di altri vissuti emotivi come rabbia e gioia ma anche la curiosità che permette l’essere umano di aprirsi al mondo e alla vita sia interiore che esteriore.

Steele individua degli “antidoti” per la vergogna cronica:

  • Senso di competenza e adeguatezza
  • Accettazione della vulnerabilità e dell’imperfezione
  • Sentire di avere il controllo (locus of control interno)
  • Compassione verso se stessi e gli altri
  • Capacità di mentalizzare
  • Costruzione di un senso di fiducia nei confronti di se stessi e gli altri
  • Saper costruire relazioni di vicinanza sia fisica che emotiva

Nell’articolo successivo (che verrà pubblicato nei prossimi giorni – ndr) tratterò di alcuni interventi possibili con la vergogna cronica e come si può agire nel concreto da un punto di vista clinico rifacendosi agli studi svolti dai coniugi Steele, pionieri degli studi sulla dissociazione e dunque sulla vergogna cronica; ci sarà anche un accenno sul possibile intervento con l’EMDR.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Deyoung, P. A. (2015). Understanding and treating chronic shame: A relational/neurobiological approach. New York: Routledge.
  • Hill, D. (2015). Affect regulation theory: A clinical model. New York: Norton.
  • Karan, E.,Niesten, I. J. M., Frankenburg, F. R., Fitzmaurice, G. M.,& Zanarini, M. C. (2014).The 16‐year course of shame and its risk factors in patients with borderline personality disorder. Personality and mental health, 8 (3), 169-177.
  • Steele, K., van der Hart, O., & Nijenhuis, E. R. S. (2001). Dependency in the treatment of complex posttraumatic stress disorder and dissociative disorders. Journal of Trauma & Dissociation, 2 (4), 79-116.
  • Pandolfi, A. M. (2002). La vergogna. Un affetto psichico che sta scomparendo? Milano: Franco Angeli.
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