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La sottile linea di confine tra alimentazione sana e patologica

Ortoressia e vigoressia si basano su uno stile di vita volto a perseguire un rigido regime nutrizionale ma oggi rischiano di non essere subito riconosciute

Di Giulia Mangani

Pubblicato il 27 Mag. 2020

Nell’attuale “società del benessere” in cui predomina l’abbondanza di cibo, sempre più attenzione è posta al nutrirsi in maniera consapevole ed equilibrata. Ma esiste una sottile linea di demarcazione tra alimentazione salutare e patologia, come nel caso dell’ortoressia e della vigoressia.

 

Il cibo, fin dall’antichità, ha ricoperto un ruolo di primo piano nella vita dell’individuo, rivestendo un insieme di funzioni legate alla sopravvivenza, al bisogno di appagamento, all’appartenenza ad un gruppo, all’identità ed alla socialità.

Si mangia infatti per festeggiare compleanni, matrimoni e lauree o semplicemente per condividere a tavola momenti gradevoli con amici e parenti. Si mangia per trovare un posto nella società e per definire la propria identità sentendosi parte di una comunità con cui si condividono delle regole. Si mangia per mettere a tacere emozioni negative come ansia e stress, per consolarsi quando si è tristi, per occupare il tempo nei momenti di noia o per concedersi un’esperienza piacevole come premio. Infine, si mangia per introdurre gli alimenti necessari a garantire il giusto apporto nutritivo all’organismo.

L’ossessione di mangiare sano

Nella cosiddetta attuale “società del benessere”, caratterizzata dall’abbondanza di diversi tipi di alimenti, la possibilità di mangiare in modo continuativo, eccedendo in quantità maggiori del necessario, unitamente al perseguimento di modelli di bellezza e perfezione fisica, ha prodotto un’iperfocalizzazione dell’attenzione sul cibo quale “nemico da evitare”.

A questo si aggiunge il bombardamento mediatico e pubblicitario presente in rete che, offrendo consigli e protocolli alimentari, oltre a creare un contesto di maggior informazione e conoscenza, ha l’effetto paradossale di produrre false credenze e miti sulla nutrizione, non basati su fondamenti scientifici (Garano et al, 2016).

Tale meccanismo che ha avuto da una parte l’effetto di accrescere l’ossessione per un’alimentazione basata su pietanze “giuste” e sulla suddivisione di cibi in “buoni e cattivi” e dall’altra ha portato al diffondersi, a partire dagli anni ottanta del novecento, di pratiche alimentari restrittive come la “dieta chetogenica” a basso contenuto di carboidrati, la “dieta ipocalorica” che prevede un apporto energetico quotidiano inferiore a quello richiesto dall’organismo, come ad esempio nella Weight Watchers e nel metodo Alimentare a Zona, la “dieta macrobiotica” a basso contenuto di grassi, la “dieta crudista” che prevede il consumo di alimenti non lavorati, spesso provenienti da alimentazione biologica, la “dieta dissociata” che si basa su una rigida associazione di vari alimenti, la “Dukan” ad elevato contenuto di proteine fino ad arrivare al “digiuno intermittente”.

Perdersi all’interno di questo labirinto è davvero facile, soprattutto se non si è degli specialisti del settore e, all’interno di questo contesto, la linea di confine tra regimi alimentari sani e patologici, diventa sempre più sfumata come nel caso dell’ortoressia e della vigoressia.

Ortoressia e vigoressia

Entrambi i disturbi si sviluppano all’interno in un contesto ambientale che rinforza l’idea del mangiare sano e che culturalmente accetta il perseguimento di un’ideale di bellezza che può portare a scambiare inizialmente l’insorgenza di tale patologia con una maniera per migliorare la propria salute e correggere comportamenti alimentari errati.

