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‘Ricordi?’, una modalità per congelare il tempo

Nel film Ricordi? alla paura di vivere si affianca la fobia della perdita: il protagonista non trova il senso di vivere una relazione se poi andrà persa

Di Eleonora Damiani

Pubblicato il 20 Lug. 2020

L’articolo propone una lettura del film Ricordi? di Valerio Mieli, evidenziando l’aspetto simbolico del ricordo e della focalizzazione sul futuro, tipica dell’essere umano che non riesce a stare nel qui ed ora. Tale interpretazione mette dunque il luce l’aspetto in ombra del ricordo, protagonista del lungometraggio.

 

La piattaforma Sky in questo periodo propone nel catalogo l’ultima pellicola del regista Valerio Mieli Ricordi?, di cui di seguito riportiamo una citazione significativa.

Lei: Alla fine le cose sono belle perchè sai che finiscono.
Lui: No, le cose sono meno belle perché ci angosciamo che finiranno.

Leggendo questa storia tramite una prospettiva psicologica, sembra che mostri come il rimanere ancorati al passato o proiettati verso il futuro permetta di non toccare il presente. I protagonisti, quando potrebbero entrare dentro una forte emozione provocata dall’intimità nell’incontro con sé o con l’altro, preferiscono inconsciamente la fuga in un ricordo o in pensieri anticipatori di un futuro ancora non esistente.

Il ricordo, protagonista assoluto, è accompagnato spesso dall’angoscia, menzionata dal ragazzo nella citazione sopra riportata. Il primo mantiene le persone paralizzate in un vissuto non più esistente e la seconda le scaglia verso una realtà che non ha ancora avuto luogo. L’effetto voluto protettivamente dall’inconscio risulta essere quello di rimanere bloccati in un viaggio temporale, la cui funzione è quella di non stare in quello che c’è.

Rimanere nel momento attuale può essere sentito come pericoloso, poiché comporterebbe un incontro reale con se stesso e con l’altro. A questo seguirebbe un’immersione dentro un arcobaleno di emozioni, i cui colori sono più o meno apprezzati.

Il momento presente è al contempo ciò da cui ci si vuole proteggere e ciò di cui non si può godere.

La mente crea una barriera protettiva, nota come meccanismo difensivo, che si innalza ogni qual volta sente che c’è il rischio di entrare nella foresta sconosciuta delle emozioni e si casca nel ricordo. Quanto può mettere paura quello che non si conosce e quanto può essere protettiva e invalidante la strada già conosciuta?

La paura del non conosciuto va a braccetto con il timore di vivere, dove per vivere non si intende la sopravvivenza, ma l’immersione emotiva in ogni esperienza. Nel caso del film, in soccorso alla paura di vivere arriva la fobia della perdita. Il protagonista infatti più volte ripete che non trova il senso di vivere una relazione se poi andrà persa. E così si culla in quella che sembra una continua depressione, autorizzato da un passato e da un futuro non più o non ancora esistenti, terrorizzato dall’effetto collaterale delle relazioni, ovvero dalla vita.

Eppure vi è un momento del film dove il ragazzo s’immerge nel dolore, che fino a quell’istante non era riuscito a toccare ed è allora che si permette di piangere. Entrare dentro un dolore è la chiave che ne permette l’uscita e la possibilità di incontrare altre emozioni. Non tutte sono piacevoli, ma passarci dentro ci permette di vivere appieno ogni esperienza e non di sopravvivere congelati in qualcosa che non c’è più, proprio come un ricordo, o nella paura che potrebbe avvenire una perdita. Quando si è disposti a lasciarsi andare all’imprevidibilità della vita, si può accedere appieno all’incontro con essa e a tutti i colori esistenti tra il bianco e il nero.

Sembra che la proposta riflessiva del film di Valerio Mieli sia questa: scegliere se alzare la barriera protettiva dei ricordi o lasciarci andare ad una doccia emozionale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barbagallo A., Briand L. (Produttori), & Mieli V. (Regista) (2019). Ricordi?. BiM Distribuzioni
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