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Terapia elettroconvulsivante e schizofrenia: a che punto siamo?

La terapia elettroconvulsivante (ECT) è un trattamento pericoloso? Quali effetti benefici può portare ai pazienti affetti da schizofrenia?

Di Tommaso Arosio

Pubblicato il 30 Giu. 2020

Per quanto riguarda il trattamento della schizofrenia, nei paesi più sviluppati l’utilizzo dell’ECT è in costante declino e rappresenta il trattamento di ultima scelta, quando altri tipi di terapia si siano dimostrati inefficaci

 

La terapia elettroconvulsivante (ECT) – ideata negli anni Trenta e basata sull’induzione di convulsioni nel paziente mediante passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello – dagli anni Settanta è stata vista con un pessimismo crescente (Teodorkzuk et al., 2019). Per quanto riguarda il trattamento della schizofrenia, nei paesi più sviluppati l’utilizzo dell’ECT è in costante declino e rappresenta il trattamento di ultima scelta, quando altri tipi di terapia si sono dimostrati inefficaci (Chanpattana & Andrade, 2006). Nei paesi meno sviluppati l’ECT è utilizzata più frequentemente: l’utilizzo dell’ECT nei pazienti affetti da schizofrenia varia dal 3.1% in Canada al 15.2% in Cina (Sanghani et al., 2018).

A prescindere dalla frequenza di utilizzo, vi è una crescente evidenza scientifica a supporto dell’efficacia dell’ECT nel trattamento della schizofrenia, soprattutto come terapia supportiva alla farmacoterapia antipsicotica: Lally e colleghi (2016) hanno accertato il ruolo dell’ECT come agente potenziante della clozapina in pazienti resistenti al trattamento, cosa confermata anche da Grover et al. (2015). Pompili et al. (2013) hanno confermato l’efficacia dell’ECT combinata con la farmacoterapia nei pazienti affetti da schizofrenia – specialmente se caratterizzati da catatonia, aggressività e tendenze suicidarie, condizioni per le quali sono necessari rapidi miglioramenti globali e riduzione della sintomatologia acuta.

Anche i pazienti curati con farmacoterapia antipsicotica alternativa alla clozapina hanno mostrato un miglioramento quando sottoposti all’ECT, nonostante siano stati segnalati dai pazienti stessi effetti collaterali legati a difficoltà della memoria e mal di testa (Zheng et al., 2016).

Una domanda che si chiedono in molti è: l’ECT è un trattamento pericoloso? Per la verità, sono sempre più gli studi che considerano l’ECT come una terapia sicura: non sono state riscontrate difficoltà cognitive nei pazienti affetti da schizofrenia dopo il trattamento con l’ECT (Pawelczyk et al., 2015) – anzi, ci sono stati miglioramenti nelle funzioni esecutive e nella memoria verbale (Vuksan Cusa et al., 2018). Inoltre, altri studi hanno constatato come l’ECT aumenti la qualità della vita dei pazienti affetti da schizofrenia (Chanpattana, 2007; Garg et al., 2011).

Per chi dunque potrebbe risultare utile il trattamento con l’ECT? Sembrerebbe che i pazienti affetti da schizofrenia con sintomi affettivi non abbiano particolari benefici dall’utilizzo dell’ECT (Chanpattana & Sackheim, 2010). L’ECT avrebbe risultati migliori in pazienti schizofrenici con più sintomi positivi che negativi (Pawelczyk et al., 2015). Purtroppo la ricerca sugli effetti di una terapia ECT mantenuta nel tempo in questa tipologia di pazienti – seppur con dati incoraggianti – è limitata a un solo studio single case (Moeller et al., 2018).

Siccome in ogni caso l’ECT è utilizzata nei casi di pazienti più resistenti in generale, gli indici di ricaduta sono alti (McCall, 2001). Questo è confermato da Lally e colleghi (2016), che ha identificato la possibilità di ricaduta in un paziente su tre dopo lo stop dell’ECT. In questo senso bisognerà che la ricerca futura si occupi urgentemente di indagare quanto il trattamento con l’ECT debba durare (Teodorkzuk et al., 2019).

Altro punto a favore dell’utilizzo dell’ECT nei casi di pazienti resistenti alla terapia farmacologica sono gli effetti della psicosi se non curata in alcun modo: questa avrebbe infatti degli effetti deleteri sul funzionamento del cervello, attraverso la disregolazione presinaptica del rilascio di dopamina e l’iperstimolazione prolungata nello strato limbico che portano a cambiamenti neurologici strutturali (Sheitman & Lieberman, 1998). In una certa misura, questo può spiegare la logica di chi è a favore di un intervento precoce sulla psicosi e perché i pazienti psicotici trattati in grave ritardo hanno meno probabilità di ottenere la remissione dei sintomi.

In effetti, se ci si basasse esclusivamente sull’efficacia scientifica, l’ECT non dovrebbe essere considerato un trattamento di ultima istanza (Teodorkzuk et al., 2019). Piuttosto dovrebbe essere visto come un’alternativa per i pazienti resistenti ai farmaci o impossibilitati nell’assunzione di questi a causa degli effetti collaterali.

Parallelamente alla ricerca sulle prove cliniche di efficacia si dovrebbe forse anche indagare quanto l’aspetto socio/culturale abbia contribuito a stigmatizzare l’ECT come un trattamento oscuro da utilizzare solo in casi estremi.

 

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