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Effetti della “pillow talk” sulla soddisfazione relazionale e sulle risposte fisiologiche allo stress nelle coppie

Uno studio si propone di indagare i potenziali effetti della pillow talk sia sul genere maschile sia su quello femmiline. Quali differenze si riscontrano?

Di Virginia Armellini

Pubblicato il 06 Apr. 2020

Con pillow talk si definisce una comunicazione intima tra partner dopo l’attività sessuale. Che benefici può portare questa pratica a uomini e donne?

 

Con l’espressione “pillow talk” (letteralmente, “conversazione con il cuscino”) si intende la conversazione che avviene tra i partner in seguito all’attività sessuale (PSTI). Molte ricerche in letteratura dimostrano un’associazione positiva tra l’impegnarsi in una comunicazione verbale e non verbale (coccole, baci, discorsi intimi) dopo l’attività sessuale e il benessere relazionale e sessuale degli individui e della coppia.

Il riferimento in letteratura, utilizzato per estendere questa linea di ricerca, è l’AET. L’AET è una teoria neo-darwiniana che dimostra come l’”affectionate behavior” (letteralmente, comunicazione affettuosa), è essenziale per aiutare gli individui a sviluppare e mantenere legami di coppia e rafforzare la resilienza. Nello specifico, la comunicazione affettuosa è definita come la messa in atto o l’espressione di sentimenti di vicinanza, cura e affetto per un altro significativo (abbracciare, baciare, dire “ti amo”). Ricerche precedenti indicano che le persone si impegnano in discorsi intimi post-sesso in media per 12 minuti.

Il presente studio si propone di testare sperimentalmente se l’aumento della comunicazione post-sessuale tra partner influisce sulla soddisfazione relazionale delle coppie e sulle risposte fisiologiche allo stress, in particolare nel momento in cui si discute di un problema relazionale che induce al conflitto.

Nello specifico, le ipotesi testate sono:

  • I partner che raddoppiano la “pillow talk” durante un arco di tre settimane (condizione sperimentale) mostreranno una maggior soddisfazione della relazione;
  • La soddisfazione della relazione predice la reattività del cortisolo e le risposte fisiologiche allo stress, ossia i partner sessuali più soddisfatti della loro relazione sperimentano meno stress quando discutono di un problema relazionale difficile;
  • Le coppie assegnate al gruppo sperimentale sono meno stressate rispetto a quelle appartenenti al gruppo di controllo, che non hanno raddoppiato la loro “pillow talk”.

Il campione finale comprendeva 50 coppie eterosessuali, mediamente dell’età di 20 anni, impegnati in una relazione monogama di almeno tre mesi e un’attività sessuale settimanale. I partecipanti erano invitati a compilare un questionario relativo ad informazioni demografiche, funzionamento relazionale, attività sessuale, situazioni stressanti e conflittuali vissute nel mese precedente. Dopo tre settimane, i soggetti erano invitati ad una visita di laboratorio per la misura della reattività del cortisolo responsabile dello stress tramite un tampone orale, prima e dopo aver discusso con il proprio partner per un tempo di 5, 20 e 40 minuti su una problematica relazionale conflittuale. Infine, è stato utilizzata la scala di Hendrick (1988) per la misura della soddisfazione della relazione, prima e dopo l’intervento sperimentale.

I risultati indicano che un aumento di “pillow talk” produce inaspettatamente una maggior soddisfazione relazionale solo per gli uomini e non per le donne, ma non predice le risposte allo stress fisiologico in entrambi i gruppi. Pertanto, la prima ipotesi è verificata soltanto per il genere maschile, mentre la seconda ipotesi non è stata supportata. Infine, anche la terza ipotesi è verificata soltanto per gli uomini, i quali giungevano in laboratorio con livelli di stress decisamente più alti rispetto alle donne, che diminuivano in seguito al confronto con la propria partner sulle problematiche relazionali. Di conseguenza, l’intervento non ha avuto un effetto significativo sulla reattività del cortisolo nelle donne, sia nel gruppo di controllo che in quello sperimentale; mentre gli uomini nella condizione di “pillow talk” hanno riportato un aumento nella soddisfazione relazionale e una diminuzione dei livelli di stress, rispetto agli uomini a cui era stata assegnata la condizione di controllo.

Una spiegazione sul perché gli uomini arrivassero in laboratorio con livelli di stress più elevati, rispetto al gruppo di controllo, potrebbe derivare dall’eccessiva preoccupazione per il compito di comunicazione che dovevano svolgere; ciò significa che essi sperimentavano una pressione maggior su sé stessi per aumentare la comunicazione intima positiva con la partner e, quindi, erano più stressati avvicinandosi alla discussione. Tuttavia, una volta che si sono effettivamente impegnati nel confronto, potrebbero essersi sentiti meglio attrezzati per gestire lo stress e, dunque, i loro livelli di cortisolo si abbassano notevolmente. Ciò non avviene per le donne.

Secondo la concezione AET, le norme di genere definiscono le donne come coloro che vogliono investire di più nelle loro relazioni rispetto agli uomini, perché sono state socializzate per farlo attraverso ruoli di genere prescritti. Pertanto, è stato chiesto loro di aumentare un comportamento che è già comune all’interno del loro ruolo di genere. Inoltre, è anche possibile che alcune donne abbiano inquadrato negativamente questo comportamento come lavoro emotivo all’interno della loro relazione romantica; in effetti, le donne possono già affrontare un aumento dello stress a causa delle aspettative di essere gestori familiari e relazionali, a volte riferite al colloquio come carico mentale. Di conseguenza, l’intervento potrebbe essere stato visto da alcune donne come uno dei tanti modi in cui ci si aspettava che gestissero la loro relazione e quindi non essere stato particolarmente gratificante, razionalmente benefico o positivo per lo stress.

Le norme di genere potrebbero anche spiegare l’efficacia dell’intervento sugli uomini. Infatti, la letteratura dimostra che le norme di genere sono più proibitive per l’espressione emotiva degli uomini. Pertanto, per gli uomini che partecipavano alla condizione sperimentale, avere il “permesso” di esprimere le proprie emozioni, impegnandosi in un comportamento che promuova l’attenzione, la consapevolezza e l’impegno nei confronti della propria partner dopo l’attività sessuale, può aver portato a benefici più pronunciati.

Alcuni limiti rappresentati dal presente studio sono l’età relativamente giovane del campione e la limitata generalizzabilità dei risultati. La ricerca futura può ora espandersi per verificare se forme e caratteristiche specifiche della comunicazione sono più o meno utili durante il PSTI.

 

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