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Il pendolo di Newton: in psicoterapia si gioca con la legge di conservazione della quantità di moto

Il pendolo di Newton, uno strumento che per molti versi rispecchia il funzionamento della mente umana nel produrre una risposta a stimoli interni ed esterni

Di Rachid El Khatabi

Pubblicato il 22 Apr. 2020

Capita spesso anche a tutti noi di mettere in atto dei comportamenti, di sperimentare delle emozioni, di produrre dei pensieri senza renderci conto di quali specifici stimoli abbiano inizialmente elicitato tali meccanismi. Il pendolo di Newton con le sue 5 sfere ci aiuta ad analizzare meglio questo aspetto del funzionamento umano.

 

 Uno dei motivi per cui le persone si rivolgono spontaneamente ad un professionista della salute mentale è perché si trovano a sperimentare delle emozioni, avere dei pensieri e agire dei comportamenti che non riconoscono appieno come frutto della loro volontà o perlomeno considerano spiacevoli, incontrollabili e non in linea con l’immagine che hanno di sé stessi.

Molte persone, ad esempio, si rivolgono allo psicologo perché sovente mettono in atto dei comportamenti distruttivi e aggressivi sia auto che etero diretti. Questi pazienti riferiscono delle perdite di controllo dei propri impulsi eccessive e spesso immotivate. Successivamente a tale discontrollo il paziente riporta emozioni di delusione, sconforto e confusione del pensiero a causa appunto della discordanza tra il proprio modo di intendersi come persona e il comportamento appena posto in essere. Questa dissonanza cognitiva e le emozioni che ne derivano portano anche ad una notevole riduzione dell’autostima e soprattutto ad un abbassamento della self-efficacy (credenza in merito alla propria capacità di produrre specifici comportamenti utili al raggiungimento di un obiettivo desiderato)  poiché non si è stati in grado, ancora una volta, di non perdere il controllo nonostante i buoni propositi.

Questi pazienti hanno come l’impressione che in quel particolare momento in cui si perde il controllo si sia spinti da una forza ingovernabile e da uno stato di attivazione emotiva completamente disregolato. Sia il paziente che lo psicologo si trovano impegnati dunque a cooperare per scoprire la vera natura di questa “forza”.

Un giorno, al termine di una seduta con un paziente con problematiche simili a quelle descritte poco sopra, riflettendo mi riecheggiavano ancora le domande che il paziente si era posto e mi aveva posto durante la seduta appena conclusasi, domande del tipo: “com’è possibile che io abbia perso il controllo per una sciocchezza del genere? È normale che in alcuni momenti mi si annebbi la vista dalla rabbia e poi dopo neanche cinque minuti già quasi non mi ricordo più il motivo per cui mi ero arrabbiato così tanto?”

Mentre ripensavo a queste domande ipotizzavo che al paziente a volte capitava di dimenticare così facilmente il “motivo” della sua arrabbiatura semplicemente perché quello a cui lui faceva riferimento non era il vero motivo, ma probabilmente solo l’ultimo anello di una lunga catena di fenomeni interni. Mentre riflettevo su tutto ciò, giochicchiavo, come spesso mi capita, con un oggetto poggiato sulla mia scrivania, il cosiddetto “Pendolo di Newton”. Mentre osservavo le sfere oscillare e ascoltavo il tipico ticchettio provocato dalla loro collisione mi sono sorpreso a pensare ad una strana ma simpatica analogia tra il funzionamento di quello strumento e il “funzionamento” del paziente che mi aveva da poco salutato.

Prima di chiarire e, mi viene da dire, giustificare una simile analogia voglio però assicurarmi che il lettore abbia ben presente lo strumento di cui parlo (pendolo di Newton o biglie di Newton) e soprattutto cercare di fornirgli dei superficiali ma fondamentali concetti psicologici.

Che cos’è il pendolo di Newton?

