expand_lessAPRI WIDGET

Essere un carattere – Recensione del libro di Christopher Bollas

'Essere un carattere' fa riflettere su come nel corso della vita attribuiamo agli oggetti significati personali che contribuiranno a delineare il carattere

Di Anna Angelillo

Pubblicato il 22 Lug. 2020

Essere un carattere è un testo complesso, a tratti spigoloso da leggere per i forti richiami psicoanalitici soprattutto nella terminologia, ma che certamente offre uno spaccato interessante di diverso orientamento e spunti di riflessione che non possono che arricchire il lettore. 

 

Il filo conduttore è l’esperienza di sé e di come ognuno di noi investa di un proprio significato nel corso della propria vita diversi oggetti in maniera inconsapevole, ma che vanno man mano a comporre il proprio senso di sé, la propria ‘storia psichica’. Questi oggetti tornano anche nella terapia, dove paziente e terapeuta usano tali elementi, portandoli man mano a consapevolezza per creare nuove trame di sé, nuovi significati per allargare la propria esperienza personale.

La prima parte del libro si sofferma sull’esperienza del Sé e illustra come ciascuno di noi, nel corso della vita e nelle diverse esperienze che può sperimentare, attribuisca ad oggetti diversi differenti significati personali che vanno man mano a comporre il proprio mondo interno e i propri modelli interni che delineeranno il proprio ‘carattere’. L’autore riprende e mantiene per tutto il testo il riferimento al lavoro onirico freudiano come modello appunto di tutto il lavoro inconscio di attribuzione di significato verso i più disparati oggetti, così come nel sogno, riprendendo la lettura freudiana, vengono travestite situazioni paradossali di significati nascosti. E tali oggetti e i loro significati contribuiscono alla formazione del ‘carattere’, unico per ognuno e gonfio di complessità: ‘Troviamo sempre oggetti che disperdono il Sé oggettivante in soggettività elaborate […]’ (p. 8) e questi oggetti diventano ‘un vocabolario dell’esperienza del Sé‘ (p. 18); ciascun oggetto scelto diventa rappresentativo e indicativo di differenti ‘tipi psicologicamente distinti di esperienza di sé‘ (p. 21) e parlano di noi e diventano espressione del nostro essere e della nostra storia che si compone man mano dei nostri oggetti interiorizzati.

Ed è proprio di tale complessità che il terapeuta (o analista, per rimanere fedeli all’orientamento dell’autore) si occupa con il paziente in terapia, nel sottile lavoro di portare man mano su un piano di sempre maggiore consapevolezza il mondo interno del paziente. ‘Un’analisi’ dice l’autore, ‘è un processo creativo svolto da due soggettività che lavorano a compiti che si sovrappongono […]’ (p. 70).

Un concetto viene ben delineato, torna nel testo e val la pena di essere sottolineato, ed è quello del ‘Sé semplice’ e del ‘Sé complesso’: la semplicità dell’esperire, dello stare, dell’esserci nell’esperienza così com’è; e la complessità della meta riflessione su quanto esperito, sul pensare l’esperienza, la traduzione dall’esperienza vissuta a quella pensata, il passaggio dall’immediato al sedimentato, dal vissuto all’integrazione che man mano aggiunge strati di complessità attorno al nostro senso di noi, alla nostra soggettività.

La seconda parte è una sezione tematica, dove l’autore riprende alcuni dei principi esposti e illustra diverse ed estreme esperienze di sé. Si parla di esperienze estreme, come l’autolesionismo, dove viene descritto il tagliarsi come atto di sollievo da contenuti persecutori; l’età innocente, che può anche rivelarsi violenta e a volte finisce per essere negata; o ancora le dinamiche relazionali edipiche, dove l’autore ripercorrendo la tragedia di Sofocle ne ripercorre il senso e la complessità. L’autore poi allarga e si sposta su temi di natura sociale quali la mentalità autoritaria, nel suo estremo agito del genocidio nelle sue diverse forme; o il concetto di coscienza generazionale e di cultura collettiva, che si sceglie i propri significati; qualsiasi sia la generazione di appartenenza, in essa ciascuno si riconosce, anche e soprattutto attraverso gli oggetti scelti come sigle della coscienza generazionale di quel dato periodo; questi oggetti ‘inconsciamente interpretano la visione che queste persone hanno della loro esperienza di luogo e di tempo‘ (p. 213) e ogni persona trova un proprio equilibrio rispetto ad un movimento identitario collettivo che crea uno spazio potenziale per allargare l’esperienza di Sé. ‘Ogni nuova generazione‘ dirà l’autore, ‘è un periodo di intensa vita soggettiva, un periodo in cui il Sé semplice si sente parte di un processo collettivo che lo trasporta con sé‘ (p. 211).

Questi ultimi sono tutti capitoli che rappresentano spunti nuovi, chiavi di lettura diverse, lenti psicoanalitiche che aprono riflessioni nuove e prospettive che si allontanano dalla propria, riportando nuove conoscenze.

Essere un carattere ci fa tornare sulla soggettività, su quell’unicità che ciascuno di noi ha, crea e difende. Quella preziosità che la terapia ravviva e aiuta a far scoprire al paziente, se ancora opaco a se stesso.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bollas, C. (2020) Essere un carattere. Raffaello Cortina Editore.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Essere un carattere 2020 di Christopher Bollas Recensione del libro Featured
Essere un carattere (2020) di Christopher Bollas – Recensione del libro

Lo psiconalista Cristopher Bollas, nel suo libro Essere un carattere, cerca di rispondere ad una cruciale domanda: qual è l’impatto degli oggetti sul Sè?

ARTICOLI CORRELATI
L’umorismo è una cosa seria. Intervista a Luca Nicoli, sull’uso dell’umorismo e del gioco nella pratica psicoanalitica

Intervista al Dott. Luca Nicoli sull’utilizzo dell’umorismo e del gioco con i pazienti nella pratica psicoanalitica

Hans e gli altri (2023) di Marco Innamorati – Recensione del libro

"Hans e gli altri" utilizza i casi di dieci insigni terapeuti riguardanti dei bambini per illustrare lo sviluppo della psicoanalisi

WordPress Ads
cancel