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COVID-19: al di là della paura

Il COVID-19, nelle sue drammatiche ripercussioni, può essere l’occasione per spingerci ad essere ricercatori di un modo nuovo di stare nel mondo

Di Giada Alberti

Pubblicato il 04 Giu. 2020

In questi giorni segnati dall’emergenza Covid-19 si può scorgere l’invito alla scoperta di un senso nuovo di comunità, di apertura all’altro integrando il valore dell’autorealizzazione, che ha dominato finora la società post-moderna fondata sull’utilitarismo, con quella che Frankl definisce autotrascendenza: realizzarsi nella relazione e per il bene comune.

 

Una grande paura
soverchiante
uccide il virus
della libertà
l’emergenza
martellante
di cui ci cibano
non deve renderci schiavi
-ciò che non si può vedere

Già in altri articoli su questo giornale si era parlato della paura; mai come oggi, in questa situazione di emergenza, questa emozione domina i vissuti emotivi di tutti noi.

La paura, come tutte le emozioni ha una natura adattiva, rende vigile l’individuo e lo aiuta nella preparazione di strategie per mettere in salvo la propria vita, intesa sia a livello corporeo che psichica. Il nostro corpo in una situazione di pericolo produce un ormone specifico, l’adrenalina, che induce cambiamenti a livello fisiologico, preparandoci a reazioni di fuga o di immobilità (freezing). Modelli neurobiologici, tra cui quello di Siegel e Ledoux, mettono in evidenza come dinnanzi a uno stimolo spaventoso il sistema limbico si attivi e, con lui, i processi inferiori di elaborazione che generano reazioni impulsive, rigide e ripetute; la corteccia prefrontale, connessa a una modalità superiore di elaborazione, resta invece inibita. Per modalità superiori di elaborazione di intende processi razionali come la capacità di riflessione e autoconsapevolezza. Nella concezione di Maclean, che vede il cervello come tripartito, “cervello trino”, esso sarebbe diviso in tre parti:

  • la corteccia prefrontale, connessa al linguaggio verbale e analitico;
  • il sistema limbico, strettamente connesso alla sfera emotiva;
  • tronco encefalico, la parte più ancestrale della mente, sede degli impulsi e delle sensazioni, detto cervello rettiliano.

La regione limbica, situata nella parte centrale del cervello, comprende:

  • l’amigdala, una struttura a forma di mandorla, dalla cui forma deriva il suo nome, coinvolta nei processi di valutazione di significati, nell’elaborazione dei segnali e nell’attivazione delle emozioni. L’amigdala svolge un ruolo fondamentale nel controllo di specifiche reazioni emotive, nello specifico la rabbia e la paura;
  • l’ippocampo, una struttura a forma di cavalluccio marino, che svolge un ruolo molto importante per quanto riguarda la memoria e il richiamo di eventi autobiografici.

Queste due strutture cerebrali coordinano gli imput provenienti dalle regioni corticali superiori con informazioni provenienti dal tronco cerebrale e il resto del corpo.

L’area limbica si è sviluppata nel corso dell’evoluzione dei mammiferi ed ha reso possibili operazioni più complesse rispetto a quelle connesse al tronco encefalico che si trova alla base del cranio che ha la funzione di mediare l’attivazione fisiologica e la vigilanza oltre allo stato fisiologico corporeo; inoltre quest’area ancestrale comprende neuroni che attivano reazioni di attacco-fuga-congelamento volti alla sopravvivenza.