Credo che la maggior parte di noi abbia visto almeno una volta tale oggetto. Stiamo parlando di un dispositivo composto da varie sfere metalliche (di solito 5) tutte aventi la stessa massa e ciascuna sospesa mediante due fili. Le sfere stanno a contatto sulla stessa linea orizzontale e si possono muovere sul piano verticale.

Viene usato per illustrare le leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia meccanica.

Come funziona?

A sfere ferme, si solleva la prima sfera, mantenendo tesi i fili con cui è sospesa, e la si lascia cadere. Essa urterà contro la fila delle altre e si osserverà che la prima si ferma, le intermedie non si muovono, e l’ultima sfera invece parte verso l’alto, raggiungendo la stessa altezza da cui era partita la prima, e così di seguito. Questa “botta e risposta” potrebbe potenzialmente andare avanti all’infinito se solo non intervenissero fattori esterni come ad esempio l’attrito dell’aria che rallenta progressivamente il movimento delle sfere fino al loro arresto.

Infatti ricordiamo che il principio della conservazione della quantità di moto stabilisce che:

“In un qualunque sistema di corpi interagenti tra loro e in assenza di forze esterne la quantità di moto totale del sistema si conserva”.

Due osservazioni mi risultano particolarmente interessanti del funzionamento del pendolo di Newton ed entrambe saranno riprese più avanti come elementi che giustificano la mia bizzarra analogia:

  1. se solleviamo e poi lasciamo cadere solo la prima sfera si otterrà il movimento uguale e contrario solo dell’ultima sfera. Dunque la prima e l’ultima sfera saranno le uniche a produrre movimento e apparirà chiaro che il movimento dell’ultima sfera è determinato dal precedente movimento della prima nonostante queste due sfere non entrino mai in diretto contatto. L’energia pertanto verrà trasmessa sempre e solo attraverso gli elementi intermedi;
  2. se un sistema isolato riceve uno stimolo, producendo di conseguenza una determinata risposta e non interviene nessun fattore esterno, esso continuerà a produrre nel tempo sempre la stessa risposta con la medesima energia.

Ma cosa hanno a che fare il pendolo di Newton e i principi che ne determinano il funzionamento con l’essere umano e la sua psicologia?

L’essere umano è un sistema certamente non isolato e dunque mai indipendente dal contesto in cui si trova. I fattori esterni ambientali e sociali hanno una determinante influenza sui nostri pensieri e sul nostro comportamento.

La neo-corteccia ha dotato noi esseri umani di finissimi ed evolutissimi strumenti che consentono di leggere in diretta i segnali ambientali e sociali presenti nel contesto ambientale e “matcharli” con le informazioni personali, culturali e morali archiviate in memoria.

Questa capacità è evidente in quelli che vengono definiti script cognitivi ovvero degli schemi comportamentali più o meno complessi che, il più delle volte in modo implicito, mettiamo in atto in uno specifico e determinato ordine al fine di adattarci ad uno dato contesto. Un esempio banale è quando andiamo al ristorante e ci avviciniamo al tavolo, come prima cosa non chiediamo il conto al cameriere, ma probabilmente ci togliamo la giacca e ci accomodiamo. Questo comportamento, insieme magari al fatto che (se il ristorante è un raffinatissimo locale 3 Stelle Michelin) rispettiamo un particolare dress code, non dipende soltanto dal buon funzionamento della memoria procedurale, ma ci informa anche circa la nostra capacità di riconoscere, accettare ed adattarci alle norme culturali e alle convenzioni sociali dell’ambiente in cui viviamo e tale capacità ricordiamo è fortemente mediata dalle strutture corticali superiori che svolgono una continua funzione di monitoraggio online del nostro comportamento.

Ma la neo corteccia non è l’unico apparato cerebrale di cui l’evoluzione ci ha fornito. Con MacLean ( MacLean, P. 1973) potremmo simbolicamente dividere il nostro sistema cerebrale in 3 parti:

  • la neo-corteccia;
  • il sistema limbico;
  • Sistema Nervoso Autonomo (SNA) e cervello rettiliano.

Della neo-corteccia si è già accennato.

