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La disponibilità emotiva e le Emotional Availability Scales

Le EAS (Emotional Availability Scale) sono uno strumento usato per comprendere la disponibilità emotiva cioè una sana connessione emotiva in una relazione

Di Alessandra Mosca

Pubblicato il 11 Mar. 2020

La disponibilità emotiva è un’integrazione tra la teoria dell’attaccamento e il concetto della sensibilità materna. I primi ad usare questo termine furono Mahler, Pine e Bergman nel 1975, per descrivere l’atteggiamento supportivo e presente della madre nella relazione diadica tra madre e figlio.

 

Una relazione sana, infatti, permette al bambino di esplorare l’ambiente circostante e allo stesso tempo di avere quel contatto fisico, che trasmette emozione e affetto. Altri scritti successivi di Edme nel 1980 descrivono la disponibilità emotiva come una presenza supportiva durante l’esplorazione del bambino e come un’accettazione delle espressioni emotive del figlio, sia negative che positive, permettendo così al bambino di potersi esprimere in maniera diversificata anche in base alla situazione (Biringen e Robinson, 1991). Successivamente Sorce e Edme nel 1981 indicano come la disponibilità emotiva si riferisca, oltre che alla presenza fisica, anche alla presenza emotiva, vale a dire un caregiver ricettivo alle segnalazioni del proprio figlio, capace di percepire e comprendere i segnali che provengono dagli altri. La disponibilità emotiva rappresenta, quindi, un barometro della relazione tra il caregiver e il figlio, come hanno definito Edme e Easterbrooks nel 1985 (Biringen, Derscheid, Vligen, Closson e Easterbrooks, 2014).

Questo costrutto, dunque, consiste nella condivisione tra due persone di una sana connessione emotiva e comprende il clima emotivo della relazione. Inoltre considera l’abilità del caregiver di strutturare l’attività del bambino, guidandolo e supportando la sua autonomia. Un grande cambiamento introdotto da Biringen è stato quello di dare importanza anche al bambino, che viene visto come agente attivo nella costruzione del rapporto, in quanto le sue qualità e caratteristiche vanno ad influenzare i comportamenti e le risposte del caregiver (Saunders, Kraus, Barone e Biringen, 2015).

Biringen e Robinson (1991) offrirono una concettualizzazione teorica della disponibilità emotiva e crearono le EAS (Emotional Availability Scale), uno strumento specificatamente usato per comprendere la disponibilità emotiva all’interno di una relazione. Le EAS sono delle griglie osservative che vengono applicate su materiale videoregistrato o durante un’osservazione; devono essere sempre presenti due giudici per assicurare l’affidabilità e la inter-rater reliability dello strumento. Le EAS, inoltre, possono essere utilizzate in seguito ad un training adeguato, che permette di ottenere un patentino per poterle utilizzare. Lo strumento è suddiviso in sei parti, quattro relative al genitore e due relative al bambino. Ognuna di queste parti è caratterizzata da sette indici a cui viene dato un punteggio su scala Likert; i primi due indici di ogni sottoscala vanno da 1 ad un massimo di 7, in cui il punteggio da 1 a 3 indica necessità d’intervento, 4 rappresenta un livello critico, mentre i restanti valori costituiscono un livello buono o ottimale. I restanti cinque indici di ogni sottoscala vengono valutati con una scala Likert da 1 ad un massimo di 3; in questo caso l’1 indica necessità d’intervento, il 2 indica un livello critico, mentre il 3 un livello buono o ottimale. Il totale di ogni sottoscala è di 29, mentre il totale generale dello strumento è di 174. Le sottoscale sono le seguenti (Villotti, Bentenuto e Venuti, 2014):

