Bowlby nelle sue teorizzazioni parla della fame del bambino per l’amore e la presenza della madre e definisce il comportamento di attaccamento come un modo di agire che si presenta in un individuo che consegue o mantiene una vicinanza nei confronti di un’altra persona, identificata chiaramente e ritenuta in grado di riuscire ad affrontare le diverse situazioni ambientali in modo adeguato.
I primi studi di Bowlby furono sull’esperienza di separazione e sulla privazione della madre nei bambini e mostrarono come questi ultimi sperimentavano un intenso dolore rispetto alle separazioni e che, a lungo termine, potevano portare alle nevrosi ed alla delinquenza, sia nei bambini che negli adolescenti, ed alla malattia mentale negli adulti (Holmes, 1994). La teorizzazione di Bowlby, che parla di fame nel bambino per l’amore e la presenza della madre, si discosta dalle descrizioni psicanalitiche della relazione madre-bambino del suo tempo, che vedevano in questo legame un tipo d’amore interessato e volto al soddisfacimento pulsionale (ibidem). Proprio dalla critica di Bowlby alla psicanalisi e dalle scoperte in ambito etologico, prende le mosse la teoria dell’attaccamento.
L’importanza dell’attaccamento deriva sia dagli esperimenti di Lorenz (1989) sui piccoli di oca, dove il legame tra piccolo e madre, o il surrogato della madre, era indipendente dal cibo e prescindeva dal nutrimento, sia dagli esperimenti di Harlow (1958) sui piccoli di scimmie Rhesus che, separati dalle loro madri, vengono allevati da due “madri fantoccio”, una dotata di biberon, l’altra senza biberon ma fatta di stoffa morbida: i piccoli primati mostrarono una preferenza per la madre di stoffa con la quale passavano gran parte del giorno e dalla quale si allontanavano solo per andare a mangiare da quella dotata di biberon. Se l’esperimento di Lorenz aveva dimostrato che il legame è svincolato dal nutrimento, Harlow dimostrò che è possibile nutrirsi senza stabilire un legame (Holmes, 1994).
Grazie all’influenza degli studi sopracitati a lui contemporanei e di molti altri, Bowlby ipotizza una predisposizione biologica nei neonati nei confronti di una persona, basata su una motivazione intrinseca e che, fin dalla nascita, il bambino sia dotato di sistemi motivazionali specie-specifici, ovvero di una serie di comportamenti innati slegati da apprendimenti precedenti attivati da fattori esterni, come l’assenza e il ritorno della figura di attaccamento, e da fattori interni, come la fatica e la sofferenza. Per Bowlby il comportamento di attaccamento risulta essere, dunque, un modo di agire che si presenta in un individuo che consegue o mantiene una vicinanza nei confronti di un’altra persona, identificata chiaramente e ritenuta in grado di riuscire ad affrontare le diverse situazioni ambientali in modo adeguato. Questo comportamento si fa esplicito ogni volta che l’individuo è spaventato, affaticato o malato, e si affievolisce quando si ricevono conforto e cure (Bowlby, 1995). L’attaccamento riveste una specifica funzione biologica che è quella della protezione: esso permette di rimanere nelle vicinanze di una persona che si reputa familiare, pronta e disponibile per venire in aiuto in caso di pericolo (ibidem).
C’è una distinzione da fare, però, tra concetti strettamente connessi tra di loro che sono: attaccamento, comportamento d’attaccamento e sistema dei comportamenti di attaccamento. L’attaccamento è un termine generico che fa riferimento
allo stato e all’attualità degli attaccamenti di un individuo che possono essere divisi in attaccamenti sicuri e insicuri (Holmes, 1994, p.72).