Per quanto riguarda il sistema limbico, possiamo sinteticamente dire che è costituito da alcune strutture sotto corticali: i bulbi olfattivi, l’ippocampo, l’amigdala, il giro del cingolo, i nuclei talamici anteriori e la corteccia limbica. Supporta svariate funzioni psichiche come l’elaborazione delle emozioni, motivazione, apprendimento, memoria e attaccamento.

Il cervello rettiliano risiede nel diencefalo, nel mesencefalo e nella parte iniziale del telencefalo e si occupa dei bisogni e degli istinti innati: territorialità, predazione, esplorazione del territorio e procreazione. Il Sistema Nervoso Autonomo è costituito da porzioni anatomicamente e funzionalmente distinte ma sinergiche: il sistema nervoso simpatico, il sistema nervoso parasimpatico e il sistema nervoso enterico.

Ha la funzione di regolare l’omeostasi dell’organismo ed è un sistema neuro-motorio non influenzabile dalla volontà che opera con meccanismi appunto autonomi, relativi a riflessi periferici sottoposti al controllo centrale. Per quanto riguarda il SNA è degna di essere citata la differenziazione tra due tipologie di nervo vago, quello mielinizzato e quello non mielinizzato, proposta da Stephen W. Porges (Porges, S. W.. 2014) nella sua teoria polivagale.

Perché è utile sapere che “il cervello” come comunemente inteso è in realtà frutto di diverse strutture e funzionalità?

Perché in questo modo è più facile comprendere quale struttura o funzione è inibita, iperattivata, alterata, compromessa o più semplicemente comprendere qual è, se c’è, la gerarchia di funzionamento interno tra queste strutture.

Ad esempio:

..nelle strutture limbiche i neuroni non sono organizzati in strutture regolari, ma piuttosto in un’amalgama più rudimentale, ecco che ne deriva che l’elaborazione di uno stimolo risulta più primitiva che nella corteccia e al tempo stesso più veloce, adatta cioè a reazioni essenziali per la nostra sopravvivenza. Questa è dunque la ragione per cui ci capita di reagire in modo improvviso e spropositato a uno stimolo, anche se sappiamo che non dovremmo farlo o non serve.

Il dato neurofisiologico interessante è proprio che in questa situazione si assiste a quello che è stato definito “shutdown corticale” (Arnsten et al. 2014.): ovvero la corteccia è stata messa offline, fuori uso, e il sistema sottocorticale antico ha preso il sopravvento, più veloce nella sua risposta cosiddetta di “attacco o fuga”.

Lo shutdown corticale conduce a una perdita temporanea delle funzioni di mentalizzazione, causando una perdita di visione simbolica, integrazione degli stimoli e capacità di interpretarli. A questo punto tutto accade nel sistema limbico: il talamo, stazione d’ingresso, filtro degli stimoli, invia il proprio segnale all’amigdala, primo centro di reazione emozionale, che risponde con una cascata di reazioni neurovegetative, con rilascio di cortisolo nel sangue dai surreni, analgesia temporanea, attivazione del sistema nervoso autonomo. In altri termini, dopo la primissima reazione di freezing, cui corrisponde soggettivamente quel primo istante di blocco o sorpresa, l’amigdala ci dispone ad attaccare lo stimolo o a fuggirlo, mentre proviamo alternativamente rabbia o paura.

Tutto questo accade in soli 12 millisecondi ed è al di fuori della nostra consapevolezza, senza che la corteccia abbia ricevuto alcun messaggio.

Esiste anche una via di collegamento tra il sistema limbico e la corteccia, chiamato anche “via alta” che decorre dal talamo alla corteccia e dalla corteccia all’amigdala, ma impiega ben 25 millisecondi: questo significa che la risposta somatica accade sempre prima di ogni altra fantasia o riformulazione verbale, che è dunque soltanto un tentativo retrospettivo di spiegare una condizione inconscia, sottocorticale. (Poli, E. F. 2014).

