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Le insidie dell’empatia

Attorno all'empatia potrebbero aggirarsi due punti ciechi dell'attività terapeutica: l'onnipotenza narcisistica e la distanza dalla relazione con l'altro

Di Marco Tarantino

Pubblicato il 07 Gen. 2020

Aggiornato il 08 Gen. 2020 12:08

Uno dei tentativi di superare l’impasse della debolezza dei modelli terapeutici, sviluppatosi negli ambienti della psichiatria fenomenologica e mutuato mano a mano da tutti gli orientamenti terapeutici, parte dal presupposto che l’altro resti sempre irraggiungibile alla comprensione razionale, però il suo mistero possa essere esplorato e carpito attraverso una nuova modalità, diventata via via sempre più pervasiva, accettata e considerata imprescindibile: l’empatia.

 

Il XX secolo è stato senza dubbio il periodo d’oro della psicoterapia: sono nati e si sono sviluppati e articolati moltissimi modelli, ognuno dei quali ha coltivato più o meno esplicitamente l’aspettativa quanto non la pretesa di descrivere il funzionamento della psiche, fornire una teoria esplicativa della patologia e decodificare i sintomi, predefinire i possibili percorsi terapeutici (arrivando all’estremo della manualizzazione delle terapie).

In quegli anni abbiamo assistito ad una fioritura di teorie, alcune delle quali cercavano un rapporto diretto con la biologia e la medicina rincorrendo il paradigma scientifico, altre invece rivendicando l’irriducibilità dell’umano al linguaggio scientifico, altre ancora alla ricerca di una qualche mediazione tra questi estremi. Un dato che accomunava tutti i modelli era l’estrema ricchezza della produzione teorica, che ha permesso l’elaborazione di teorie raffinate e minuziose sul funzionamento della psiche e sui meccanismi d’azione delle varie terapie, da un lato, e dall’altro ha svolto sotto traccia una funzione di rassicurazione del terapeuta nell’esercizio della propria professione, fornendo mappe e indicazioni per facilitare l’orientamento che espongono anche al rischio di essere utilizzate come schermo, creando un comodo e insidioso cuscinetto tra sé e l’altro.

Questa condizione non è durata a lungo: negli scorsi decenni il paradigma postmoderno ha fatto piazza pulita di questo atteggiamento positivo, demistificando il valore oggettivo delle teorie psicologiche (valide al massimo come più o meno utili costruzioni metaforiche) e lasciando di fatto il terapeuta senza appigli certi di fronte all’altro da sé. Una prima risposta a questa crisi epistemologica prima che clinica è stata la rincorsa ai “modelli integrati”, nella convinzione che mettere insieme letture diverse della realtà che singolarmente mostravano delle fragilità avrebbe permesso a queste di sostenersi a vicenda. Questa “moda” è tramontata tanto rapidamente quanto si era affermata, e questo non è affatto sorprendente: perché un’integrazione sia autentica, il primo evento che deve darsi è il contatto, ovverosia l’apprezzamento delle differenze, mentre invece questi tentativi partivano dal riconoscimento dei fattori comuni e mettevano insieme cose diverse con un atteggiamento epistemologico quantomeno discutibile.

Un altro tentativo di superare l’impasse della debolezza dei modelli terapeutici, sviluppatosi negli ambienti della psichiatria fenomenologica e mutuato mano a mano da tutti gli orientamenti terapeutici, fino ad interessare la psicoanalisi e alcune correnti del cognitivismo, parte dal presupposto che l’altro resti sempre irraggiungibile alla comprensione razionale, però il suo mistero possa essere esplorato e carpito attraverso una nuova modalità, che è diventata via via sempre più pervasiva, universale, accettata praticamente da tutti e da tutti considerata imprescindibile: è entrata in scena l’empatia.

Empatia e Filosofia

L’empatia è un concetto mutuato dalla filosofia a prima vista molto semplice: è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, sentire quello che l’altro sente, vivere quello che l’altro vive, conoscere i vissuti dell’altro come se fossero i propri. In qualche modo, l’empatia arriva a sopperire alla fragilità dei modelli terapeutici, garantendo la possibilità che l’esistenza dell’altro possa schiudersi davanti al terapeuta solo mediante una modifica della qualità dell’ascolto e del modo d’essere in relazione.

Nell’indagine filosofica sull’empatia, gli autori di riferimento sono Edith Stein e Max Scheler. Leggendo il libro della Stein si resta abbastanza colpiti dal fatto che il punto di partenza della filosofa sia un elogio al principio di riduzione fenomenologica della realtà, fondato sulla messa in discussione di tutto ciò di cui si può dubitare finché non restano solo i dati certi dell’esperienza, e poco dopo si dia per certa l’esistenza dell’empatia:

…dall’espressione del volto e dai gesti degli altri non solo so quel che vedo, ma anche quel che si nasconde nel loro intimo: così, ad esempio, sono in grado di vedere quando uno è triste dall’espressione del suo volto, anche nel caso in cui non provi un sincero sentimento di tristezza […] tutte queste datità relative all’esperienza vissuta estranea rimandano ad un genere di atti nei quali è possibile cogliere la stessa esperienza vissuta estranea. Su tali atti si basa quella particolare conoscenza che vogliamo ora indicare col termine empatia

La Stein descrive nel corso del libro le caratteristiche dell’atto empatico, senza mai metterlo in discussione: nell’atto empatico il soggetto si traspone nel vissuto dell’altro, vivendo quello che l’altro vive anche se non esattamente come se fosse l’altro (e questa è la principale differenza tra la Stein e i sostenitori dell’empatia ingenua, come Lipps).

