La fatica di essere pigri è un libro fondato sul paradosso secondo il quale per essere pigri sia necessario adoperarsi al massimo e compiere uno sforzo intellettuale e fisico.
Gianfranco Marrone, professore ordinario di Semiotica all’Università di Palermo, autore del libro La fatica di essere pigri, ci regala un testo sulla pigrizia, un atteggiamento duramente criticato dalla società occidentale. L’uscita del libro durante la fase di ripresa dopo il lockdown a causa della pandemia da Covid-19 sembra paradossalmente calzante, poiché, chiusi nelle nostre case, abbiamo sperimentato un periodo di ‘ozio forzato’ che ci ha messo di fronte alla difficoltà del rimanere fermi.
L’arte del dolce far nulla è il nucleo centrale del libro, una libertà che nella società viene attribuita a chi resiste ai doveri sociali e si ribella ai ritmi frenetici della vita moderna, rinunciando così all’operosità e alla produttività richiesta in favore dell’aspirazione al riposo. Ma questa brama, questo diritto di libertà del poter non far nulla coinvolge in realtà uno sforzo superiore a quanto si possa credere. Essere pigri è da pochi, esige un lungo lavoro di apprendimento, poiché il pigro, ovvero colui che sembra non fare nulla, in realtà non fa quello che gli altri si aspettano da lui e si adopera ardentemente per fabbricare le condizioni che gli permettano di difendere questa inerzia.
Ma cos’è la pigrizia? Che sia essa una forma d’ozio?
La pigrizia ha una lunga storia che si è in effetti incrociata a quella dell’ozio. In realtà, spiega Marrone citando Bertrand Russell, ‘l’ozio è essenziale per la civiltà‘ e non è un vizio, così come invece è vista la pigrizia. L’ozio è un atteggiamento di cultura del sapiente, che predilige la cura dello spirito non comportando necessariamente inoperosità. In epoca moderna, al contrario, l’ozio è stato considerato un malcostume e assimilato alla pigrizia.
La storia antropologica e filosofica della pigrizia viene disegnata attraverso le riflessioni di numerosi filosofi e mostrando le differenze di concezione del termine tra la cultura occidentale e asiatica. Nel Buddismo Zen giapponese, per esempio, questa ‘oziosità’ viene interpretata come una forma di devozione verso il mondo, un’attività permeata dell’arte e della bellezza e, citando lo scrittore cinese Lin Yutang, ‘la cultura sarebbe proprio un prodotto dell’ozio‘.
L’autore opera una ricostruzione dell’area semantica del termine pigrizia utilizzando detti e proverbi, arrivando ad approfondire i racconti e le fiabe russe. In queste entrano in gioco personaggi come Oblòmov di Ivan Gončarov, considerato ‘il celebre pigro letterario’, un protagonista inoperoso e inattivo che oziando sembra in realtà celare un comportamento di sovversione contro la società capitalista russa dell’Ottocento.
L’analisi narrativa non si ferma alla fiaba russa, ma approfondisce personaggi della cultura popolare come Snoopy e Paperino. Quest’ultimo, che aspira a riposare tutto il giorno sulla sua amaca, è invece costretto a lavorare costantemente di modo da conquistare il suo amato momento di relax. Ed ecco la morale ritornare. Ecco nuovamente il paradosso. Il riposo è l’oggetto desiderato dal simpatico papero, un’utopia, perché per ottenerlo è costretto a faticare.
Per essere pigri bisogna lavorare moltissimo, scontrarsi con un mondo che cambia e che pretende sempre di più un attivismo ipocritamente euforico. La pigrizia non è un dono, né un tratto caratteriale: è semmai un oggetto da conquistare dopo infinite lotte.
Così il lettore viene infine messo di fronte alla questione:
Cos’è la pigrizia oggi? Come può trovare spazio questo termine nella società odierna? Siamo davvero capaci di non fare nulla, poltrire e piegarci a queste forme di inoperosità estremamente antisociali e impossibili?
Secondo Roland Barthes, la pigrizia consiste nello spezzare il tempo il più spesso possibile, nel diversificarlo, ricercando tale vizio in piccole azioni e diversivi che possano sconvolgere il ritmo dell’esistenza frantumando la routine. Così, oggi, possiamo praticare la pigrizia e riprenderci questa libertà a piccole dosi, anche solo a cominciare dalla semplice azione di prepararci un caffè.