Sia l’ortoressia che la vigoressia si basano infatti su uno stile di vita improntato al perseguimento di un rigido regime nutrizionale ma, mentre l’ortoressia poggia sull’ossessione per il mangiare sano che conduce il soggetto a spendere molto tempo a pensare al cibo, a quali alimenti evitare, a selezionarli e a prepararli al fine di mantenere una buona condizione di salute, la vigoressia riguarda l’ossessione per la perfetta forma fisica raggiunta tramite l’uso di un’alimentazione iper-proteica e lo svolgimento di esercizi fisici, al fine di ottenere una muscolatura ipertrofica.

In entrambe le patologie, il cibo e le pratiche sportive vengono utilizzate per definire un senso di identità e di appartenenza al gruppo, per dare consistenza al sé ma allo stesso tempo, per via dell’autocontrollo e della rigida disciplina alimentare che richiedono, tendono ad allontanare l’individuo dalla collettività conducendolo ad isolamento sociale e compromettendone la vita lavorativa. L’autostima diviene così secondaria al mantenimento della forma fisica o del regime alimentare che, se seguito correttamente, porta a provare un senso di superiorità rispetto agli altri ma ha come rovescio della medaglia, l’acuirsi di sentimenti di colpa e disagio quando si “fallisce”. E mentre nell’ortoressia tali emozioni portano la persona a seguire diete sempre più ristrette come gesto autopunitivo, nella vigoressia conducono ad estenuanti allenamenti in palestra e spesso all’uso di sostanze anabolizzanti per lo sviluppo di un corpo che non è mai ritenuto sufficientemente muscoloso.

Alcuni hanno definito tali atteggiamenti una forma di “fanatismo alimentare” che, portando a focalizzare l’attenzione unicamente sull’alimentazione, impoveriscono la complessità della realtà, comportano la fuga dai problemi reali e conducono a trovare rifugio in un unico scopo perseguibile: il cibo. L’alimento diviene così un elemento “sacro”, scelto non per il gusto che produce al palato ma sulla base delle qualità e dei benefici che può apportare in base a ideali etico-diatetici. La nutrizione assume una forma di “religiosità” divenendo una guida di precetti e comportamenti da seguire al fine di mettere a tacere paure ed insicurezze. Tale integralismo, che evidenzia l’importanza degli alimenti puri ed incontaminati, permette di concentrare le ansie riguardo il futuro nel piatto e nel cibo, ritenuto unico aspetto della vita che è possibile controllare (Garano et al, 2016; Niola, 2015).

Si arriva così al grande paradosso di tali rigidi e restrittivi regimi alimentari che, partendo dall’idea di voler preservare la salute, tramite l’utilizzo di cibi sani e di attività fisica, arrivano a depauperarla Ortocomportando squilibri nutrizionali e complicazioni mediche le cui conseguenze, troppo spesso, vengono sottostimate dalla “new age of food”.

L’insegnamento che si può trarre è quello che avevano già imparato gli antichi e che Aristotele spiega bene nell’Etica Nicomachia “supponendo che eccesso e difetto rovinano la perfezione, la via di mezzo la salvaguarda” che tradotto in un linguaggio più psicologico consiste nell’avere un approccio flessibile in tutti i contesti di vita, compresa l’alimentazione, perché l’eccessiva rigidità è uno dei campanelli di allarme della patologia.

 

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5. Raffaello Cortina, Milano.
  • Aristotele (1986). Etica Nicomachea. Rizzoli, Milano, vol. I, p. 165.
  • De Pascalis P (2013). Vigoressia. Quando il fitness diventa ossessione. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.
  • Garano. C., Dettori. M., Barucca. M. (2016). Ortoressia e vigoressia: due nuove forme di fanatismo? Cognitivismo Clinico, 13 (1), p. 185-200. Disponibile qui.
  • Matthieu J (2005). What is orthorexia? Journal of American Dietetic Association, 105 (10), p. 1510-1512.
  • Niola M. (2015). Homo dieteticus. Il Mulino, Bologna.
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