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AperiZoom e AperiSkype al tempo del COVID-19

Non abbiamo ad oggi alcun mezzo per trovarci veramente tra amici. Allora meglio non mimare allegria o bicchieri di vino alzati in virtuale

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 31 Mar. 2020

Aggiornato il 07 Apr. 2020 14:36

Ahi, che terribile difficoltà affrontare questi aperitivi, queste cene, tra vecchi amici che si vogliono bene e che improvvisamente chiusi in casa tentano di far vivere vecchi riti, vecchie chiacchiere. Ma la tecnologia non lo consente.

 

Zoom non ha ancora la capacità di simulare, neanche lontanamente, quel chiacchiericcio e quel sovrapporsi uno all’altro che segna e delinea il normale svolgersi di una cena tra vecchi amici. Quella fluidità, quella svagatezza, quegli accordi e disaccordi che durano il tempo di un minuto e che poi si lasciano scorrere via.

Con Zoom ci si interrompe ma non si sente bene cosa dice quello che sta interrompendo, quando ci si sovrappone non si comprende nulla, e ci si blocca tutti insieme, se si parla a turno non si sa cosa dire perché manca quel naturale evolversi dei discorsi, presente nelle conversazioni tra persone non virtuali.

Alla fine si è straniti con il senso che manchi qualcosa e che quella allegria forzata non sia altro che una richiesta di aiuto perché la tristezza fa paura. E la solitudine anche.

Ora (ma presto cambierà) Zoom è giusto e utile per le riunioni di lavoro, per le aule universitarie, per le piccole classi o le riunioni tra colleghi di lavoro concentrati a risolvere un problema. Quando si è in modalità problem solving.

Noi non abbiamo ad oggi alcun mezzo per trovarci veramente tra amici, quegli incontri sono insostituibili. Diciamocelo per favore!

Allora meglio non mimare allegria o bicchieri di vino alzati in virtuale e fare i conti con le reazioni di ciascuno di noi alla tristezza, al senso di isolamento, a vecchi ricordi che emergono in questo strano vuoto sociale, la compassione, il senso che forse ce la sfanghiamo, i pensieri catastrofici, l’ansia, la pena.

Questa è una prova dura veramente, non è uno scherzo e tanto vale affrontarla con l’elmo in testa con la consapevolezza che il dolore personale che comporta per ciascuno di noi è ineluttabile, e tanto vale farci i conti.

Non siamo isolati è vero, ma siamo sì un poco più soli, e soprattutto stiamo ubbidendo a un dovere che non era mai stato nei nostri progetti. Si fa, ma spesso fa male.

Quindi da vecchio clinico:

accettiamo pensieri ed emozioni negative, attraversiamole indomiti e sicuramente alla fine finiranno come tutto finisce e saremo cambiati e probabilmente, se saremo stati abbastanza coraggiosi, in meglio. Perché avere attraversato qualcosa in modo consapevole e affrontato la paura del periodo ci rende più competenti e consapevoli dei nostri mezzi, emotivi e mentali.

E ricorriamo di più alle vecchie telefonate, così normali, così vicine, così personali e consolatorie. Così comode e intime, che non ci illudevano di una presenza corporale ma ci davano il senso di una comunicazione vera.

Alla fine di tutto questo finalmente potremo rivederci con gli amici, con i loro difetti, i loro corpi e i loro vezzi, e insieme andare a cena, con il nostro passato di isolamento indimenticato e la nostra voglia di stare insieme intatta.

 

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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