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Il “negazionismo psicologico” nella gestione della pandemia da Covid-19

Nell'emergenza da Covid-19, la gestione della fase 2 da parte del Governo italiano sembra sottostimare grandemente l’impatto delle dinamiche psicologiche

Di Massimo Agnoletti

Pubblicato il 19 Giu. 2020

Investire risorse nel settore sanitario e biomedico includendovi anche quello psicologico non solo risulta essere la migliore soluzione per limitare la vulnerabilità dell’attuale pandemia, ma anche come misura preventiva per altri possibili scenari emergenziali (e non) che la nostra società fortemente interdipendente potrebbe affrontare nel prossimo futuro.

 

In questo periodo in Italia siamo stati testimoni della formale transizione delle misure di contenimento adottate per gestire la pandemia dalla “fase 1” di emergenza sanitaria alla “fase 2” di semi-emergenza psicosociale ed economica destinata a perdurare almeno nel breve e medio termine.

Come sappiamo la pandemia è un complesso fenomeno biopsicosociale che cambia nel tempo caratterizzato dalla finalità (tecnicamente denominata teleonomia) strettamente biologica del virus che necessita di un ospite umano interagendo direttamente o meno con le finalità biologiche, psicologiche e socioculturali peculiari della nostra specie (Agnoletti, 2020).

La “fase 1” della pandemia ha dovuto considerare, oltre all’aspetto strettamente biologico e fisiologico dell’interazione del virus (vedi i reparti di cura intensiva come esempio paradigmatico), anche l’amministrazione coercitiva dei comportamenti sociali che ne impediscono la diffusione attraverso politiche finalizzate alla realizzazione di una parziale quarantena (o distanziamento sociale). La quarantena è infatti uno strumento funzionale al contenimento della pandemia ma, come è ormai noto, produce una serie di problematiche psicofisiche rilevanti e diffuse (Brooks et al, 2020).

Già nella “fase 1” l’aspetto delle politiche sociali avrebbe potuto beneficiare grandemente dall’applicazione delle conoscenze scientifiche della psicologia sociale, in particolare della Prospettiva Temporale e della Persuasione (Agnoletti & Zimbardo, 2020a; Agnoletti & Zimbardo, 2020b), oltre naturalmente allo specifico supporto psicologico dedicato alle categorie sociali più colpite dallo stato emergenziale.

Nella “fase 2” delle misure di contenimento (intrinsecamente caratterizzate dalle priorità delle dimensioni psicosociali ed economiche della gestione della pandemia) dove vi è un massiccio e diffuso trasferimento di responsabilità dalle regole di quarantena imposte dalle autorità alle scelte individuali e sociali prese quotidianamente dai cittadini all’interno della loro maggiore grado di libertà ed autonomia acquisita, il contributo della psicologia (in particolare della psicologia clinica e sociale) dovrebbe essere considerato ancor più importante rispetto la “fase 1” se non ritenuto addirittura indispensabile per un’efficace gestione della pandemia.

È triste invece constatare che le recenti politiche italiane adottate dal governo per fronteggiare e gestire la “fase 2” non abbiano sostanzialmente previsto alcuna risorsa al comparto psicologico negando la solida letteratura scientifica e le prevedibili conseguenze economiche negative derivanti dal mancato investimento in questo settore.

Purtroppo infatti non è difficile prevedere che se non si correggerà velocemente questo deficit culturale, che ho soprannominato “negazionismo psicologico”, i danni psicologici, sociali ed economici saranno rilevanti, ampliando il divario socio-economico del nostro paese peggiorando ulteriormente la già incerta situazione italiana.

Riscontrare che il cosiddetto Decreto Rilancio non investe nessuna risorsa dei 3,25 miliardi previsti per il Servizio Sanitario agli psicologi purtroppo conferma quanto arretrato culturalmente sia il nostro paese in questo settore e quanto questa arretratezza sia potenzialmente rischiosa per i cittadini italiani.

Poter investire risorse nel settore sanitario e biomedico includendovi anche quello psicologico non solo risulta essere la migliore soluzione per limitare la vulnerabilità dell’attuale pandemia, ma anche come misura preventiva per altri possibili scenari emergenziali (e non) che la nostra società fortemente interdipendente potrebbe affrontare nel prossimo futuro.

Se da una parte l’Italia ha effettuato nella “fase 1” della pandemia delle scelte politiche lungimiranti e condivisibili che hanno dato la priorità alla futura salute pubblica sacrificando giustamente aspetti economici nel breve termine, la gestione iniziale della “fase 2” sembra essere di segno opposto per il fatto che irrazionalmente sottostima grandemente l’impatto futuro delle dinamiche psicologiche e sociali.

Le cause di questo “negazionismo psicologico” realizzato dal governo italiano non possono essere unicamente attribuibili alla scarsa “visibilità” delle scienze psicologiche proposta in passato dalle istituzioni psicologiche italiane stesse per il semplice fatto che in un mondo culturalmente globalizzato come quello attuale, l’importanza di includere le conoscenze ed i servizi psicologici all’interno delle politiche istituzionali non è più né pensabile né concepibile.

È auspicabile quindi correggere velocemente questo errore della politica italiana dando maggiore importanza al settore del benessere psicologico così fondamentale quanto strategico sia per la salute che per l’economia del nostro paese.

 

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