Il punto di vista di Scheler è assai differente:

Nel capire ciò che l’altro prova noi cogliamo ancora, emotivamente, la qualità dell’emozione altrui senza che questa si trasferisca in noi o che si produca in noi un’identica emozione reale

All’empatia, contrappone un atteggiamento che lui chiama “simpatia”:

la simpatia non indica l’identità essenziale delle persone… l’autentica simpatia presuppone addirittura (come ultimo fondamento anche della differenza della loro reale esistenza) la pura differenza essenziale tra le persone

L’atteggiamento nella simpatia è caratterizzato pertanto dal simultaneo patire con l’altro ed essere in contatto con sé stessi.

Empatia e Neuroscienze

Esiste un filone di ricerca molto interessante, nell’ambito delle neuroscienze, che a prima vista ha molto a che vedere con l’empatia: la scoperta e lo studio dei neuroni specchio. Detto sinteticamente, è stato dimostrato che ogni essere umano ha dei neuroni (chiamati appunto “neuroni specchio”) che si attivano quando osservano un altro essere umano compiere un determinato movimento o provare una determinata emozione, nelle stesse aree cerebrali in cui si attivano nell’altro.

Questa attivazione neuronale è stata riscontrata e studiata per diverse attività umane, sia motorie che emozionali, tanto da far ipotizzare che questo processo possa essere anche alla base dei processi di apprendimento: il libro “Specchi nel cervello” compie una una disamina dello stato delle ricerche in questo campo.

Questi studi sono utilizzati dai sostenitori dell’empatia come delle prove a supporto di una base scientifica dei processi empatici, basati appunto sull’attività dei neuroni specchio. Il problema è che, facendo questo, si stabilisce un’analogia tra una singola emozione e il vissuto che la accompagna: l’empatia non permetterebbe solo di entrare in risonanza con un’emozione, percependola anche in sé, ma farebbe molto di più, permettendo al terapeuta di “vivere il vissuto dell’altro”, mentre negli studi sopra citati queste inferenze vengono esplicitamente negate:

la piena comprensione delle forme vitali altrui non è mai stata oggetto di indagine a livello sperimentale, né vi sono a tutt’oggi compiti di mentalizzazione disegnati espressamente per investigare l’attribuzione di stati mentali concernenti la forma o lo stile delle azioni (o delle reazioni emotive) osservate

Dalla sua comparsa nella scena della psicoterapia, l’empatia ha avuto pochi critici nel campo delle psicoterapie dinamiche ed esistenziali. Tra questi, va’ certamente ricordato Fritz Perls, il fondatore della Terapia della Gestalt, che su questo tema ha preso una posizione molto netta:

Ci sono di solito tre strade aperte al terapeuta, a prescindere dalla sua tendenza personale o dal suo approccio teorico. L’una è la simpatia o il coinvolgimento nel campo totale – la consapevolezza sia di sé che del paziente. L’altra è l’empatia: una specie di identificazione col paziente che esclude il terapeuta dal campo ed esclude pertanto metà del campo. Nell’empatia, l’interesse del terapeuta si accentra esclusivamente sul paziente e sulle sue reazioni. Infine c’è l’apatia, il disinteresse… evidentemente l’apatia non ci porterà da nessuna parte. […] il terapeuta che trattiene se stesso, per empatia col paziente, priva il campo del suo strumento principale: il suo intuito e la sua sensibilità verso i processi in atto nel paziente.[…] non ci può essere alcun contatto vero nell’empatia. Al peggio diventa confluenza.

Perls invita dunque il terapeuta a non cercare scorciatoie e ad essere, all’interno della relazione terapeutica, una persona reale, con i propri vissuti, la propria intuizione, le proprie caratteristiche, che incontra un’altra persona reale.

Esaminati i presupposti filosofici e i tentativi di giustificazione biologica (tra l’altro, è un po’ paradossale che si cerchi una legittimazione scientifica in ambienti che della non scientificità della psiche e della psicoterapia hanno fatto una bandiera ideologica), resta il sospetto che attorno all’empatia si aggirino due punti ciechi dell’attività terapeutica: l’onnipotenza narcisistica (nella presunzione di non aver bisogno di mappe per esplorare il territorio dell’altro, per quanto approssimative, ma di poterlo cogliere direttamente nella sua essenza) e la distanza dalla relazione con l’altro (se c’è solo l’altro, il terapeuta e i suoi vissuti sono al di fuori e quindi al sicuro dalla contaminazione emotiva dell’altro da sé).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Simmons, B. "Intorno al ruolo della teoria nella psicoterapia". Articolo online, consultabile al seguente link
  • Stein, E. (2015) “Il problema dell'empatia” Studium ed
  • Scheler, M. (1980) “Essenza e forme della simpatia” Città nuova ed
  • Rizzolatti, G, Sinigaglia, C. (2019) “Specchi nel cervello”. Raffaello Cortina ed
  • Perls, F. (1977) “L'approccio della gestalt” Astrolabio ed
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