L’area limbica contribuisce alla costruzione di stati emotivi, come la rabbia, la paura, la tristezza, riunendo gli imput sensoriali provenienti dal tronco encefalico. Inoltre il sistema limbico valuta il significato degli stimoli ed essa influenza l’orientamento dell’attenzione. L’area limbica dunque può essere definita una sorta di ponte tra il tronco cerebrale, più primitivo, e la corteccia cerebrale, legata a processi razionali. Ogni area cerebrale ha la sua funzione e solo attraverso il dialogo di queste tre specifiche aree si può raggiungere un’integrazione a livello cerebrale e dunque valutare, scegliere ed agire in modo adattivo in base al contesto nel quale ci si trova. La corteccia cerebrale, o neocorteccia, è la parte più esterna degli emisferi cerebrali e svolge funzioni di elevata complessità come: mediare funzioni di elaborazione delle informazioni, coordinare diversi processi come l’attenzione e il collegamento fra pensiero ed emozione.

Nella situazione di crisi che questa emergenza globale ci impone di affrontare è bene soffermarsi brevemente anche sul concetto di stress, strettamente connesso alla paura. Per stress si intende il vissuto di condizioni sia interne che esterne che portano gli esseri umani ad allontanarsi da uno stato di equilibrio. Alcuni tipi di stress sono definiti positivi, eu-stress, e favoriscono un funzionamento ottimale. Altri tipi di stress, soprattutto se protratti nel tempo, risultano essere nocivi anche a livello biologico causando degli squilibri nella secrezione del cortisolo, chiamato ormone dello stress, che serve per modificare il metabolismo in maniera adattiva. Una situazione di stress e di paura a lungo termine può rendere maggiormente difficili i processi di elaborazione delle informazioni di tipo top-down, un’elaborazine integrale cognitiva, emotiva e sensomotoria che ha origine nella corteccia cerebrale, lasciando spazio a un tipo di elaborazione bottom-up, legata a parti più antiche del cervello, dove i lobi frontali sono inibiti, così come l’ippocampo, e si vive in una situazione di allarme costante. Il pericolo coronavirus può facilitare l’inibizione di processi superiori, come la consapevolezza, la gestione dei vissuti emotivi e la capacità di riflessione, lasciando spazio a processi e reazioni irrazionali, dove l’esame di realtà può essere profondamente alterato. Bisogna porre attenzione alle reazioni irrazionali di attacco-fuga e congelamento che sperimentiamo in questo stato di allarme e notare quanto esse siano adattive. Queste reazioni sono attivate dal tronco cerebrale in presenza di una minaccia e servono per la sopravvivenza, ma come detto in precedenza, occorre mediare, attraverso l’utilizzo di aree cerebrali superiori, e riflettere sugli stati emotivi per una loro gestione più efficace. In questo specifico stato di emergenza sembra che abbia inizialmente dominato la reazione di difensiva dell’attacco, basti pensare agli assalti, a volte anche brutali, dei supermercati e l’iniziale colpa della diffusione del virus allo “straniero”. Questo tipo di difesa primitiva, fortunatamente, si è mostrata, in poco tempo, non funzionale e immotivata, e si è passati a un tipo di difesa maggiormente adattiva: la fuga. Come si fugge da un pericolo invisibile, chiusi nelle proprie case? Continuando ad agire e mostrandosi intoccabili alla paura e al dolore. Il secondo periodo è stato caratterizzato da un iper adattamento alla quarantena, con un’esplosione sui social di tutorial e tecniche per organizzare al meglio il proprio tempo, per fuggire dalla paura e stati emotivi negativi. Ha dominato in questo secondo tempo l’homo felix e l’homo faber, che tanto fa gola a quello che Lacan definirebbe il “discorso del capitalista” e all’economia globale. Anche nell’emergenza, forse a maggior ragione, ci siamo concessi poco tempo e poco spazio per coltivare l’interioritá, riflettere e interrogarci. La fuga dalla paura ci ha fatto scappare da noi stessi attraverso qualsiasi tipo di attività e ci ha permesso di restare, seppure a distanza, seppure nelle nostre case, dei “turboconsumatori” di fake news, di cibo, di tempo. Questa ultima fase della quarantena, forse la più critica, e le successive saranno probabilmente maggiormente caratterizzate da quello che viene definito “freezing”, immobilizzazione, meccanismo difensivo contro tendenza nell’epoca contemporanea, in cui anche una crisi mondiale, sia economica che sociale, paragonabile a quella generata da una vera e propria guerra, è estremamente “fast”, per dirlo con un termine maggiormente evocativo, sia nella genesi che nella sua evoluzione.