Tale suddivisione ovviamente asserve ad un puro scopo esplicativo, ma in realtà tutte le strutture anatomo-funzionali che costituiscono il nostro sistema nervoso centrale sono strettamente collegate e funzionano sinergicamente.

Questa suddivisione mi è inoltre molto utile per riprendere il filo del discorso.

Si parlava del nesso che c’è tra psicologia e il pendolo di Newton, vero?

Ecco, adesso facciamo un esercizio immaginativo. Immaginiamo che ognuna delle 5 sfere del pendolo rappresenti qualcosa:

  • la prima sfera rappresenta uno stimolo esterno o interno. Stimolo è qui inteso come fenomeno, evento che viene percepito ed elaborato dal nostro organismo, quindi uno stimolo esterno potrebbe essere, ad esempio, un rumore metallico che noi solo successivamente comprendiamo essere il rumore delle chiavi di un nostro familiare che sta per aprire la porta di casa, oppure potrebbe essere un aumento del battito cardiaco che noi potremmo interpretare come il segno di un’emozione di paura;
  •  la seconda sfera rappresenta il nostro SNA e il cervello rettiliano;
  • la terza sfera rappresenta il nostro cervello limbico;
  • la quarta sfera rappresenta la nostra neocorteccia;
  • la quinta sfera rappresenta la risposta. Risposta intesa come attività mentale e/o comportamentale posta in essere come conseguenza ad uno stimolo.

Le sfere sono state così ordinate in base alla velocità con cui i diversi sistemi cerebrali tendono ad attivarsi in situazioni percepite come pericolose e/o minacciose.

Ora sappiamo dunque che uno stimolo, esterno o interno, oggettivamente pericoloso o interpretato soggettivamente come tale può dare il via ad una reazione immediata e complessa che solo in ultima analisi (e neanche tutte le volte) potrebbe arrivare alla nostra consapevolezza come nel caso dello shutdown corticale. Potremmo in queste situazioni sperimentare delle emozioni, produrre dei pensieri e mettere in atto dei comportamenti anche molto complessi che quindi a posteriori ci sembrano a tutti gli effetti privi di una valida motivazione oppure spropositati rispetto a quanto da noi esplicitamente vissuto (Imm.1)

Pendolo di Newton l'analogia con il funzionamento della mente umana

Imm.1 – Il pendolo di Newton come metafora del funzionamento psichico

Questa mancanza di consapevolezza in merito alla stretta interdipendenza tra stimolo e risposta comportamentale è ben rappresentata dall’esempio del pendolo di Newton e in particolare dalla prima delle due osservazioni che ho proposto sopra, ovvero al fatto che la prima e l’ultima sfera non si toccano anche se è l’energia dell’una a produrre il movimento dell’altra.

Il punto è questo, così come accade nel pendolo di Newton dove la quinta sfera effettua un movimento senza “sapere” che esso avviene grazie all’energia prodotta dal movimento della prima, allo stesso modo capita spesso anche a noi di mettere in atto dei comportamenti senza renderci conto di quali specifici stimoli abbiano inizialmente elicitato tale comportamento. Le due sfere non si toccano eppure vediamo che si influenzano grandemente. In terapia l’obbiettivo è proprio quello di comprendere come le nostre reazioni sono il frutto di un complesso processo di elaborazione che parte tuttavia sempre da uno stimolo.

La seconda osservazione a cui il Pendolo di Newton ha dato spunto era la seguente:

se un sistema isolato riceve uno stimolo, producendo di conseguenza una determinata risposta e non interviene nessun fattore esterno, esso continuerà a produrre nel tempo sempre la stessa risposta con la medesima energia.

Abbiamo già detto che l’essere umano non è un sistema isolato così come non è isolato il pendolo di Newton, a meno che quest’ultimo non venga messo all’interno di una campana sotto vuoto senza mandargli alcun tipo di vibrazione. Eppure abbiamo visto che nella psiche dell’essere umano si presenta un principio sovrapponibile a quello di conservazione della quantità di moto e dell’energia meccanica. Lo osserviamo tutte le volte che una persona è consapevole, decisa e determinata a voler modificare un determinato comportamento o pensiero e poi puntualmente finisce per fallire nonostante il suo impegno cosciente e sincero.

