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“Fiore”, l’umanità di un genitore – Recensione del film

Nel processo di crescita, capita spesso i limiti genitoriali non siano così palesi e ci mettano del tempo per emergere ed essere poi accettati dai figli.

Di Eleonora Damiani

Pubblicato il 28 Lug. 2020

Il presente articolo, attraverso l’analisi del rapporto padre – figlia del film Fiore di Claudio Giovannesi (2016), descrive il processo di caduta del mito genitoriale durante l’adolescenza, presentando comunque la situazione disagiata in cui si trovano i protagonisti della storia.

 

Ora che dormi ti voglio parlare
sono tuo padre ma non lo so fare
perché io sono cresciuto soltanto in altezza
un metro e ottanta è la mia insicurezza.

Queste sono alcune delle parole della celebre canzone di Federico Salvatore Ninna nanna gelosa, che potrebbero essere pronunciate dal padre di Daphne, la protagonista di Fiore, film di Claudio Giovannesi del 2016, reperibile in questo momento nel catalogo di RaiPlay.

La cornice di questa storia tratta di un contesto particolarmente complesso e svantaggiato. Daphne è una ragazza costretta a rubare telefoni, puntando un coltello alla gola del malcapitato, per poterseli rivendere e sostentarsi con il ricavato. Dorme dove capita e sembra non appartenere ad alcun nucleo familiare, finché non viene rinchiusa in riformatorio e dopo un periodo lì si presenta al colloquio con lei il padre, interpretato da Valerio Mastandrea. Quest’uomo ha trascorso 7 anni in carcere ed essendo appena uscito non ha un lavoro e non può sostenere la figlia economicamente. Egli stesso vive nell’abitazione della compagna, anche lei in condizioni non abbienti e con un figlio ancora in età scolare.

Uno dei legami messi in luce dal film è proprio quello tra Daphne e suo padre. La protagonista vive l’adolescenza in modo ancor più critico rispetto alla consuetudine, ma anche lei come molte ragazze della sua età non è immune ai limiti del padre, che in questo caso sono di natura economica. Dopo aver trascorso un breve periodo con lui, è arrabbiata nei confronti dell’uomo che non può tenerla a casa con sé e non può provvedere a lei, poiché impossibilitato dalla propria situazione. Grazie a questo passaggio è possibile notare quanto il legame tra Daphne e suo padre sia molto simile a quello di una qualsiasi adolescente e il proprio genitore.

Sin dall’infanzia alcune figure genitoriali assumono nella mente dei bambini una parvenza di onnipotenza e sembra come se non potessero essere soggetti ad alcun limite, talmente tanto che nemmeno la morte portebbe coglierli.

L’adolescente per uscire dalla fase infantile deve venire faccia a faccia con i limiti del genitore e sbattendo contro uno o più di questi muri, si trova ad affrontare il dolore che dà l’impatto. Nel momento in cui il limite diviene visibile, la rappresentazione mentale del genitore scende dalle nubi dell’Olimpo e diviene sempre più umana. Eppure il processo di umanizzazione del genitore interiorizzato è più facile a dirsi che a farsi, poiché nell’onnipotenza vi è la colpevolezza, mentre nell’umanità convergono più fattori difficili da digerire, tra cui l’impotenza e l’impossibilità della persona che abbiamo di fronte di essere come vorremmo che fosse, così anche la consapevolezza che un giorno questa persona non ci sarà più.

Nel caso di Daphne la difficoltà è quella di accettare l’impossibilità del proprio padre nel non poterla tenere con sé. Le risulta più facile arrabbiarsi e colpevolizzarlo per la condizione che li tiene separati e che la costringe a tornare nel riformatorio. Invece, negli occhi dell’uomo che va a riprenderla in un pub dopo che lei fugge, si legge il dolore di trovarsi egli stesso davanti alla propria impotenza, non potendo trascorrere con sua figlia più di quel breve periodo insieme.

Pur se non sempre nella stessa condizione economica, in questo “giuoco delle parti”, come lo definirebbe Pirandello, si evince ogni volta che le credenze infantili iniziano a crollare in quei figli pronti ad imbarcarsi nel delicato periodo dell’adolescenza. La differenza fondamentale è che, mentre nel padre di Daphne il limite è più facilmente visibile, poiché di carattere pratico, spesso i limiti genitoriali non sono così palesi e ci mettono più tempo per emergere ed essere poi accettati. Eppure, a volte, anche le impossibilità maggiormente visibili, come quella del padre della ragazza, sono difficili da digerire, poiché bisognerebbe uscire dalla convinzione che quel genitore all’apparenza tanto forte è così tanto umano che non può salvarci, e forse gli unici che possono salvarci siamo noi stessi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • L. Pirandello (2007). Il giuoco delle parti. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli.
  • Salvatore F. (1995). Ninna nanna gelosa. (canzone)
  • Giovannesi C. (2016). Fiore. (film)
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