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Con gli “occhi” degli Healthcare Workers: la sfida psicologica del Covid-19

Di fronte a questo evento contagioso di salute pubblica su larga scala il personale medico è sotto pressione, sia fisicamente che psicologicamente.

Di Claudio Lombardo

Pubblicato il 10 Apr. 2020

L’emergenza legata al Covid-19 ha costretto gli operatori sanitari a confrontarsi con una nuova realtà, piena di sfide e difficoltà, che comporta uno stress psicologico senza precedenti.

 

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri..
(G. Leopardi)

Di fronte a questo evento contagioso di salute pubblica su larga scala il personale medico è sotto pressione, sia fisicamente che psicologicamente.

Lo scoppio del Covid-19 ha causato uno stress psicologico senza precedenti sugli operatori sanitari (‘Healthcare Workers’, HW), coraggiosi sostenitori e ricostruttori di vite, ma esposti al complesso di reazioni emotive e stress psicologico (come evidenziato dalla letteratura in calce). Nei casi più gravi si è vittime del senso di irrealtà, confusione dei sentimenti, depressione e abulia, in cui il corpo non risponde alle intenzioni razionali essendo incapace di placare l’ansia dello sconforto; l’immobilità di agire non si traduce in viltà.

Sulla scorta di Dewey, la “circostanza” è la fusione tra il principio personale di ogni individuo, il complesso di dati biologici e ambientali di cui subisce l’influenza. Tanti operatori sanitari dispiegati contro un nemico virale che rappresenta una seria “sfida psicologica”, in grado di compromettere l’attenzione degli HW, il funzionamento cognitivo e il processo decisionale clinico (Lijun, et al., 2020) e in cui può conseguire il verificarsi di errori e incidenti medici.

Certamente il confronto maggiore è quello con sé stessi: “aiutare il paziente senza diventare paziente a propria volta”.

Con gli occhi degli HW

Il lavoro degli HW è raccolto nell’intimità carnale delle vittime del virus: la patologia del corpo, ovvero l’efficienza corporea ostruita dall’ignoto, da un nuovo agente patogeno di cui se ne vorrebbe sapere di più per starne alla larga.

Il fantasma di un corpo è il suo virus, la memoria del mondo, focolare incontenibile che non lascia all’arbitrio della mente la capacità di spegnerlo. Un’entità biologica sorda alle grida di uomini o donne.

Gli anziani vengono deportati per far spazio ai giovani. È la voce degli HW che si oblitera nel paziente, farmacologicamente passivo, limitano nei movimenti e nei pensieri di coscienze ridotte a “reliquie del passato”.

Processi istintivi, veglia e sonno, regolazione viscero-ghiandolare…. hanno le orme del virus!

Tutto è sintesi di un’immagine: una croce (la forza vitale umana), un cerchio (il limite di contenimento), un tubo dove fuoriesce l’”ossigeno della vita”: l’aria attraversa a carponi un tunnel, è la trachea, un tubo che permette di comunicare col polmone, un organo incastonato nel corpo la cui vitalità dipende dalla respirazione, “un movimento su, uno giù”.

La patologia virale è l’ostruzione della secolare natura della geometria del diaframma sedimentata in abitudine, una divina tradizione contrastata dall’ateismo del corpo infetto, una diabolica interferenza (la parola Satana è denominazione originaria del sanscrito che significa “Colui-che-va-contro”) capace di far esplodere i sintomi in una perdita di controllo della vitalità umana che si intensifica e si agita: è la crisi respiratoria.

L’affanno, la respirazione urgente e forzata dall’istinto, si aggrappa all’invisibile cercando disperatamente di cogliere l’essenza della vita per assimilarla.

Ogni respiro contrattacca la morte. Gli healthcare workers in prima linea!

Con tale rappresentazione l’ospedale può essere descritto ‒ simbolicamente ‒ con un “cerchio”, elemento dell’ideografismo ermetico, che indica la «ritensione massima della forza vitale» contenuta nei limiti; limiti che mettono a dura prova gli HW!

Nell’«ambiente interno» di un ospedale lo spazio è la sicurezza di un “respiro”, teatro differente ‒ se non opposto ‒ all’«ambiente esterno» in cui lo spazio personale è dilatato con le dovute distanze che sottolineano le debite differenze identitarie legate al virus: infetto/possibile infetto/sano.

Ma pur stando a casa c’è l’ansia della dispersione, amplificata da un tubo contenente fili elettrici dove passa l’informazione. L’individuo dall’ambiente esterno vede nel cerchio, nel contenimento dell’energia vitale, nel luogo sanatorio ospedaliero, l’orificità affidata alla macchina: è lo specchio delle proprie paure.

Un nodo in gola ostruisce la ragione, manca l’aria, si trattiene il fiato, ogni pensiero positivo è sopravvivenza potenziata da una benedizione di massa.

Ma il male non ha spiegazioni o senso. Il male non ha sentimenti o emozioni. Il male va contro, ostruisce.

Così, un tubo dona la vitalità mancante in un corpo e intercetta una minaccia non localizzata e invisibile; unisce i nostri pensieri alla realtà così come la vita ad un corpo.

Da un tubo nasce la speranza della vita, come la paura della morte.

Covid19 l'emergenza dal punto di vista degli healthcare workers IMM.1

Immagine 1 – Disegno prodotto da Serena Vignoli

Un disegno di Serena Vignolini, eseguito sotto le indicazioni dell’autore dell’articolo a cui non si deve minimamente il contributo dell’opera data la larga competenza dell’artista di aver saputo contenere magistralmente ‒ in un’immagine ‒ i concetti essenziali racchiusi in questa sede.

La croce: la forza vitale umana.

Il cerchio: il limite di contenimento.

Il tubo: come metafora della speranza di vita e paura della morte.

 

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