Per comportamento di attaccamento intendiamo una qualsiasi condotta che si manifesta in un individuo per ottenere o mantenere la vicinanza a qualcun altro differenziato o preferito; questo comportamento è attivato dalla minaccia, dalla reale separazione o dall’allontanamento dalla figura d’accudimento e diminuisce attraverso la vicinanza a quest’ultima. I concetti sopracitati, di attaccamento e comportamento d’attaccamento, si basano sul sistema dei comportamenti di attaccamento, dove vengono rappresentati il sé, gli altri significativi e la loro relazione e che codifica lo specifico pattern di attaccamento mostrato.
Una relazione di attaccamento può essere definita sulla base di tre caratteristiche fondamentali (ivi):
- la ricerca di vicinanza a una figura preferita: il grado di vicinanza dipenderà dalle circostanze e da diversi fattori individuali. Nel cercare la vicinanza, però, si predilige una figura discriminata o un piccolo gruppo di figure;
- l’effetto “base sicura”: Mary Ainsworth fu la prima a parlare di base sicura per descrivere la sensazione creata dal caregiver per la persona che le si attacca. La base sicura diventa, a sua volta, un trampolino per iniziare l’esplorazione e, quando un pericolo diventa incombente, si ritorna e si cerca nuovamente la vicinanza delle figure di accadimento (Holmes, 1994);
- protesta per la separazione: Bowlby identificò la protesta come la prima risposta nei bambini alla separazione dai genitori e come la migliore prova per identificare un legame d’attaccamento (ibidem).
Bowlby usa la nozione di modelli operativi interni non funzionali per descrivere i differenti pattern di attaccamento nevrotico (Holmes, 1994). Infatti, oltre ad un tipo di attaccamento sicuro, che deriva dall’interiorizzazione da parte del bambino di un modello operativo interno che comprende una persona che si prende cura di lui, sensibile e affidabile e una rappresentazione di sé come degno di amore, esiste anche un tipo di attaccamento insicuro che porta il bambino a vedere il mondo come un posto pericoloso e a considerare se stesso come non degno di amore (ibidem). Questo tipo di attaccamento insicuro deriva da un tipo di caregiver rifiutante o imprevedibile e le due strategie di base utilizzate in questo caso sono l’evitamento o l’adesione, che porteranno ad un tipo di attaccamento insicuro evitante o insicuro ambivalente.
Sarà, però, la Ainsworth a descrivere queste categorie per la prima volta, arricchite poi dalla Main (Main, Kaplan & Cassidy, 1985) e altri autori come Sroufe (1983). Mary Ainsworth, allieva di Bowlby, partendo da alcune ricerche svolte negli Stati Uniti e in Uganda sulle interazioni tra madre e bambino, ideò la Strange Situation, una tecnica che serve a misurare l’attaccamento del bambino, basata sull’osservazione sistematica dell’interazione del bambino con il caregiver in un ambiente strutturato. La Strange Situation si pone come obiettivo quello di intensificare, oltre che attivare, i comportamenti di attaccamento nel bambino, mettendolo in una condizione di stress moderato, che aumenta nel corso dell’osservazione. L’aggettivo attribuito alla prova “strange” sta proprio a significare che l’ambiente non risulta essere familiare (si tratta di un laboratorio) e che, in aggiunta, il bambino si trova in presenza di una persona a lui estranea; la situazione prevede nel corso dell’esperimento una serie di separazioni e ricongiungimenti durante otto episodi in un ordine prestabilito (Santrock, 2013). Grazie all’osservazione in questo specifico setting, è possibile arrivare alla classificazione dei diversi tipi di attaccamento, prendendo come riferimento la funzione della base sicura di aprire il bambino all’esplorazione, le risposte del bambino all’estraneo e alle continue separazioni e riunioni e, infine, la qualità del gioco e dell’esplorazione. Si rilevano, in questa maniera, tre tipi diversi di attaccamento: quello sicuro, quello insicuro evitante e quello insicuro resistente (Main, 2008; Santrock, 2013). Solo successivamente la Main aggiunse un quarto tipo di attaccamento denominato disorganizzato (Main & Salomon, 1990).