Le reazioni difensive di immobilizzazione sono tra le più antiche e sono associate alla totale passività, lo svenimento o la morte apparente. Ovviamente questo meccanismo di difesa, così come gli altri sopra descritti, risulta essere funzionale dinnanzi al pericolo ma inizia a diventare un ostacolo qualora estremamente rigido, non flessibile e pervasivo. La fase che ci aspetta, di un parziale riapertura, ci invita ad aprirci a noi stessi, a cercare di renderci consapevoli dell’emergenza che stiamo vivendo sia come singoli che come tessuto sociale. Anche in questo caso, come in tutte le situazioni drammatiche e che lacerano il senso di continuità dell’esistenza, vi è l’occasione di cogliere una domanda di senso. Abbiamo parlato fino ad ora della dimensione biologica, tipicamente animale, e quella psicologica e sociale nella crisi, ma c’è nella persona un livello spirituale, o noetico, che ha a che fare con la capacità, propria solo all’essere umano, di autotrascendenza, di andare oltre la paura dopo esservi entrati in contatto e di dar un senso soggettivo, personale ma anche collettivo. Nonostante i condizionamenti biologici ai quali ci siamo riferiti inizialmente, l’uomo resta ultimamente libero e responsabile delle sue azioni in qualsiasi situazione. Seppure sottoposto a numerose influenze, l’individuo può scegliere, anche nella situazione più critica, in quanto quest’ultima non lo determina. Durante questa quarantena forzata, sposando la prospettiva frankliana, gli individui hanno messo in campo valori creativi che permettono la realizzazione dell’essere umano attraverso lo svolgimento di attività concrete, facendo riferimento a ciò che l’essere umano produce: qualsiasi tipo di ricetta, video tutorial, giochi alternativi per i bambini, ecc… Vi è anche un altro modo di realizzarsi attraverso quelli che vengono definiti valori esperienziali. L’individuo, in questo caso, si realizza nel ricevere ciò che il mondo gli offre come la relazione con gli altri o un momento di relax, momenti che nella frenesia della quotidianità tendevano ad essere trascurati o limitati. L’ultimo tipo di valori descritto da Frankl fa riferimento proprio alle situazioni limite, come quella che stiamo vivendo, e sono i valori di atteggiamento. L’uomo, facendo riferimento a questa categoria valoriale, resta libero di scegliere il proprio atteggiamento dinnanzi alla realtà, critica o devastante che sia; per fare ciò l’essere umano utilizza: l’autodistanziamento, quindi prendere le distanze da uno specifico evento, oggettivandolo, imparando a gestirlo al meglio e cogliere un significato più profondo, e l’umorismo, che consiste nel cercare il meglio anche in situazioni ineluttabili.

Per Frankl ogni essere umano è caratterizzato dalla “forza di resistenza dello spirito”, la forza di far fronte ad eventi estremamente stressanti e di cogliere in essi un’opportunità di crescita.

Dinnanzi alla “tragica triade” dell’esistenza umana (morte, sofferenza e colpa), l’essere umano ha l’opportunità di scoprire un nuovo senso e nuovi orizzonti di crescita.

In questi giorni si può scorgere l’invito alla scoperta di un senso nuovo di comunità, di apertura all’altro, integrando il valore dell’autorealizzazione, che ha dominato finora la società post-moderna fondata sull’utilitarismo, con quella che Frankl definisce autotrascendenza: realizzarsi nella relazione e per il bene comune.