  • Sensibilità: la dimensione della sensitiviy corrisponde essenzialmente alla capacità del genitore di comprendere e rispondere in maniera adeguata ai segnali del bambino (Villotti et al., 2014). È opportuno sottolineare come la sensibilità risulti un concetto diadico, in quanto il genitore sensibile lo è anche grazie al bambino responsivo e coinvolto. Un caregiver sensibile sarà in grado di creare un clima positivo, genuino e soprattutto affettuoso, in cui segnali verbali e non verbali risultano congruenti tra di loro (Birigen et al, 2014). Questa scala considera anche la capacità di essere flessibile nel modo di porsi al bambino, in termini di comportamento e di attenzione. Un genitore flessibile è in grado di svolgere più attività rimanendo comunque responsivo nei confronti del figlio (Villotti et al., 2014). Dunque, questa prima scala valuta la capacità del caregiver di sintonizzarsi emotivamente con l’infante, di comprendere e rispondere ai suoi bisogni, di essere flessibile nel modo di porsi al bambino e di vedere in lui una persona distinta e indipendente.
  • Strutturazione: la scala dello structuring indica la capacità del genitore di offrire supporto, sostegno e stimoli nell’esplorazione e nelle attività del bambino, pur rispettandone l’autonomia e le sue indicazioni. Nella strutturazione il genitore fornisce, dunque, le giuste indicazioni per aiutare il bambino nello svolgimento delle sue attività, vengono forniti limiti e regole, viene seguita l’autonomia del bambino, in modo tale da facilitare la sua crescita e il suo sviluppo, fornendogli quei limiti interni e quegli standard necessari per la sua futura autonomia e capacità decisionale. Il genitore crea una cornice in cui il bambino ha la possibilità di crescere e svilupparsi (Birigen et al., 2014).
  • Non-intrusività: la dimensione della non-intrusiveness è legata alla capacità del caregiver di essere disponibile senza invadere l’autonomia del bambino. Le intrusioni rappresentano tutti quei comportamenti che, in un modo o nell’altro, limitano l’autonomia del bambino, sia durante l’esplorazione che durante le attività di gioco. I comportamenti intrusivi sono sia quei comportamenti in cui il caregiver interferisce troppo e va contro l’attività del bambino, ma anche quelli in cui il genitore è fin troppo presente e aiuta eccessivamente il bambino in attività che egli sarebbe in grado di fare da solo (Villotti et al., 2014). Mentre la strutturazione è legata alla guida, all’insegnamento e all’empowerment del bambino, la non-intrusività è collegata alle interferenze vere e proprie (Birigen et al., 2014).
  • Non-ostilità: la scala della non-hostility, coperta o aperta, indica la capacità di porsi al bambino con modalità affettuose, calde, piacevoli e sensibili. Sta ad indicare tutti quei comportamenti e modi di parlare al bambino che non risultino lesivi, antagonistici, impazienti ed aggressivi. L’ostilità coperta si trova, ad esempio, negli scherzi o nelle prese in giro, ma anche nei silenzi e nel tono di voce irritato e aggressivo (Villotti et al., 2014); segni subdoli di noia, rabbia, aggressività e impazienza vengono comunque percepiti dal bambino. L’ostilità più diretta è quando il genitore risulta apertamente ostile, aggressivo, impaziente e rabbioso, sia con le parole (insultano o urlando, ad esempio) che con i gesti (diventando fisicamente aggressivo) (Birigen et al., 2014).
  • Responsività: questa scala indica la capacità, il desiderio e la propensione emotiva del bambino ad interagire con il proprio caregiver, in seguito ad un invito esplicito da parte del genitore. Inoltre è legata al livello affettivo generale del bambino ma anche alla sua capacità di esplorare l’ambiente, considerando ovviamente età e contesto (Villotti et al., 2014).
  • Coinvolgimento dell’adulto: l’ultima dimensione che ritroviamo è quella dell’involvement, che riguarda la capacità del bambino di coinvolgere e ricercare il genitore nel gioco e nell’attività. Anche in questo caso le iniziative del piccolo devono essere in linea con la sua necessità di autonomia, da un lato, e di supporto, dall’altro (Villotti et al., 2014). I bambini coinvolgono, ovviamente, gli adulti in maniera differente in base all’età; solitamente il coinvolgimento si ottiene attraverso sguardi, domande, il portare i giochi per mostrarli al genitore e richieste esplicite al caregiver di giocare con lui e così via (Birigen et al, 2014).

Le EAS sono state validate da diverse ricerche, che hanno dimostrato come la disponibilità emotiva possa essere usata come un parametro globale per valutare la qualità generale della relazione affettiva tra il genitore e il figlio (Villotti et al., 2014).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Biringen, Z., Derscheid, D., Vliegen, N., Closson, L., e Easterbrooks, M. A. (2014). Emotional availability (EA): Theoretical background, empirical research using the EA Scales, and clinical applications. Developmental Review, 34(2), 114-167.
  • Biringen, Z., e Robinson, J. (1991). Emotional availability in mother-child interactions: a reconceptualization for research. American Journal of Orthopsychiatry, 61(2), 258-271.
  • Saunders, H., Kraus, A., Barone, L., e Biringen, Z. (2015). Emotional availability: theory, research, and intervention. Frontiers in Psychology, 6, 1069.
  • Villotti, P., Bentenuto, A., e Venuti, P. (2014). Metodi osservativi dell’interazione adulto-bambino: Emotional Availability Scales. In A. Simonelli (a cura di), La funzione genitoriale (pp. 301-330). Milano: Raffaello Cortina Editore.
 
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