Alcuni in passato lo chiamavano “eterno ritorno”, “coazione a ripetere”, più recentemente “cicli interpersonali”, “copioni di vita”, “schemi maladattivi precoci”, ecc. Oggi, soprattutto grazie alle neuroscienze, sappiamo che alla base di questo principio c’è sempre

l’attivazione della nostra memoria emotiva, la libreria esperenziale nell’archivio limbico. Essa fa sì che ciò che ci può in qualche modo collegare a un “pericolo” inneschi una reazione. (ibidem)

Il termine pericolo è virgolettato per sottolineare ancora una volta il fatto che il pericolo non necessariamente deve essere reale ovvero attuale, ma è sufficiente che sia in grado di attivare tracce mnestiche associate a situazioni vissute o immaginate ove si abbia soggettivamente sperimentato sentimenti di minaccia e/o pericolo. Qui è fondamentale specificare che per sensazione soggettiva di minaccia/pericolo non si intende soltanto quella fisica ma, anzi quasi sempre, una minaccia/pericolo alla propria immagine identitaria, le proprie credenze e i propri valori e principi. In quella o, più spesso, quelle occasioni passate la persona avrà sicuramente agito delle risposte mentali e comportamentali che hanno contribuito alla sua sopravvivenza fisica e identitaria. Da allora in poi il sistema limbico tutte le volte che incontrerà sulla sua strada uno stimolo in grado di evocare in qualche modo quelle esperienze di pericolo passate cercherà di bypassare la neo corteccia (convinto di evitarci inutili perdite di tempo) e in circa 12 millisecondi farà sì che noi produciamo un’adeguata risposta mentale e/o comportamentale che è simile per qualità e quantità alle prime risposte che tanto tempo fa abbiamo imparato inconsapevolmente ad usare.

L’obiettivo della terapia è dunque fare quello che fa l’aria con le sfere del pendolo di Newton ossia interferire sulla perpetua propagazione dell’energia e del moto rendendo il sistema non più isolato. L’attrito dell’aria contro le sfere va sostituito in terapia con l’auto-osservazione continua e sistematica grazie all’aiuto dello psicologo e alle tecniche che consiglierà.

Osservarsi in maniera quanto più “oggettiva” possibile consente di sistematizzare gli eventi interni ed esterni, ad archiviarli, a riconoscerne la ripetitività, a produrre eventuali nessi di causa effetto e dunque a prevenirne le manifestazioni o di ridurre la portata di quelli considerati più problematici.

Per un bel po’ di tempo, o forse per sempre, lo stimolo esterno soggettivamente considerato minacciante continuerà ad elicitare un’ iperattivazione/ipoattivazione del SNA e anche quella del circuito limbico-sottocorticale causando di conseguenza un’attivazione o un’ipoattivazione emotiva che però, se ben riconosciuta e accettata, potrà essere regolata per mezzo di una concomitante retro-azione cognitiva (reappraisal cognitivo) che, insieme a possibili varie tecniche di regolazione dello stato di attivazione fisiologica (arousal) produrrà un aumento della mastery intesa come percezione di padronanza ossia sentire di avere il controllo sul proprio stato mentale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • MacLean, P. 1973. A triune concept of the brain and behaviour, Toronto, Buffalo (tr. it. Evoluzione del cervello e comportamento umano. Studi sul cervello trino, Torino, Einaudi, 1984).
  • Porges, S. W. 2014. La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell'attaccamento, della comunicazione e dell'autoregolazione. Giovanni Fioriti Editore.
  • Arnsten, A., Mazure, C.M., Sinha, R.  2012. This is your brain in meltdown. Sci. Am. 306:48–53. [PMC free article][PubMed][Google Scholar]
  • Poli, E. F. 2014. Anatomia della guarigione. Milano. Anima Edizioni.
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