Il COVID-19, nelle sue drammatiche ripercussioni, può essere l’occasione per spingerci ad essere ricercatori di un mondo nuovo interiore ed esteriore e allo stesso tempo un modo nuovo di stare nel mondo. Lo stesso modo di vivere la quarantena mostra una sorta di evoluzione, dall’essere affamati dell’approvantion-seeking, mostrando agli altri e a noi stessi le nostre moltissime passioni, hobby, ricette impeccabili per fare qualsiasi cosa, alla sensation seeking, quindi la ricerca di emozioni forti e la ricerca del piacere che purtroppo è stata frustrata, se non fosse per l’uso massiccio dei social, il consumo (forse lo spreco) di una grande quantità di cibo e l’adrenalina suscitata dallo shopping online sfrenato. Questo momento storico, che ci mette in contatto con l’inautenticitá di molte cose delle quali ci siamo circondati, ci invita a guardare invece al sense-seeking, a diventare ricercatori di senso; l’impatto traumatico del dolore e dell’emergenza nella nostra vita ha messo in crisi, mettendo in luce la sua inconsistenza, il comandamento dei nostri giorni “Godi, divertiti a tutti i costi”, dove non vi era posto per la sofferenza e la sua dimensione introspettiva. Il dolore che proviamo oggi come singoli, come comunità, come popolo, questa volta davvero nel profondo globalizzato, è un’occasione di riscoperta. Il successo e il fallimento sui quali, come su una fune tesa, si muoveva vacillante ma con atteggiamento fintamente spavaldo l’homo sapiens, descritto da Frankl, non vengono più ritenuti fondamentali, di primaria importanza. Ci cogliamo come esseri che stanno soffrendo, come quello che lo stesso autore descrive come homo patients, che si muove su un asse verticale, richiamando l’idea di trascendenza, tra disperazione e realizzazione. Queste dimensioni non sono legate ad oggetti o ad obiettivi materiali, a differenza del successo e del fallimento, ma piuttosto all’atteggiamento che si sceglie di avere. Dunque cogliere il dolore e la sofferenza che stiamo sperimentando per renderli un’opportunitá nuova. Alla fine della quarantena e di questa pandemia la domanda che ci porremo non sarà solo “Cosa ho imparato a fare di nuovo?”, ma anche “Cosa ho imparato di nuovo su di me, sugli altri, sul mondo che mi circonda? Come può arricchire questa nuova consapevolezza la mia vita?”.

Pensando a come la terapia della Gestalt approccia ai sogni mi sembra significativo calare alcune tecniche e sfumature nella situazione attuale. Si invita l’individuo a raccontare al presente il sogno, nel nostro caso un incubo, si cerca di stimolare il contatto con le emozioni che si sperimentano nel qui ed ora fino ad arrivare a una sorta di chiusura del lavoro sul sogno, dove solitamente si chiede: “quale messaggio esistenziale credi ti stia comunicando questo incubo? Cosa voleva dirti e cosa ti porti da questa esperienza?”. Queste sono le domande che ci si presentano in questo momento, come esseri umani e come collettività, questa la nostra sfida oggi: capire il senso e il significato profondo di questa emergenza oltre la paura e a quali nuovi orizzonti di senso potrebbe aprirci.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Fizzotti, E. (2008). Introduzione alla psicologia della religione. Milano: Franco Angeli.
  • Frankl, V. E. (1953). Logoterapia e analisi esistenziale. Brescia: Morcelliana.
  • Frankl, V. E. (1974). Alla ricerca di un significato nella vita. Milano: Murgia.
  • Frankl, V. E. (1998). Homo patients. Soffrire con dignità. Brescia: Queriniana.
  • Ledoux, J. (2003). Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni. Milano: Dalai.
  • Maclean, P. D. (1984). Evoluzione del cervello e comportamento umano. Studi sul cervello trino. Torino: Einaudi.
  • Panksepp, J. & Biven, L. (2014). Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Perls, F. (1980). La terapia gestaltica parola per parola. Roma: Astrolabio.
  • Recalcati, M., (2010). L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Siegel, D. J. (2014). Mappe per la mente. Guida alla neurobiologia interpersonale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
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