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“Non ho bisogno di aiuto”: la difficoltà culturale del sesso maschile nel chiedere aiuto al lavoro

All'interno dell'ambiente di lavoro spesso gli uomini sono restii a chiedere aiuto. Quali sono le motivazioni sottostanti a questa resistenza?

Di Giovanni Carlo Bruni

Pubblicato il 26 Mag. 2020

Sebbene le differenze di genere legate al sistema culturale occidentale stiano lentamente lasciando spazio ad un progressivo processo di uguaglianza sociale, certi sistemi psicosociali tendono a resistere indefessamente. Uno di questi sistemi è quello riguardante la resistenza di persone di sesso maschile ad ammettere un bisogno d’aiuto, soprattutto quando sono nell’ambiente lavorativo; ne segue un’analisi psicologica e culturale.

 

Come scrive Alina Tugend nel suo articolo del New York Times (2007), una delle azioni più difficili da fare sul luogo di lavoro e nella vita privata è quella di chiedere aiuto.

Nel proseguire del suo pezzo, la giornalista descrive come spesso le persone non chiedano aiuto immediato agli altri e come questa tendenza le porti ad uno stato di stasi frustante o ad un peggioramento della propria situazione. I motivi principali di questa resistenza sono dovuti principalmente al dare l’idea di essere in una situazione di debolezza, di non essere capaci a prescindere di svolgere il proprio ruolo e, infine, di poter essere un peso per gli altri, squalificandosi così di conseguenza.

Questa visione è soprattutto riscontrabile nelle persone di sesso maschile, soprattutto quelle appartenenti alle culture occidentali sottoposte al patriarcato: di fatto, in queste culture vige la visione della forza di volontà come forza principale del successo, della propria resilienza come fattore principale di successo, della qualificazione attraverso l’attenersi scrupolosamente al copione culturale di provenienza e il ritenere le fragilità come segno di debolezza (Seidman, 2010).

La tesi viene confermata da David M. Mayer sull’Harvard Business Review (2018), dove indica come l’educazione occidentale (in questo caso quella statunitense) avvii i ragazzi ad assumere un atteggiamento stoico e chiuso emotivamente, producendo così una visione negativa e di diffidenza nei confronti di atteggiamenti interpersonali positivi, l’attuare apertamente l’empatia, il mostrare tristezza, l’essere modesti e attuare atteggiamenti considerati femminili o sposare la causa femminista.

Questo conduce all’analisi fatta, sempre sull’Harvard Business Review, da Jennifer L. Berdahl, Peter Glick e Marianne Cooper (2018), dove i ricercatori appena citati hanno contestualizzato il concetto di Masculinity Context Culture, determinato dalle seguenti quattro norme: non mostrare insicurezze, possedere forza e resistenza, il lavoro prima di tutto e assumere una mentalità “cane mangia cane”.

Come risulta, questi processi squalificano tutti coloro che non seguono queste norme, facendo apparire chi le segue come un soggetto mascolino a tutti gli effetti. A costi non di piccola dimensione. Infatti, sempre nello stesso articolo di Berdahl et al., nelle società lavorative dove è forte il concetto di Masculinity Context Culture sono statisticamente più presenti questi fenomeni: leadership tossica; bassa sicurezza psicologica; basso equilibrio lavoro/famiglia; frequenti episodi di sessismo; bullismo e atteggiamenti interpersonali di natura sessuale non conformi alle norme; burnout episodici; grande percentuale di malessere fisico e mentale.

Al contrario, chiedere aiuto o semplicemente chiedere qualcosa che sia giustificato nel contesto manda messaggi di apertura responsabile, di avere capacità relazionali buone ed infine basse probabilità di avere una personalità egocentrica (Huang et al., 2017).

Tirando le somme, la questione dell’essere qualificati come mascolini è ancora un elemento fondamentale delle società patriarcali occidentali, dando così valore di appartenenza culturale al costo di sacrificare qualsiasi altro elemento sociale o culturale, anche quelli riguardanti un ambiente fondamentale come quello del luogo di lavoro.

Ignorando così quella essenza fondamentalmente umana che è il chiedere aiuto, dimostrando che molte volte la vera forza è accettare le proprie fragilità e chiedere una mano per affrontarle (Crepet, 2018).

 

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